Alcune aristocrazie orientali sembrano pianeti lontanissimi, separati dal resto del mondo da chilometri di consapevolezze ancora da raggiungere (ma che un giorno o l’altro arriveranno). Abbiamo seguito, e lo facciamo ancora, la storia della principessa Haya di Dubai e delle sue figliastre sparite nel nulla, quella del re di Thailandia barricato nell’hotel in Baviera con un centinaio di collaboratori che secondo alcune fonti starebbe trattando come schiavi. Adesso entra nel cono di attualità anche l’Arabia Saudita, un paese certo non famoso per il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle donne. Sappiamo che solo dall’anno scorso è consentito alle donne di entrare allo stadio per assistere a una partita di calcio (l’occasione è stata la finale di Supercoppa Juve - Milan, e comunque le donne vanno in un settore a parte). Sappiamo che le donne saudite hanno dovuto attendere fino al 2018 per guidare un’auto. E sappiamo che le donne non possono fare praticamente nulla senza l’approvazione di un uomo. Ognuna di loro ha un tutore.

L’ultima rivelazione sulla corte dell’Arabia Saudita viene da una insider molto particolare, l’ex dama di compagnia di una principessa, che ha raccontato la sua storia al Times. Si chiama Catherine Colement, è un’ex antiquaria francese e ha lavorato a palazzo fino a cinque anni fa. Aveva accettato il lavoro per fare un’esperienza diversa, anche perché la retribuzione offerta era molto alta. Catherine Colement non ha voluto fare il nome della principessa saudita, ma ha raccontato che questa aveva uno staff di dodici ancelle filippine che trattava in maniera disumana. “Non avrei mai immaginato di assistere a simili atti di crudeltà”, ha detto l’ex assistente della principessa. La vita delle dodici donne doveva rispettare un protocollo di quattro pagine da imparare a memoria con cui si imponeva il divieto di contraddire un membro della famiglia reale, anche se sbagliava, di non voltargli mai le spalle, di non avere relazioni intime ma neanche di simpatizzare con altri membri dello staff che era composto, oltre che dalle ancelle, da maggiordomi, assistenti, insegnanti, governanti e tate in ordine di importanza. Una volta picchiata o torturata una delle serve, la principessa le donava un gioiello di valore modesto e quella era costretta ad accettarlo come conferma di averla perdonata. Se si trattava di donne con gravi difficoltà economiche, è comprensibile perché accettassero di stare lì.

Le ancelle/schiave non avevano né orari di lavoro, né ferie. Potevano essere chiamate in ogni momento, anche quando dormivano. Praticamente ridotte in schiavitù. Colement ha provato di nascosto a prendere confidenza con qualcuna di loro e le hanno mostrato le foto sui telefoni che si erano scattate allo specchio, in privato. Corpi coperti di lividi e ferite. Una volta Catherine ha assistito a una delle punizioni inferte dalla principessa a un’ancella: questa le ha fatto gettare addosso un secchio d’acqua gelata e poi l’ha costretta a restare fuori tutta la notte in balia dell’escursione termica. Non è la prima volta che i membri della famiglia reale Saudita si distinguono per la loro ferocia. Una figlia del re dell'Arabia Saudita, Hassa bint Salman, è stata processata in Francia per aver umiliato e picchiato un operaio francese nel suo appartamento parigino. Il principe ereditario Mohammed bin Salman è presumibilmente coinvolto nell’omicidio del giornalista Khashoggi. E poi c’è la storia della principessa Basmah, di cui si sono perse le tracce nel marzo del 2019 mentre cercava di lasciare il paese, diretta in Svizzera. Secondo le fonti delle associazioni sui diritti, sarebbe rinchiusa in prigione da un anno senza un motivo preciso. Violazioni dei diritti su cui la comunità internazionale chiude un occhio a causa dell’enorme influenza economica di questa famiglia.

Catherine Colement ha resistito a quello spettacolo per soli tre mesi. Lei stessa, spesso doveva lavorare fino alle 4 del mattino e una volta a Parigi, dove si è recata spesso con la principessa, ha dovuto ripulire il bagno più volte perché questa si lavava e cambiava anche cinque volte al giorno. Niente al confronto con le torture, le punizioni, le umiliazioni subite dalle cameriere nel palazzo a Riyad, dove lei aveva il ruolo di distribuire i compiti al personale. Ora, l'ex antiquaria si biasima per non essersi posta delle domande quando sul suo contratto di assunzione c’era scritto che il datore di lavoro si sarebbe dissociato nel caso in cui, eseguendo gli ordini, fosse stata arrestata per aver infranto le leggi dell'Arabia Saudita. C’era anche una clausola in cui si impegnava a non far sapere alla sua ambasciata francese del suo rapporto di lavoro, né di chiederne mai l’intervento, nemmeno un eventuale avvocato per difenderla, in caso di problemi legali. Inoltre, appena arrivata, le era stato chiesto di depositare il passaporto nella cassaforte della principessa.



Quando ha capito che doveva andarsene, Catherine ha fatto di tutto per mostrarsi inadatta al ruolo e farsi cacciare. Le era stato chiesto di punire per furto un gruppetto di ancelle, sparpagliando i loro effetti personali a terra e sporcandoli di sciroppo, solo perché era stata trovata una ciotola di zucchero nella loro stanza. Catherine svolse solo la parte degli oggetti sparsi e la principessa ritenne che non era abbastanza zelante, né severa. La mandò persino a fare una valutazione psicologica al suo ufficio delle risorse umane (?!). Ma la figura cruciale è risultata il fratello della principessa, molto più comprensivo di lei, che ne è anche il tutore legale. È stato l’uomo, in un atto di complicità con Colement, a dare l’ok per il licenziamento. Catherine Colement è riuscita così a riavere il passaporto e a tornare a casa, non senza uno scontro acceso con la sua datrice di lavoro che ora spera di non incontrare mai più. Ma in questi cinque anni non ha mai smesso di pensare alle ragazze che vivono in una situazione paragonabile solo al romanzo The Handmaid's Tale. Per questo ora ha deciso di raccontare tutto al Times, anche se probabilmente la loro situazione non cambierà.