E pensare che il regista coreano, dopo aver vinto come Miglior Sceneggiatura Originale (presentato da un Keanu Reeves emozionatissimo nel condividere il palco con Diane Keaton, tanto che a forza di flirtare hanno rischiato prima di aprire la busta in anticipo, poi di farla cadere) e come Miglior Film Straniero aveva chiuso il suo discorso con la frettolosa frase “I’m ready to drink”, smentita appunto pochissimo dopo quando, con gran sorpresa ed entusiasmo generale, il regista coreano aveva vinto anche la Miglior Regia.

Un'incetta di premi assolutamente meritata dal film che quest'anno ha messo d'accordo la critica di tutto il mondo, una feroce analisi del capitalismo gestita magistralmente fin nei dettagli che consacra Bong Joon-Ho, specialista nel rivoluzionare i generi, come autore di primo piano facendo uscire anche il cinema sudcoreano (che peraltro, è il terzo mercato cinematografico del mondo) dalla nicchia degli appassionati.

Una sequela di grandi sorprese nei premi principali che si affianca a un paio di prevedibili vittorie: quella di Joaquin Phoenix per Joker, che ha accompagnato la vittoria con uno speech vegano militante e le parole scritte dal fratello River, e quella di Renée Zellweger, che ha fatto un memorabile ritorno tra gli A-lister di Hollywood nel biopic Judy, smentendo tutti quelli che la davano per finita e i tabloid che negli ultimi anni l'avevano massacrata per il suo aspetto e onorando la memoria di Judy Garland, mai premiata con un Oscar nonostante sia stata una colonna portante del cinema.

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Altra conferma, che compensa un po' la delusione di chi sperava di vedere finalmente Tarantino premiato come regista, è quella di Brad Pitt come Miglior Attore Non Protagonista (battendo un parterre di altri candidati over 70) per Once Upon A Time … in Hollywood. Durante lo speech Pitt ha dedicato l'Oscar ai figli, dicendo “faccio tutto per voi” e tirando una potente frecciata alla ex moglie Angelina Jolie, grande assente di questa edizione nonostante Maleficent 2 fosse tra i film nominati.

Il film di Tarantino si porta a casa comunque anche la Miglior Scenografia, creata delle bravissime Barbara Ling e Nancy Haigh che sono riuscite a riportare Los Angeles nel 1969 settando una delle estetiche più memorabili tra i film usciti quest'anno.

Per la Miglior Attrice Non Protagonista la concorrenza era altissima – tutte bravissime in ruoli interessanti, in ottimi film – ma la statuetta va a Laura Dern che per la prima volta, finalmente, riceve un riconoscimento dagli Oscar per il suo straordinario talento, nel ruolo dell'avvocata in Marriage Story di Noah Baumbach. Come lei stessa ha sottolineato, era anche il suo compleanno: domani compie 54 anni.

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Le belle notizie per noi donne sono state tante altre: Jacqueline Durran si porta a casa la statuetta per i meravigliosi costumi di Piccole Donne, mentre i premi per il Miglior Documentario American Factory e il Miglior Corto Documentario Learning to skateboard in a warzone (if you’re a girl) sono stati entrambi vinti da film socialmente impegnati e diretti da donne (Julia Reicher e Carol Dysinger). Inoltre, per la prima volta in 92 anni di edizioni degli Oscar, l'orchestra che introduce la Miglior Colonna Sonora è stata diretta da una donna, Eimear Noone, un'introduzione perfetta alla vittoria di Hildur Guðnadóttir con la colonna sonora di Joker, anche lei prima donna nella storia a vincere nella sua categoria.

Miglior Make Up & Hairstyling lo vince, meritatamente, la crew di Bombshell per l'indiscutibile lavoro di Kazu Hiro, soprattutto su Charlize Theron – che del film è anche produttrice – trasformata in Megyn Kelly di Fox News con la sola potenza del trucco.

Dopo il trionfo di Parasite, la più bella sorpresa di questa edizione è stata comunque la vittoria di Taika Waititi nella Miglior Sceneggiatura Non Originale per Jojo Rabbit (basato sul libro Caging Skies di Christine Leunens), che ci ha regalato anche una serie di momenti stupendi very Waititi, come nascondere l'Oscar sotto il sedile di fronte a lui e venire immortalato su Instagram in una story di Brie Larson.

Grandi penalizzati i “film da Oscar”, quelli che di solito si portano a casa il voto dell'Academy giocando sul sicuro e sulla conservazione: Ford V Ferrari, epopea di maschi boomer inspiegabilmente nominata anche come Miglior Film, si porta a casa solo Miglior Montaggio (Michael McCusker e Andrew Buckland) e Miglior Sound Editing, anche se quest'ultimo premio ci ha dato l'occasione di assistere a un imbarazzante discorso di Donald Sylvester, che come molti altri uomini sul palco della serata ha ringraziato sua moglie per aver rinunciato alla carriera di montatrice per stare a casa a badare ai figli, totalmente inconsapevole del ridicolo involontario di sottolineare una discriminazione di genere cercando di venderla come un gesto positivo.

Anche l'altro film “che piace a vostro padre”, sulla carta gran favorito di questi Oscar, 1917, porta a casa solo premi minori eccetto la Miglior Fotografia (che si conferma categoria #tuttimaschi per eccellenza insieme alla regia). Il film di Sam Mendes vince Best Sound Mixing e Best Visual Effects, quest'ultimo premio presentato da Rebel Wilson e James Corden, che vestiti da Cats si prendono in giro e ironizzano sul flop più clamoroso di questa stagione cinematografica.

La Disney, altra penalizzata d'eccellenza con la notevole esclusione di Star Wars dalle candidature principali e il mancato premio a Maleficent 2, riesce comunque a mostrare i muscoli: Toy Story 4 vince miglior film d'animazione battendo sia il bellissimo Dov'è il mio corpo che il vincitore del Golden Globe Missing Link, e porta sul palco Idina Menze a cantare Into the Unknown da Frozen 2 in versione Eurovision insieme alle altre interpreti di Elsa nelle versioni giapponese, polacco, thailandese, castigliano, tedesco, norvegese, russo, spagnolo e danese del film.

Come miglior cortometraggio vince però l'indipendente Hair Love (con Issa Rae): storia di un padre afroamericano che impara a curare i capelli della figlia prodotta con Kickstarter e poi successivamente acquistata dalla Sony e trasformata anche in un libro illustrato entrato a far parte della prestigiosa lista dei Best Seller del New York Times.

In un'edizione tutto sommato noiosa, sono stati pochi i momenti memorabili, ma ce n'è comunque qualcuno da ricordare: la standing ovation per Jane Fonda che premia il miglior film, Natalie Portman che indossa sul red carpet un mantello con sul bordo ricamati i nomi delle donne registe snobbate da questa edizione (Scafaria, Sciamma, Gerwig, Wang, Heller, Diop, Matsoukas, Har'el); Shia Labooeuf che sale sul palco per presentare insieme al suo partner nel film The Peanut Butter Falcon, l'attore con sindrome di Down Zack Gottsagen, generando uno dei momenti più spontaneamente cute di questa edizione; Eminem che canta (male) live Lose Yourself per celebrare le canzoni che hanno fatto la storia dei film e fa scatenare tutta la platea, producendo una serie probabilmente memorabile di meme di gente famosa che scuote la testa avanti indietro come quelle bamboline snodate che si mettono sul cruscotto. Per fortuna, a compensare poco dopo arriva Cynthia Erivo a cantare meravigliosamente Stand Up, dal film Harriet, un pezzo che avrebbe meritato anche l'Oscar per Miglior Canzone (che peraltro sarebbe stato uno dei pochi assegnati a persone afroamericane nella serata) invece prevedibilmente vinto da Elton John e Bernie Taupin con I’m Gonna Love Me Again da Rocketman, film che è anche un racconto autobiografico della loro amicizia.

Ma forse il momento di cui si parlerà di più è stat l'esibizione di Billie Ellish durante l'In Memoriam, ma non per la sua versione estremamente personale ed emozionante di Yesterday quanto per la quantità di fischi in platea all'apparizione, in apertura, della foto di Kobe Bryant. Una scelta discutibile per l'Academy, già contestata nel 2018 quando Bryant vinse il Miglior Documentario, e che conferma quanto le polemiche e la divisione sulla figura di Bryant e la sua eredità ambigua (da un lato grande icona dello sport, dall'altro accusato di stupro e protagonista di una vicenda giudiziaria tutt'altro che chiara) non riescano a placarsi nonostante il passare delle settimane e il lutto recentissimo.