Era veramente “una ragazza del secolo scorso” come s’intitola la sua autobiografia uscita nel 2005 (edita da Einaudi). Complessa, intellettuale, rigorosa, gentilissima, Rossana Rossanda era quella che noi senza fantasia chiameremmo “una vera signora”. Nel 2000, la incontrai al bar di Radio Rai 3, dove conducevo una trasmissione. Per me era un mito, un riferimento culturale così potente nel suo essere pensatrice politica e conoscitrice profonda delle cose del mondo, da farmi piccolo piccolo, convinto che non mi rivolgesse parola se non per chiedermi di passarle lo zucchero. Ma quando, presentati da un’amica comune, le spiegai che ero lì per lavoro, mi disse che la moda, per lei, era molto importante come espressione di un popolo e, insieme, di una singola personalità. Comunista per vocazione tanto da essere fatta fuori dal partito comunista, così intimamente femminista tanto da andare contro certi pensieri estremi ed estremismi dell’allora “Movimento delle donne”, era lì a parlare educatamente, fermamente, di eleganza e compostezza dell’apparenza. Così necessaria - ricordo perfettamente le sue parole, per “contrastare un maschilismo presente non solo nella politica, ma in generale nella cultura del nostro Paese, tanto che alcune donne mi hanno definito “donna di Potere”. Ma era proprio quello che volevo diventare in nome loro e per la loro difesa. In realtà il potere mi sembra la peggiore delle tentazioni”.

Rossana Rossanda ostacolava l’idea di un consesso umano fondato sul codice binario maschio/femmina prima che diventasse di moda il discorso del genderless. A lei interessava una collettività meritocratica, non impegolata da pregiudizi legati ai cromosomi. Non era d’accordo sull’esaltazione della differenza sessuale, ma sulla difesa dell’uguaglianza e sull’intreccio tra conflitto di classe paragonabile al conflitto di genere. Parlammo di come il modo di vestire era stato fondamentale per i ragazzi e le ragazze dei primi anni 60, che iniziarono indistintamente a portare i jeans e i pullover unisex: una moda, come la musica, totalmente diversa da quella dei loro genitori, così come libri come On the Road e l’uso dell’autostop rappresentavano il rifiuto a un linguaggio patriarcale ed esemplificato di un comportamento “perbene” strumentale a una struttura tradizionale delle relazioni, basate su modelli per lei, già allora, iniqui. Era molto composta, vestita di nero - “sa, ho una sarta di fiducia e due-tre modelli che faccio ripetere tutti uguali in colori diversi, mai stampato - e una spilla evidente, solida, brillante”. Era “stordita dalla volgarità” di un linguaggio televisivo che 20 anni fa cominciava a farsi strada nelle risse televisive, perché anche quella era una forma di sopraffazione fascista, “e io il fascismo me lo ricordo bene”.

Questo Secolo l’aveva delusa, lei cresciuta a faticosi studi e a montagne di ideali. Cosa ne pensasse dell’attuale sinistra italiana, l’ha detto a Concetto Vecchio, nell’ultima intervista a Repubblica concessa nel 2018: “Milioni di persone votavano a sinistra perché nel suo dna c’era la difesa dei più deboli. Questo non lo pensa più nessuno”. Capelli bianchi, che le erano venuti a 32 anni e mai avrebbe tinto in tutta la sua vita, era così completa nella visione da non accettare alcuna forma di riduzionismo, fosse anche quello di stare nel mondo senza porsi la domanda di come presentarsi al mondo in maniera credibile ma tale da non rinunciare alla propria personalità. E allora anche il vezzo del neo sul labbro, la sobrietà come bandiera di pensiero e non di neopauperismo così in voga negli anni Settanta, la consapevolezza che le battaglie delle donne si dovevano portare avanti senza rinunciare alla complessità e alla libertà di essere se stesse, le hanno permesso di essere un faro nei riferimenti socio-culturali del secolo scorso, appunto. E le hanno anche permesso di fare una piccola chiacchierata con un giornalista di moda che non si sentiva neanche degno di lucidare le sue semplici scarpe a mezzo-tacco nere. Lucide come il suo cervello fino all’ultimo giorno di vita. Una vita lunga, tormentata, vissuta nella discrezione dei sentimenti e nella luce accecante delle sue convinzioni. Sì è spenta a 96 anni in un anno orribile, dove stanno scomparendo le nostre grandi maestre. E che lascia tutti e tutte un po’ più al buio.