Stamattina su YouTube ho ascoltato il discorso di una signora che aveva perso il marito e la figlia piccola in un incidente aereo. Se esiste un suo video su YouTube e se questo video ha 2,4 milioni di visualizzazioni dopo nemmeno 10 ore, è perché quella donna è Vanessa Bryant, mamma di Gianna Maria-Onore Bryant e moglie di Kobe Bryant, uno dei giocatori di basket più famosi di sempre, scomparso il 26 gennaio 2020 insieme a sua figlia e ad altri 7 membri dell’equipaggio dell’aereo che li stava portando a casa, a Calabasas. Per i 21 minuti e 53 secondi del suo soliloquio durante la notte-memorial in onore delle sue “ragioni di vita”, Vanessa Bryant è stata tutte le donne, tutte le mogli, tutte le madri, tutte le persone che la vita ha obbligato a scendere a patti con una perdita. Con i 19 mila posti a sedere dello stadio Staples Center di Los Angeles attorno a lei, coi i riflettori viola e gialli puntati addosso, come la maglia che il Black Mamba dell’NBA ha indossato per vent’anni, Vanessa Bryant ha raccontato con la voce più dolce del mondo i sentimenti che le gridavano dentro.

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A sfiorarle le mani solo la carta dei due fogli bianchi che Vanessa Bryant ha sfogliato, stropicciato, bagnato di sudore di fronte al mondo intero, lo stesso che ha trattenuto il fiato durante tutta la commemorazione nel tempio dello sport della palla a spicchi di cui Kobe era il Dio vivente, come lo tratteneva durante ogni partita, finché un fischio, una luce sul tabellone, un boato dalla folla non decretavano la vittoria dell’uomo che ieri notte ha fatto piangere Michael Jordan. La leggenda del basket anni Novanta che, forse, immaginava già come sarebbe stato insegnare all’amico e collega come si appende con eleganza la maglia al chiodo senza lasciare che il mondo appenda il tuo di ricordo al chiodo. Coco, bubu, papi chulo, principesa, queen mama, faboulisky… Vanessa Bryant ha raccontato tutti i nomignoli con cui lei e Kobe si punzecchiavano, senza dimenticarne nessuno, nemmeno quelli più “imbarazzanti” da ripetere fuori da una camera. L’opportunità di pronunciarli ad alta voce, forse per l’ultima volta, la fa stare bene, sorride, come se sapesse che suo marito, il suo soulmate, la stia prendendo in giro dall’alto o da ovunque si trovi.

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Gianna e Kobe Bryant nel 2016

“Gianna amava i leggings, le maglie bianche e larghe, le Converse, le giacche di jeans e le felpe intrecciate in vita, è così che si vestiva ogni giorno mentre tra una lezione di mandarino e una di softball pensava a quale decorazione scegliere per la torta del suo compleanno, come ogni ragazzina di 14 anni…”. È così che sua madre Vanessa Bryant vuole ricordarla, con quel sorriso che le prendeva il viso da capo a capo, lo stesso che ha strappato a tutti il 26 gennaio 2020. “Due settimane prima dell’incidente, Kobe mi aveva proposto di organizzare un viaggio solo per noi due, senza i bambini, in fondo sono sempre la sua migliore amica… Voleva rinnovare i nostri voti di fronte a Dio, che celebrassimo di nuovo il nostro matrimonio, dopo 20 anni dal quel Sì, lo voglio. Non l’abbiamo mai fatto, non c’è stato tempo. Ma, solo chiedermelo, è stato il regalo più grande che mi abbia mai fatto. Kobe, Gianna, ehy, siamo ancora la migliore squadra”, continua Vanessa di fronte al pubblico di famigliari, ospiti speciali, da Snoop Dogg a Beyoncé, fan che hanno deciso di comprare l’ultimo biglietto della loro vita per andare allo stadio, stavolta per guardare una partita contro la vita.

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