Ragazza incontra ragazzo, si innamorano per la prima volta alle superiori. Si lasciano, si riprendono, crescono. È la storia più banale del mondo, raccontata già tantissime volte dal cinema e dalla serialità televisiva, così tante che oggi arriviamo a interrogarci se non sia perfino riduttivo continuare a raccontarla, perché là fuori ci sono tantissime altre forme d’amore meno raccontate, che non sono solo quelle di una coppia etero che si conosce sui banchi di scuola. Eppure, nel caso di Normal People ci troviamo di fronte al fatto innegabile che esistono ancora modi inediti di raccontare le storie che abbiamo già sentito mille volte. Il grandissimo successo del romanzo di Sally Rooney ne è già una prova, ma il suo omonimo adattamento seriale (curato da Rooney stessa con Alice Birch e Mark O'Rowe) ne è la definitiva conferma. Diretta da Lenny Abrahamson e Hettie Macdonald e in onda sia su BBC One che su Hulu, Normal People traduce ed esalta in immagini la storia di Marianne e Connell e del loro amore che li accompagna dall’adolescenza all’età adulta, dall’incontro come studenti nella provincia irlandese a universitari a Dublino, dandoci la prova di come sia possibile dire cose già dette sull’amore, sull’adolescenza e sulla crescita, sulla mascolinità e sulla femminilità, sul sesso, facendole sembrare però completamente nuove.

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Il segreto di Normal People non è soltanto quello di un casting perfetto dei protagonisti – la chimica eccezionale di Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal pare sia stata istantanea fin dalla prima lettura ed è stata senz’altro aiutata dalla presenza costante di un intimacy coordinator che li seguiva in ogni scena di sesso – ma anche della capacità di dominare totalmente il materiale letterario a disposizione. Il romanticismo della storia di Marianne e Connell, così realistico e carnale, non poteva essere messo in scena approfittando dei soliti stereotipi del film romantico e infatti la serie decide di lasciare pochissimo spazio all’immaginazione dell’intimità, preferendo piuttosto uno stile quasi documentaristico, in cui i silenzi e i non detti sono lasciati liberi di comporre un ritratto dell’amore quanto più possibile vicino alla realtà dell’amore adolescenziale. Che come sappiamo, è l’amore dell’incertezza, l’amore del non sapere ancora chi si vuole essere, l’amore dell’età in cui si è ancora in parte analfabeti dei sentimenti e tantissimi conflitti (con l’altra persona e con se stessi) avvengono per la prima volta e spiazzano.

La regia vicinissima ai corpi, ma senza mai indugiare morbosamente su di essi, lavora usando lo stesso linguaggio che aiuta i due protagonisti a leggersi a vicenda: il sesso, che diventa un elemento così centrale nella storia non solo per la sua importanza narrativa, ma anche per la capacità di essere messo in scena in ogni sua sfumatura (dalla spontaneità al disagio, dalla complicità alla dissoluzione dell’intimità) e con una qualità genuina, esplicita e cruda che non sfocia mai nel compiacimento ma anzi fa risaltare attraverso l’atto fisico le emozioni che vengono di volta in volta nascoste, trattenute o che esplodono. Rinunciando a “mostrare i muscoli” nella messa in scena, Normal People trasporta chi guarda in un universo così plausibile da scatenare un’empatia immediata e un coinvolgimento profondo nei destini dei suoi personaggi, aiutata da una scrittura che lavora altrettanto in sottrazione e che da una parte prende a cuore la tridimensionalità dei personaggi, dall’altra lascia ampio margine di spazio all’ambiguità del reale.

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Come nella realtà, in questa serie non è necessario davvero sempre spiegare tutto: la storia comincia in medias res, i salti temporali non sono mai colmati dal racconto di quello che è successo, gli alti e bassi dell’amore, le separazioni, si dipanano lungo l’arco orizzontale ma rimanendo in sudditanza di una struttura che, trasformando il libro in dodici capitoli, privilegia comunque la consistenza interna all’episodio, evitando di trasformare la storia semplicemente in un lungo romanzo ma rendendo merito e sfruttando appieno il medium televisivo. Il risultato finale è un equilibrio magistrale tra gli elementi che è la chiave della riuscita di uno show televisivo che voglia dar risalto a ciò di cui parla anziché all’ego di chi la realizza, ma questo non significa che la qualità del lavoro filmico fatichi a notarsi, anzi si può dire esattamente il contrario. Le scelte scenografiche e i costumi arricchiscono il discorso complesso che la serie fa su classe e privilegio (e su come questi incidono prepotentemente sulla relazione tra Marianne e Connell) e accompagnano alla perfezione la transizione all’età adulta, mentre la colonna sonora è il complemento ideale ai silenzi e ai non detti, rafforzando la malinconia dei momenti senza mai sovrastare la narrazione. Ogni elemento, in Normal People, è studiato con cura per contribuire con una pennellata leggera al racconto ma senza mai sovrastare la vicenda narrata, offrendo a questa storia d’amore così normale la possibilità di esprimersi pienamente nelle sue potenzialità universali. Raramente si può dire che un adattamento soddisfi quanto il libro da cui prende origine, quasi mai che lo superi, ma in questo caso certamente si può dire che il romanzo di Sally Rooney abbia trovato nella serialità televisiva un luogo ideale dove esprimersi appieno.