I meriti di Quentin Tarantino e Once Upon a Time in Hollywood sono sicuramente due: aver unito sullo schermo due idoli degli anni 90, e aver confermato ufficialmente il talento di Brad Pitt (a Leonardo DiCaprio ci aveva già pensato Martin Scorsese, oltre che lo stesso Tarantino in Django Unchained). Visione semplicistica ma verosimilmente reale. Perché del Brad Pitt attore di ottima razza, intenso, corporeo, ci si è accorti molto tardi rispetto ad una carriera cinematografica che è arrivata a sfiorare i trent'anni di attività. E non c'è da stupirsi, sostiene la critica Manohla Dargis in un'articolata analisi sul New York Times: Brad Pitt è sempre stato considerato troppo bello per essere anche bravo. Actor, star and supreme visual fetish: definizione perfetta e assunto primordiale che ha maledetto la sua lenta maturazione come professionista, inquinando ogni manifestazione di talento per ricoprirla di una patina di "quanto è bello Brad Pitt". Colpevoli primarie anche le fan di ogni generazione, che dal sospirare sui 13 secondi a petto nudo di Brad Pitt in Thelma&Louise sono approdate ai poster di Brad Pitt-Tristan in Vento di Passioni, allo sguardo lubrico per il Tyler Durden di Fight Club, e oggi al Cliff di Once Upon a Time In Hollywood. Dove il citazionismo ironico di Tarantino chiude il cerchio mostrando proprio un Brad Pitt a torso nudo, scolpito e sfrontato come nella sua prima apparizione in pellicola.

La maledizione della bellezza di Brad Pitt da giovane è stata la trappola estetica che ha minimizzato ogni altra qualità. Ma non è stato il solo. La storia di Hollywood è costellata di attori che hanno dovuto imbruttirsi (spingersi all'estremo per far riconoscere il loro talento al di là dell'aspetto fisico superiore alla media. Paul Newman (cui l'Academy concesse l'Oscar dopo ben sette nomination), Robert Redford (nominato una sola volta come miglior attore, non vinse mai in questa categoria: fu premiato come regista e infine arrivò l'Oscar alla carriera per appianare un vuoto vergognoso), i coevi Leonardo DiCaprio (cinque nomination a vuoto e ventidue anni di carriera per portarsi a casa l'Oscar con l'imbruttimento in The Revenant) e Jude Law (nominato a Oscar, Golden Globe e Tony Awards, ha vinto solo un BAFTA) tanto per mettere insieme un poker di eccellenze. In questi esempi, lo status di sex symbol e star è stato conquistato così presto e facilmente da ritardare ulteriormente il processo di accettazione di talento. È bello, non può essere anche bravo. Pietra tombale.

Il double standard estetico è una prerogativa delle donne: bella=scema e bruttina=simpatica sono due convinzioni inscalfibili nelle sceneggiature base. Ma non ha risparmiato le carriere di tanti uomini e Brad Pitt è il caso eclatante, cristallino, dell'applicazione del paradigma. Quando ci si è accorti che sapeva recitare bene, come ne L'esercito delle 12 scimmie, si è rimasti talmente spiazzati da non sapere con quali parole descriverlo: Brad Pitt era uscito dalla categoria forzata della narratologia del "bello", aveva scartato imbizzarrito dall'archetipo del principe buono per i controluce smarmellati e i baci di passione di trequarti, e aveva mostrato un talento limpido, selvaggio q.b. per vivificare le sceneggiature, profondamente radicato. Lo ha fatto meglio di tutti in uno dei suoi personaggi più potenti, Tyler Durden in Fight Club, dove l'ideale di mascolinità tossica e aggressiva si transustanzia nei muscoli di Brad Pitt, nel sangue, nei denti spaccati, nella tensione continua di ogni movimento da leopardo. Non era solo Actor's Studio: il corpo di Brad Pitt era un sogno erotico perfetto, ed era corpo di un attore bravo. Ma non si poteva dirlo senza passare per esagerati perché non si poteva accettare che oltre l'estetica ci fosse la predisposizione naturale alla recitazione. La bravura andava riservata a coloro che esteticamente non erano stati baciati dalla genetica, Brad Pitt doveva essere solo bello. L'ennesimo erede di James Dean (per cui sono passati tutti i giovani attori di Hollywood in servizi fotografici ad hoc, citofonare sempre Leonardo DiCaprio, River Phoenix o di recente anche Robert Pattinson) non poteva uscire dalla stereotipizzazione naturale di Hollywood. Non c'è nulla di nuovo nella bellezza che va punita, ridimensionata in certi casi. Una sineddoche della persona in sé, la parte estetica per il tutto. Sei bello, basta, che altro vuoi? Essere pure bravo?

Beh, Brad Pitt lo è. È straordinariamente bravo. Gigione mai -almeno non come l'amico George Clooney-, misurato, isterico, fascinoso. Lo è stato nei film in cui ha recitato con le attrici che poi si sono mixate alla vita privata di Brad Pitt: con Juliette Lewis è stato icona del grunge disperato in Kalifornia, con Angelina Jolie ha incarnato il glamour fascinoso di Mr&Mrs Smith prima e la disperazione di un amore agli sgoccioli (profetico) in By The Sea. Ha saputo fare da spalla sul set e nelle varie vite che ha vissuto, tanto che le fidanzate di Brad Pitt sono state lo specchio della sua capacità di immedesimazione. Ciuffo biondo e minimalismo newyorker con Gwyneth Paltrow, aria vitaminizzata da losangelino acquisito con Jennifer Aniston (sempre lei, sempre Jen, che va e ritorna come un sentimento immortale). L'unica alla quale non si sia profondamente adeguato anche nel look è stata proprio Angie: lei maestra indiscussa di total black, lui stropicciato comfort. Ma c'erano questioni private da affrontare, decisamente poco glam. La classe mimetica di Brad Pitt ha fatto nascere speculazioni sulla sua scarsa personalità: N effetti collaterali dell'essere troppo bello, poco ma sicuro.

Alla vigilia degli Oscar 2020 Brad Pitt è il nome da sillabare accanto a favorito alla vittoria come migliore attore non protagonista, sempre per Once Upon a Time in Hollywood dopo aver già portato a casa diversi premi. Passate le buriane personali, l'attore 56enne è in uno stato di grazia personal-professionale come non si vedeva da anni. Laddove tutti pensavano che fosse solo bello, l'attore ha sfoderato l'ennesima arma del potere: l'ironia e il sarcasmo. Dissacra la condizione teoricamente impensabile di Brad Pitt single, l'industria cinematografica che lo ha ingabbiato per anni in quel bello che gli è sempre stato stretto, esalta le colleghe attrici, motteggia sui pari grado maschi, racconta fragilità e dolori che vanno a distruggere il canone: anche i belli soffrono. E non hanno paura di ammetterlo.