Sconfitta Netflix, sconfitti Marriage Story and The Irishman, sconfitto Quentin Tarantino, sconfitto anche 1917, il titolo che più di ogni altro sembrava potere aggregare tutte le anime e i voti dell’Academy, ha vinto davvero il film migliore dell’anno, Parasite (quattro Oscar, tra cui Miglior Film) ed è una vera rivoluzione. È la prima volta che il massimo premio va a un film non in lingua inglese.

Noi altri, noi non anglofoni, siamo sempre stata confinati a quella sezione “miglior film in lingua straniera”, che proprio quest’anno ha cambiato nome in “miglior film internazionale”. L’Italia che è il Paese che ha vinto più volte in quella categoria e che ha raccolto enormi successi nella storia degli Academy Award, non è mai arrivata così in alto. E nessuno ha mai fatto la doppietta come Parasite che stanotte ha vinto sia come miglior film internazionale che come miglior film in assoluto.

Non solo:

rarissimamente il premio come miglior film va a un film che non ha nomination per gli attori

.

Quest’anno è successo esattamente il contrario: i film con più candidature per gli attori hanno vinto pochissimo.

Come è stato possibile? Intanto, Parasite è strepitoso. Se ancora non l’avete visto, recuperatelo. E recuperate anche gli altri film di Bong Joon Ho, per esempio Snowpiercer e Okja. E anche Memorie di un assassino, la sua opera seconda, finora inedita in Italia e che esce in sala il 13 febbraio.

Questo grande colpo di scena finale ha raddrizzato una notte degli Oscar tra le più prevedibili e noiose che io ricordi. C’era stato un inizio abbastanza frizzante con Janelle Monáe ma poi nient’altro che una specie di messa cantata hollywoodiana dove sono stati assegnati i premi secondo le previsioni della vigilia. Brad Pitt ha vinto come migliore non protagonista per C’era una volta a…Hollywood e si è commosso nel ritirare nel suo premio. Renée Zellweger ha vinto come miglior attrice e non si è particolarmente commossa: si vedeva che se lo aspettava e lo stesso mi è parso di Laura Dern. Joaquin Phoenix, dato per vincente da mesi, in un attimo di vero turbamento ha ricordato il fratello River, morto nel ’93 a soli 23 anni.

Il premio per il miglior documentario è andato ad American Factory, prodotto da Barack e Michelle Obama. Una sfilza di cantanti da tutto il mondo ha intonato Into the Unknow, la canzone di Frozen 2 (Non c’era la nostra Serena Rossi, però, peccato). Due degli interpreti di Cats, il più grande flop dell’anno, si sono presentati vestiti da gatti: sotto le maschere pelose c’erano James Corden e Rebel Wilson. A un certo punto, all’improvviso, è apparso Eminen.

Era in ritardo di 18 anni.

Nel 2002 aveva vinto un Oscar per la miglior canzone (Lose Yourself) composta per il film 8 Mile. Adesso Lose Yourself è diventata una specie di classico, la platea del Dolby Theater la cantava un po’ come noi abbiamo cantato Mamma Maria dei Ricchi e Poveri. Eminen è un po’ ingrassato. Si vede che il tempo passa anche per i rapper.

Delusione (in parte) anche Billie Eilish: chi sperava che avrebbe cantato in anteprima il pezzo della colonna sonora del nuovo James Bond c’è rimasto male. Billie ha cantato invece Yesterday dei Beatles (benissimo, va detto) per accompagnare il momento più triste della cerimonia: il ricordo degli scomparsi nell’ultimo anno.

Pochi brividi anche dal red carpet, anzi uno solo. Natalie Portman indossava un abito con cappa di Dior e sui bordi di detta cappa erano ricamati i nomi di otto registe che non sono state candidate all’Oscar, da Greta Gerwig (Piccole donne, che ha vinto solo il premio per i migliori costumi) a Lulu Wang di The Farewell- Una bugia buona che agli Oscar non si è nemmeno avvicinato.

Pazienza, ragazze. Ha trionfato il cinema coreano, prima o poi trionferanno anche le donne. Quella verso l’inclusione è una lunga, lunghissima maratona.