C’è il monologo di Rula Jebreal che, da solo, basterebbe come super ospite del 70esimo Festival di Sanremo. Una standing ovation in cui i corpi, quei grandi soldati chiamati al fronte quotidiano, si alzano per applaudire un discorso che la giornalista conduce dall’inizio alla fine come un’inchiesta che non vuole creare pietismi ma informare. Anche quando racconta di una madre, la sua, che “quando avevo 5 anni, si è data fuoco perché era stata brutalizzata e stuprata due volte, la prima volta a 13 anni, la seconda da un sistema che l'ha costretta al silenzio. E l'uomo che l'ha violentata aveva le chiavi di casa”. Nel grande protagonista della prima serata del festival ci sono le "sei donne massacrate da (i propri) uomini negli ultimi sette giorni", settimana che anticipa i clamori di Sanremo, c’è Rula che piange e sua figlia Miral che le risponde con le stesse lacrime seduta davanti a lei, c’è la “libertà di essere madri di 10 figli o di nessuno” e ci sono correzioni alle trasposizioni del discorso che rimbalzeranno sui social, luoghi in cui i corpi sono assenti giustificati a favore della parola. Chissene.

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A Sanremo la parola vince sempre, in teoria. Ma come lo scorso anno Pierfrancesco Favino aveva usato la parola per descrivere i corpi che spingiamo oltre confini, quest’anno il corpo potrebbe essere il grande vincitore di un festival iniziato con innumerevoli gaffe sulla questione donne-corpi-oggetto-clic. E insieme al monologo di Rula Jebreal, che senza ulteriori orpelli lascia il segno formato Stories con chiusa ribattuta “vogliamo essere musica”, c’è anche Diletta Leotta bersagliata in lungo e in largo pre-Festival per N noiosi (?) motivi. Diletta Leotta si siede sulle scale dell’Ariston a parlare della sua bellezza, di come l’abbia portata dov’è e a essere giudicata da chi non ama dov’è (seduta nel momento in cui parla): “sono bellissima, ma sapete la bellezza capita, non è un merito. Certo può essere un vantaggio, altrimenti col cavolo che sarei qui, starete pensando. (...) La bellezza è un peso che con il tempo può farti inciampare se non la sai portare”. Pochi giorni prima, Billie Eilish, in un'intervista che Vogue America usa a "corredo" di una cover clamorosa, aveva sintetizzato la bellezza e la schiavitù di un corpo "a 9 anni mi sono spuntate le tette, a 11 ho avuto il ciclo. Il mio corpo è cresciuto più in fretta della mia testa". Silenziatore sulle sue felpe XXL e camicie over.

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Daniele Venturelli//Getty Images

Il corpo, bestia a più teste, nella lunghissima prima serata di Sanremo passa anche da quello che è il meme dell’intero show: Achille Lauro in tutina photoshoppato a fianco di Jennifer Lopez e Shakira tutinate a loro volta al Super Bowl appena trascorso. Achille Lauro nudo, Achille Lauro opera d'arte, Achille in glitter Gucci che porta il sacro e profano di Alessandro Michele davanti a chi canta i duetti di Albano & Romina. Niente di eclatante per il mondo Gucci abituato a scavare nel pop, affondare nel non luogo e diventa viralmente altro. Compimento perfetto sul corpo di un ragazzo cresciuto con La Bella e la Bestia - “proverebbero a tenerti tutti, sì ma non me, non me” - brano che è del giurassico per l’Achille Lauro che oggi a Sanremo porta Me ne frego. E non se ne frega di quello che diranno guardandolo, inneggiandolo per un menefreghismo che studia, bene a tavolino, con credibilità: la spiegazione della performance che viene diramata via mail all’alba "Achille Lauro interpreta la celebre scena attribuita a Giotto in una delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi". Nudo, crudo, come un campione olimpionico di lotta greco-romana, piedi scalzi come altri hippie che avevano provato a stare senza scarpe sul palco dell’Ariston. Fluido, come una vecchia parola per i tempi social, granitico nelle sue debolezze dopo aver tolto il mantello nero da santone, da San Francesco, da uomo nero con "una vipera (che) cerca un bacio che poi le darò".

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