Dillinger è morto. Ma è morto anche Michel della Grande abbuffata. Paul del Disprezzo. Henri di Bella di giorno. Jacques di Topaz. L'ispettore de La Guerra è finita. Papa Melville di Habemus Papam. Il 18 maggio a 94 anni è morto soprattutto Michel Piccoli, l'ultimo gigante del cinema francese. Forse il più italiano di tutti. E non solo per quel cognome che si portava dietro con orgoglio, merito del padre musicista scappato oltralpe dopo l’avvento del fascismo. Era il più italiano di tutti perché dei nostri connazionali aveva le gestualità, le espressioni, l’indole focosa. La genialità e fierezza. Era tenebroso, ironico e seducente. Un’icona assoluta, totale. Tutti i nostri registi più grandi hanno lavorato con lui: da Ettore Scola a Nanni Moretti, da Elio Petri a Marco Ferreri. Avrebbe sognato di recitare con Antonioni, ma non c’è mai riuscito. È stato un pozzo senza fondo di personaggi irrisolti, complessi, tormentati fino alle viscere. Prorompente, anche grazie al suo fisico, eppure fragilissimo. Imperioso e docile. È stato capace di insinuarsi nei meandri scivolosi dei ruoli più scomodi, volteggiando sempre senza cadute di stile.

Sopracciglia orgogliose, scure, folte, amava dire di sé “Sono un vecchio dai ricordi tormentati”. Classe 1925, originario di Parigi, è apparso per la prima volta sul grande schermo appena ventenne nel film Sortilèges di Christian-Jaque. Il suo primo ruolo importante è invece del 1949 ne Le Point du jour di Louis Daquin. In quegli anni frequentava le brasserie e i bar di Saint-Germain-des-Près. Era esistenzialista, ma a modo suo. Prendeva il caffè con Jean Paul Sartre, disquisiva di politica con Boris Vian e si innamorava perdutamente di Juliette Gréco (che sposerà nel 1966 e divorzierà undici anni più tardi). Ha amato (molto) Romy Sneider («Ci siamo lasciati andare a gesti non sempre onesti, ma che non hanno mai distrutto la nostra amicizia»).

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Con Romy Schneider

«Sono un grande professionista, - diceva - ma ho conservato il cuore di un principiante e di un uomo costantemente alla scoperta». Aveva fatto la gavetta, aveva girato la Francia dalla Bretagna alla Provenza, con le compagnie teatrali di Renaud-Barrault e Grenier-Hussenot. Poi, all’improvviso, è diventato Michel Piccoli. Prima grazie a Luis Buñuel, con il quale ha collaborato più di vent’anni, dal '56 al '74, e poi con Jean-Luc Godard. È stato lui a offrirgli nel 1963 il ruolo di Paul, nel film Il Disprezzo accanto a Brigitte Bardot. Nulla da quel momento sarà più come prima. «Ti amo totalmente, teneramente, tragicamente», dice Michel a un tratto della storia. E questa frase riassume in un colpo solo ciò che rappresenterà per lui il cinema: qualcosa di assoluto, di dolce e crudele.

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Anti star convinta, Piccoli ha girato in centosettantasei pellicole e una cinquantina di opere teatrali. È stato un vero camaleonte che ha sempre avuto il fegato di scommettere. Perché se è vero che lo hanno voluto i più grandi del cinema (da Jean Renoir fino a Hitchcock), lui di contro ha spesso rischiato, scegliendo di lavorare con cineasti sconosciuti e di talento. E di interpretare ruoli sempre al limite, pericolosi, quasi scandalosi. Come quello del padre incestuoso nel durissimo La Fille di Jacques Doillon, o di Marc, vecchio killer in Rosso sangue di Leos Carax. Ha vinto molti premi, ma ne avrebbe meritati ancora di più. Il Premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes, per Salto nel vuoto di Marco Bellocchio nel 1980; l'Orso d'argento come miglior attore per Gioco in villa di Pierre Granier-Deferre nel 1982, e più recentemente il David di Donatello per il profetico Habemus Papam.

In un’intervista del 2000 aveva detto «Se non ci facciamo carico delle questioni aperte, dei dubbi e delle delusioni della nostra società, che senso ha fare gli attori?». Ed è esattamente ciò che ha fatto per tutta la sua vita. Da interprete, ma anche da persona attiva politicamente. Da giovane era stato un simpatizzante del movimento pacifista comunista e da allora non ha mai abbandonato l’impegno. Nel 1981 è sceso in campo per François Mitterrand, nel 2007 per Ségolène Royal. Durissime le sue accuse verso il Fronte nazionale guidato da Marine Le Pen. Nella sua autobiografia Ho vissuto i miei sogni, pubblicata nel 2015 e scritta insieme all’ex presidente del Festival di Cannes Gilles Jacob, aveva scherzato sulla sua morte, forse per esorcizzarla: «Ho fatto un patto con Dio che mi ha dato la possibilità di vivere metà dell’eternità».

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