Si riconosceva da lontano, perché quando arrivò in quell’agenzia newyorchese, indossava ogni giorno un gonna e un maglioncino da ragazza perbene, stile Sylvia Plath allo Smith College. Erano gli anni Novanta e ogni mattina Joanna Rakoff si recava sulla 49esima fino ed entrare nel palazzo stretto e anonimo in cui aveva sede l’agenzia letteraria dove lavorava, una delle più antiche e prestigiose. Stava seduta lì tutto il giorno, con le gambe accavallate su una poltroncina girevole a rispondere agli ordini del suo capo, la direttrice dalle dita lunghe, che si accendeva una sigaretta dietro l’altra con un’enfasi degna di Lauren Bacall. L’agenzia - le ricordava quel capo a suo modo speciale - non è solo un’azienda, ma uno stile di vita, una cultura, una comunità, una casa, qualcosa di più simile a una società segreta o a una religione con dei rituali ben definiti e delle divinità da adorare. Da Fitzgerald - una sorta di semidio - a Dylan Thomas, senza dimenticare però Faulkner, Langston Hughes e Agatha Christie fino ad arrivare allo scrittore più importante di tutti, Jerry, alias J.D. Salinger, l’autore di uno dei libri più letti e tradotti al mondo: Il giovane Holden. La storia di Joanna ce l’ha raccontata lei stessa nel suo libro besteller Un anno con Salinger, pubblicato in Italia da Neri Pozza, che adesso è diventato un film, My Salinger Year. Ad interpretare la protagonista di quell’avventura a dir poco straordinaria da più punti di vista, una sorta di Diavolo veste Prada ante litteram, è Margaret Qualley, che è arrivata alla 70esima Berlinale insieme al regista del film, Philippe Falardeau (canadese, già regista e sceneggiatore di Monsieur Lazhar) e l’altra co-protagonista, Sigourney Weaver.
Se uno la guarda sul grande schermo, non può tornargli in mente l’agguerrita Katharine Parker da lei interpretata in Una donna in carriera di Mike Nichols, poi, però è lei stessa, oggi splendida settantenne, a smentirci tutto dal vivo. “Non mi è servita come ispirazione, ci spiega, non trovo connessioni e non ho pensato affatto a quel personaggio per Margaret, perché non era esattamente una bella persona. Margaret è invece sicura di sé grazie alla sua esperienza, ha abbracciato il mondo letterario ed è molto protettiva. Alcuni aspetti, poi, come la sua idiosincrasia nei confronti del computer la rendono ridicola, anche i colleghi la deridono, ma a lei non importa perché ciò che ha tra le mani è più importante. Era un dinosauro di quell'ambiente, una donna ambiziosa che probabilmente non si è fatta scrupolo a usare il sesso per ottenere il suo lavoro”.
"Ho scelto questo film, continua l’attrice, interprete straordinaria di film cult (da Io e Annie a Alien, da Ghostbusters a Tempesta di Ghiaccio), semplicemente per il fatto che è una lettera d’amore al vecchio mondo letterario di New York che resiste ancora in qualche piccola realtà. Una di queste l’abbiamo conosciuta ed è stato emozionante come lo è stato muoversi negli scaffali di chi ha rappresentato Agatha Christie o Francis Scott Fitzgerald, autori e miti come loro”, racconta Sigourney Weaver. “My Salinger Year è stato un film con tante donne nella troupe – aggiunge - invito i produttori a sceglierle per guidare i vari reparti, perché sono brave e affidabili”. “Il Giovane Holden è stato per me, e non soltanto per me, una rivelazione, ma il film non è su Salinger, ma sull’effetto della sua opera su una giovane donna, su questa presenza fantasmatica che guiderà le sue scelte”. Dalla sala stampa al red carpet, il passo è stato per lei quasi breve, il tempo di un cambio d’abito (di Armani): da un completo giacca/pantalone nero a un abito lungo con una preziosa cintura pendente. Eccola ancora una volta la Weaver: una donna che, citando Simone de Beauvoir, ha accettato la grande avventura di essere se stessa.