Sostiene Lily Cole di essere stata afflitta «da solastalgia. Lei no?». Quando, nella conversazione via Zoom, intravvede nell’interlocutore lo sguardo sperduto di chi non sa di cosa stia parlando, con benevolenza spiega. «È una combinazione della parola latina solacium (conforto) e della radice greca -algia (dolore): quel tipo di malinconia che provi quando sei a casa e il tuo ambiente familiare sta cambiando intorno a te in modi profondamente negativi. Insomma, la nostalgia che senti per un luogo nonostante vi si continui a risiedere». Ora l’ha superata, grazie a quattro anni di intenso lavoro che le sono serviti per scrivere Who Cares Wins - Reasons for Optimism in Our Changing World (Rizzoli Ex Libris), un volume che alterna momenti biografici ai dati scientifici sui perché e sui percome dobbiamo immediatamente darci da fare per salvare il malmesso pianeta che ci ospita. Il saggio è corredato da incontri con quelli che lei chiama i Wizards (i maghi dell’innovazione, che usano le tecnologie per trovare soluzioni sostenibili) in contrapposizione ai Prophets (quelli che predicano di ridurre tutto: meno abiti, meno viaggi, meno consumi, zero carne). Già supermodella, già attrice, già laureata in Storia dell’arte a Cambridge, già insignita di un’ulteriore laurea honoris causa dall’Università di Glasgow, già fondatrice di impossible.com (sito di gift economy che auspica l’affermarsi di un commercio basato sullo scambio dove l’unica moneta corrente è «Sì, grazie. E io, che posso fare per te?»), già creative partner del Brontë Parsonage Museum - dedicato alle sorelle scrittrici -, già videomaker, già fotografa, già filantropa, a 32 anni appare sullo schermo del computer in pieno mood Prophet. I leggendari capelli rossi raccolti con un elastico, niente makeup, una camicia maschile forse sottratta al suo compagno Kwame Ferreira, imprenditore più vicino ai Wizards e padre della loro figlia Wylde che ha cinque anni e segue corsi di home-schooling. Parla dalla biblioteca della sua casa nel Sussex, circondata dalla foresta, dove ha trascorso la sua quarantena, «cosa per cui mi ritengo molto fortunata».

la copertina del libro who cares wins di lily cole rizzoli ex librispinterest
Courtesy Rizzoli Ex Libris
La cover del saggio di Lily Cole Who Cares Wins (edito da Rizzoli Ex Libris).

Nell’introduzione scrive che, mentre stava correggendo le bozze, si è ritrovata nel bel mezzo della pandemia da Covid-19. Certo che essere ottimisti in una situazione del genere richiede una certa dose di coraggio.
Essere ottimisti è una scelta. Non è una maniera per consolarsi, per dirsi “andrà tutto bene”, pensando che siano sempre gli altri a occuparsi del climate change o di tragedie simili. L’ottimismo implica l’essere chiamati ad agire immediatamente, perché altrimenti ci estingueremo. Ma implica anche una meravigliosa opportunità: quella di poter essere i primi a non permettere la distruzione del pianeta.

Il libro è una sorta di indagine sull’ambientalismo analizzato da vari punti di vista - economici, sociali, culturali, femministi, scientifici - ma in cui lei non esprime mai giudizi draconiani.
Sono abbastanza umile da riconoscere di non avere “la” verità definitiva, e quindi ho preferito chiedere, informarmi, parlare con persone che ne sanno più di me. Ma non si preoccupi: nella mia vita privata sono molto giudicante e fin da bambina ho combattuto per difendere la natura e salvaguardare chi verrà dopo di noi. Perché noi siamo gli antenati del futuro. Poi, certo, siamo tutti imperfetti: ma, come dice l’attivista e chef Anne-Marie Bonnau, «non abbiamo bisogno di pochissime persone che si comportino perfettamente, ma di milioni che ci provino imperfettamente».

La stilista Vivienne Westwood si augura che lei un giorno diventi «controllore del mondo». Se per un giorno fosse dotata di ogni potere, cosa farebbe?
Bella domanda: cercherei di combattere il concetto di “potere” com’è inteso oggi, con tutto il suo portato di ingiustizie e di indifferenza. Attenzione: il potere, per me, non è una parola da intendere con un’accezione solo negativa. Dipende da come lo si gestisce: per esempio, la moda ne ha molto. È una piattaforma per lanciare messaggi, diffondere riflessioni sui consumi. E poi, se fossi così potente, metterei una tassa molto salata su chi inquina.

attends the costume institute gala for the "punk chaos to couture" exhibition at the metropolitan museum of art on may 6, 2013 in new york citypinterest
Dimitrios Kambouris
Lily Cole al Met Ball del 2013 come testimonial di Vivienne Westwood (qui con il marito Andreas Kronthaler), di cui indossa un abito da sera in tessuto riciclato.

Mi dica quattro cose che possiamo fare quotidianamente per salvare la Terra.
La prima probabilmente a molti non piacerà: eliminate o limitate al massimo il consumo di carne, perché il problema degli allevamenti intensivi sta diventando quasi insormontabile. La seconda: non disfatevi di quel che avete, dai vestiti ai cellulari, ma chiedetevi a ogni acquisto: «Ne ho davvero bisogno?». Al terzo posto: non solo amministrare con saggezza ed equità il proprio denaro, ma tentare di redistribuire la ricchezza. E infine: reinnamoratevi della natura, è bellissimo. L’ambientalismo non è rinunciare, è cambiare mentalità.

Nel mondo della moda, dopo la pandemia, si è molto parlato di «comprare meno, ma meglio», puntando più alla qualità che alla quantità. E lo stesso si può dire del cibo biologico, del design duraturo... Per essere veramente green si deve essere ricchi?
(Ride fragorosamente, ndr). Istintivamente la mia risposta oggi sarebbe: «Sì». Ma non è vero: più le persone chiederanno un certo tipo di prodotto, più le multinazionali saranno costrette a rivedere i costi. Comunque è scientificamente provato che chi contamina l’ambiente, in maggior misura, sono i ricchi. Punto.

Leggendo Who Cares Wins, ho trovato estremamente interessante il legame tra ecologia e racial e gender equality... Come le è venuto in mente?
Studiando la storia e parlando con molte attiviste. Per documentarmi, sono andata in Svezia a incontrare uno scienziato del Paese - che tutti consideriamo avanzatissimo - in cui solo il 16 per cento dei terreni è posseduto da donne. E nel mercato del lavoro le start-up femminili raggiungono a malapena il 30 per cento del totale. Nei secoli, le donne che avevano proprietà le consegnavano come dote al marito. Così finivano per somigliare agli schiavi in America: perché spesso erano proprio le donne a gestire villaggi e coltivazioni, ma senza poter avanzare diritti. E nel mondo questo si è riverberato anche nella storia delle relazioni tra uomini e donne, tanto che oggi il presidente Bolsonaro osa dire che «il Brasile è una vergine desiderata da ogni pervertito straniero». Ma la marginalizzazione delle donne e la distruzione della biodiversità vanno a braccetto, come dice l’ambientalista indiana Vandana Shiva.

lily cole a 9 annipinterest
Patience Owen
Lily Cole a 9 anni già contestava l’uso delle pellicce, che non ha mai voluto ibdossare neanche quando era una supermodella.

È per questo che al suo compagno ha fatto firmare un contratto su un post-it per gestire a metà la cura della vostra bambina prima che nascesse?
Non esageriamo. Non era proprio un contratto, anche se mi sento di raccomandarlo a tutte le quasi-mamme. Era un impegno a occuparci in misura uguale di Wylde, una promessa che abbiamo mantenuto. Uomini e donne non sono nemici. Perché solo tutti insieme possiamo evitare una catastrofe ampiamente annunciata.

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Hazel Thompson
Lily Cole in Ghana, mentre carezza un albero di Karité, dai cui semi si ricava il burro usato nella cosmesi ed è l’unica fontedi Guadagno per le donne locali.