Alberto Arbasino è morto e come accade ogni volta che se ne va un grande intellettuale di 90 anni, bisogna spiegare alle nuove generazioni quanto sia stato importante anche per loro. Nato a Voghera, come la proverbiale casalinga per la quale coniò il celebre modo di dire diventato esemplare indagando i contorni della società italiana di allora come giornalista e scrittore, aveva studiato di tutto e ovunque, dalla medicina al diritto, anche alla Sorbona e Harvard, accumulando nella sua testa una cultura raffinata e sconfinata, trovandosi in grado di scrivere anche in più lingue. Impossibile elencare, in poche righe, tutto ciò che ha scritto, a cominciare dai racconti del 1955 che avevano risvegliato l’attenzione anche dei critici più annoiati e in cui cominciava ad affrontare un tema non scontato per il tempo, le relazioni omosessuali. Omosessuale lui stesso, non apprezzava manifestazioni come il Gay Pride e non è mai rimasto incastrato nel filone, capace di descrivere gli anni del boom economico con una brillantezza ineguagliabile, soprattutto con il romanzo Fratelli d’Italia, cronaca delle speranze ambiziose dei giovani del tempo e gli stati d’animo in cui cominciano a germogliare profeticamente le ribellioni della generazione successiva.

eBook Fratelli d'Italia (Gli Adelphi Vol. 171)

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Alberto Arbasino si considerava umilmente un discepolo di Carlo Emilio Gadda, a cui nel 1964 ha reso omaggio con i romanzi La narcisata e La controra, non ha mai provato soggezione per nessun tema e nessuna entità, nemmeno per la Chiesa, arrivando a criticare le lettere di Aldo Moro dalla prigionia in un modo spiazzante nel saggio In questo stato. La sua creatività e iperattività è arrivata ovunque, spostandosi di volta in volta quando era soddisfatto dell’impegno precedente, ma è famoso anche per la particolarità di rielaborare i suoi romanzi precedenti per ripubblicarli aggiornati al suo nuovo modo di pensare. Candidato nelle fila del Partito Repubblicano, era stato eletto deputato nel 1983 ma criticava la politica (da leggere: Paesaggi italiani con zombie oppure Un paese senza), ha lavorato anche in tv, conducendo un programma nel 1977, e ha collaborato molto con il cinema. Ha scritto a fasi alterne per il Corriere della Sera, Repubblica, Il Giorno. L’ultima fase della sua vita era dedicata ai viaggi e al racconto dettagliato di ciò che vedeva e lo colpiva (Parigi, o cara, Pensieri selvaggi a Buenos Aires) . Se ne va un genio, un chirurgo dell’intelletto una voce di cui in molti sentiranno l’astinenza.

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