«Ero in aeroporto in fila per i controlli di sicurezza, ha squillato il telefono, non ho riconosciuto il numero e volevo ignorarlo. Poi ho pensato che poteva trattarsi della scuola di mia figlia (Talitha, 6 anni,avuta dal compagno Fabrice Scott, ndr) e ho risposto. Era un giovane produttore, gli ho detto “resti in linea”e ho passato il telefono sotto i raggi X. L’ho ripreso e mi ha chiesto di leggere sull’aereo il copione che mi avrebbe mandato perché aveva bisogno di una risposta appena scendevo».
La risposta è stata sì. Ed è così che Maya Sansa è diventata parte di una brigata internazionale di miliziane che si battono contro l’Isis, tutte donne capitanate da una combattente curda, in Sisters in Arms, film diretto dalla giornalista e femminista francese Caroline Fourest, presto in sala.

Com'è andata?
È stato faticoso ma illuminante. Sapevo delle lotte coraggiose delle curde, ma non avevo capito quanto fossero fondamentali dal punto di vista strategico: i soldati del Califfato sono convinti che, se vengono uccisi per mano femminile, non andranno
in paradiso. L'avanzata delle donne significava una ritirata certa, perché contro di loro non volevano lottare.

Come ha raccontato una storia così a una bimba che allora aveva 5 anni?
È venuta sul set, le abbiamo parlato dell’eroismo delle curde e le abbiamo spiegato che purtroppo dovevano usare la violenza per difendersi. Un tema importante anche a scuola, perché oggi, anche in centro a Parigi, dove non si trovano casi sociali complicati, ci sono tanti bambini nervosi, affaticati, che magari vedono poco la mamma e il papà perché lavorano molto, oppure assistono a liti, separazioni e divorzi. E poi manifestano il disagio con la violenza. Dopo l'ennesima volta che Talitha è tornata a casa in lacrime per aver preso un calcio, un pugno o perché è stata inseguita da un gruppetto scatenato, abbiamo smesso di dirle di non fare niente e andare dalla maestra. Fabrice, in particolare, le ha raccomandato di non cominciare mai, ma se un bambino l’attacca lei deve difendersi e restituire il pugno.

Ha funzionato?
Sì. Hanno iniziato a darle molto meno fastidio e lei ha esteso lo scudo di protezione anche alle sue amiche, soprattutto le più fragili. Non mi preoccupo perché di fondo Talitha è dolce, generosa e super affettuosa, non rischia di diventare aggressiva.Però ora sa farsi rispettare. Mentre se avesse continuato a prenderle magari da più grande, chissà, avrebbe avuto una reazione sbagliata.

Com'è crescere un figlio in Francia?
Anche se Parigi ormai è casa, abbiamo tanti amici, siamo circondati da belle persone, io sento la cultura diversa. Un po' punitiva. Noi in confronto siamo caldissimi. I francesi rimproverano tanto, hanno una certa rigidità.
Un dettaglio significativo: per rassicurare i bambini invece di “va tutto bene” dicono “non è grave”. Ricordo Talitha a tre anni, le era caduto un bicchiere e ha iniziato a ripetere «c'est pas grave maman, c'est pas grave». E io le dicevo«certo che non è grave», ma mi sono immaginata nella sua testolina già una gerarchia di atti gravi, gravissimi, meno gravi...

Ma va felice a scuola?
È capitata in una scuola molto speciale. Statale, di quartiere, applica il metodo Freinet. Fanno molto lavoro di gruppo e si muovono liberi, senza pareti, all’interno di un enorme loft dove condividere lo spazio. Un posto dove anche i genitori sono simpatici e si riesce a fare comunità, i bambini dormono una volta a casa di uno e un’altra a casa di un altro. Mi piacerebbe che crescendo mia figlia mantenesse questa apertura, restasse una ragazzina socievole. Vediamo.

In Francia le bambine vengono vestite più come donne in miniatura o hanno un’attitudine nordica alla Pippi Calzelunghe?
Donnine con la scarpina così, la magliettina cosà. Mentre io sono una grande estimatrice della tuta. Quando Talitha a tre anni è tornata a casa dicendo che voleva la gonna, ho parlato con le altre mamme, ho detto: «Vi va di cercare di metterne un po' meno di queste gonnelline?». Qualcuna non ha gradito ma in generale hanno seguito un po' l'onda. Io, dall'altra parte, mi sono ammorbidita e ho iniziato a comprarle qualche vestitino più carino.

Come si fa a crescere una bimba senza che il concetto di bellezza le condizioni l’esistenza?
C'è stato un periodo in cui a scuola imparava dalle altre che bionda è più bello che bruna. Un giorno mi ha detto proprio «mamma, vorrei essere bionda». Non lo potevo accettare! Le ho spiegato che sono belle le persone generose, che hanno attenzione per gli altri e sanno stare con tutti. I colori, l'altezza, non fanno nessuna differenza. Un giorno eravamo da amici e c’era accesa la televisione, noi abbiamo un proiettore per i film e le serie in streaming, ma non è abituata alle pubblicità. Ha visto una modella che si metteva una crema sul viso ed è andata decisa di fronte allo schermo. Ha esclamato: «Guarda che non sei più bella se ti metti quella crema, sei bella se sei gentile!». Va be', il messaggio sembra sia passato, abbiamo riso tutti.

Però un po’ di frivolezza nella vita aiuta! O no?
Credo di aver ereditato lo stile di mia nonna: un femminile un po’ amazzone, che forse in un certo senso è una negazione del femminile, almeno del cliché. Mi ha regalato un grande senso di indipendenza però sì, forse siamo state un po’ troppo soldatine noi di questa generazione, troppo coi pantaloni. Cerco di regalare a Talitha il gusto anche per altro, se vuole giocare a truccarsi a casa, come cosa rara e speciale glielo concedo. Quello che resta nella sfera ludica va bene, anche perché se tutto diventa una privazione rischio di trovarmela a 13 anni col mascherone di nascosto, quando esce di casa. Sto applicando il metodo di mia madre, che mi ha sempre lasciato libera di fare tutto. Ha presente la frangia bombata che negli anni 80 ci facevamo tutte? Mia mamma non mi ha detto mai niente finché circa 15 anni fa parlando con amici disse: «Mamma mia, nel periodo del frangione eri orrenda!» E io: «Ma perché lo scopro solo adesso?». «Avevo paura che se te l’avessi detto sarebbe durato all’infinito». Credo di dover fare lo stesso con Talitha. Troppi paletti poi diventano desideri profondi.

Lo spavento più grande che si è presa in qualità di madre?
I primi dello scorso ottobre sono partita per la promozione di Sisters in Arms nel Kurdistan iracheno. Talitha aveva una febbrettina che allo scalo in Qatar era salita. Fabrice era un po’ agitato ma la bambina era tonica e muoveva bene il collo - ho l'incubo della meningite - per cui ero abbastanza tranquilla. Ma atterrando a Sulaymaniyya le cose non erano migliorate e il giorno dopo il medico disse che era polmonite. Solo che Talitha non riusciva a tenere giù l’antibiotico perché vomitava e la febbre era altissima. Fabrice era entrato in uno stato confusionale e mi ha chiamato dal taxi mentre andavano in ospedale, mi ha detto: «Non parla,è catatonica». Mi sono sentita morire e ho gridato «passamela!». Quando ha sentito la mia voce ha sussurrato«mammaaa». Ok, non era catatonica,ho detto a Fabrice: «Come puoi usare una parola come questa senza costrutto? Non farlo mai più». Ho provato un immenso pa-ni-co. 48 ore da incubo in cui volevo tornare a casa ma l’unico volo prima del mio faceva scalo in Turchia, e dopo un film come questo non credo sarebbero stati contenti di lasciarmi andare.

E l’errore più grande che crede di aver fatto con lei?
Be’, tanti. Ma uno... Era l'età terribile dei mille capricci. Talitha faceva il bagnetto, che adorava, ma aveva deciso che la cosa più divertente era tuffarsi. Io a dirle smettila, ti fai male, ho provato in tutti i modi ma niente. Ho iniziato ad alzare la voce, e continuava. A un certo punto l'ho presa così com’era, zuppa, e l’ho appoggiata in piedi nel corridoio, perché il bagno era un lago. Me la vedo ancora, tutta nuda col suo panciottino bombato, distrutta dalle lacrime in corridoio e sola, perché io la guardavo inferocita, io che l'ho sempre avvolta nell’asciugamano prima ancora che uscisse dall'acqua. Avrà visto il mio viso esanime mentre non sapevo cosa fare. Avevo raggiunto un tale livello di stress e fatica che non ne potevo più, non vedevo l’ora di metterla a dormire. Dopo, credo di aver pianto un’ora, assalita da una valanga di sensi di colpa, non solo per quel gesto finale ma perché ero stata stanca e nervosa tutto il pomeriggio.

Tutto qua?
Ieri mi sono dovuta arrabbiare, per gioco mi ha lanciato una pantofola in faccia. È un po’ maschiaccio, mi fa gli agguati dal divano, 25 chili d’amore sul collo e magari sono appena tornata dall’osteopata. Poi le ho detto: «Lo sai vero che anche quando mi arrabbio non smetto di amarti neanche per un microsecondo?». E lei: «Davvero?».Per noi cinque minuti di rabbia non vogliono dire niente, a loro cade il mondo in testa.

Quanto vi mancate quando siete separate?
Io sto bene se sento che è allegra col papà. Altrimenti sto malissimo. Talitha... Fabrice dice che quando non ci sono è diversa. Felice e serena lo stesso, ma senza quella cosa esplosiva che c’è quando siamo tutti e tre insieme. Una volta usavamo Skype quando ero via, poi mi ha detto che non le piaceva, che quando mi vedeva in video diventava triste perché le veniva voglia di toccarmi e non poteva. Adesso sono passata ai messaggi vocali. Prendo un libro e lo leggo, registro un capitolo a sera e poi il papà glielo fa sentire. Così non si sente in dovere di interagire con me. Ascolta tranquilla. La voce la rassicura tanto. ✿