L’ultima sera alla Casa Bianca, Michelle Obama ha avuto un problema: le amiche delle figlie volevano dormire lì, fare un ultimo pigiama party tra ragazze e, la mattina dopo, godersi la ricca colazione che viene servita al 1600 di Pennsylvania Avenue di Washington. Michelle le ha fatte uscire di corsa dicendo “datevi una mossa, stanno arrivando i Trump”. Sono passati tre anni da allora e Michelle non si è fermata. La ex first lady ha scritto un libro (Becoming – La mia storia, in Italia è pubblicato da Garzanti) e, per presentarlo, ha fatto un tour di oltre 30 date in giro per gli Stati Uniti, incontrando la gente a piccoli gruppi o in palazzetti dello sport pieni all’inverosimile. Da questo tour è nato il documentario intitolato come il libro che da 6 maggio è su Netflix.

Ricostruisce la storia di Michelle e della sua famiglia d’origine, il suo incontro con Barack, gli anni alla Casa Bianca, ci racconta tante cose che già sappiamo ma lo fa in una nuova prospettiva. È la preparazione del terreno per una candidatura alle elezioni americane del 2024? Chissà. Intanto impariamo a conoscerla meglio. Ha doti di comunicazione rare: è naturalmente una donna empatica ma ha anche studiato come si fa a sembrarlo sempre, a sembrarlo ancora di più. È una baby boomer classica: ascolta un sacco di musica e tende a giudicare le persone per il tipo di musica che preferiscono. (A questo proposito c’è un fantastico siparietto con la capa del suo staff che ascolta… Barry Manilow). Dice diverse cose inattese ma probabilmente molto vere: “l’amore non risolve i problemi” sui primi anni con Barack e una crisi che li ha portati da un consulente matrimoniale, “non è stato facile diventare madre e capire che avrei dovuto ridimensionare le mie aspirazioni” sulla maternità mentre la sua carriera di avvocato era in piena corsa, “speravamo che la gente fosse più pronta per noi” sull’essere la prima coppia nera alla presidenza degli Stati Uniti.

Barack appare nei materiali di repertorio e anche una volta dal vivo, a sorpresa, durante uno degli incontri di Michelle davanti a una gran folla. Lo definisce il momento “Ecco Jay-Z che fa la sua apparizione a un concerto di Beyoncé”. È la versione pop, African American e contemporanea di quel famoso “Sono l’uomo che ha accompagnato Jacqueline a Parigi” pronunciato dal presidente John Kennedy durante un viaggio di Stato nel 1961.

Michelle incontra giovani e anziani, neri e bianchi, latini dei barrios e nativi americani delle riserve, a tutti domanda “raccontami la tua storia”, a tutti ripete “tu sei la tua storia, non sei una statistica, tu meriti di andare avanti”. La foga e l’intensità con cui Michelle incita all’ambizione risiede in quel giorno in cui alla fine del liceo andò a un colloquio di orientamento agli studi e quando disse: “Voglio andare a Princeton”, l’insegnante che la stava intervistando le disse che “non era adatta”.

Ci andò lo stesso e sopravvisse anche alla madre della compagna di stanza che portò via la figlia perché “stare in camera con una nera poteva essere pericoloso”. E poi sapete come è andata.

Insomma, se sentite il bisogno di un’ora e mezza di “women empowerment”, guardatevi questo film. Michelle Obama è la versione migliore di Cenerentola. Una versione al cubo. C’è il principe azzurro e soprattutto c’è una tonnellata di autostima da assorbire, l’happy ending migliore per tutte noi.