Addio a Enzo Mari, il grande Maestro del design italiano è morto il 19 ottobre 2020 all'età di 88 anni all’ospedale San Raffaele di Milano dove era ricoverato. Ad annunciarne la scomparsa anche Stefano Boeri che su Facebook lo saluta così: "Ciao Enzo. Te ne vai da Gigante”.

Nato a Cerano (Novara), nel 1932, Enzo Mari ha frequentato l’Accademia di Brera a Milano e, dal 1956, si è dedicato al disegno industriale rivoluzionando il concetto di design attraverso oggetti utili per la cosiddetta “gente comune”: progetti lontani dalle mode, pensati per resistere al tempo, con una grande qualità formale.

Pochi giorni fa la Triennale di Milano ha celebrato l’opera del celebre progettista con una grande mostra che raccoglie la sua eredità artistica e intellettuale. Più di 1500 opere segnano infatti la carriera di Mari – tra gli oggetti più famosi progettati da Enzo Mari ci sono il vassoio Putrella, il cestino gettacarte In attesa e il calendario perpetuo Timor,(tutto Danese); le sedie Soft Soft (Driade) e Delfina (Rexite), la sedia Tonietta (Zanotta); le pentole Copernico e le posate Piuma (Zani&Zani); lo spremilimoni Squeezer (Alessi), il portaombrelli Eretteo e l’appendiabiti Togo (Magis) – contraddistinta anche da una prolifica e visionaria attività di teorico. Fin dagli anni Cinquanta partecipa attivamente ai movimenti di avanguardia, approfondendo riflessioni e dando vita a una personalissima teoria-filosofia del design con lo scopo di indagarne dall’interno le dinamiche formali, estetiche, funzionali e processuali, raccontata in numerosi saggi, a cui si accompagnano libri per bambini che sono anche libri illustrati per adulti.

“La sua opera spazia dal design alla pittura, dalla grafica all’allestimento”, si legge sul profilo dedicatogli dalla storica azienda di design Danese sul proprio sito web. “ È stato docente e attivista politico. Il suo contributo basato su un’asciutta poetica delle forme e un coerente utilizzo dei materiali è ritenuto fondamentale per la storia e lo sviluppo del design italiano nel mondo. Il sodalizio con Danese Milano coincide con lo sviluppo dell’azienda grazie alla quale ha sperimentato tecniche, realizzato allestimenti, sculture e prodotti divenuti pietre miliari”.

Enzo Mari è stato, per il mondo del design, un punto di riferimento imprescindibile, come conferma questa frase di un altro maestro del design italiano, il compianto Alessandro Mendini: “Mari non è un designer, se non ci fossero i suoi oggetti mi importerebbe poco. Mari invece è la coscienza di tutti noi, è la coscienza dei designers, questo importa” e il suo mirabolante lavoro nelle vesti non solo di autore ma anche di teorico del progetto made in Italy.

"Un ribelle con un'ossessione per la forma" l'ha definito Alice Rawsthorn, secondo cui per Enzo Mari il design consiste nel creare sagome, o forme: "che si tratti di una sedia, un tavolo, un bicchiere, un vaso, una teiera o un tagliacarte, viene ridotto nella forma più semplice possibile, ma perfettamente proporzionato e dettagliato. È un cliché descrivere il design come scultoreo, ma quello di Mari lo è. Sembra anche così tattile, che desideri prendere ogni oggetto e usarlo, piuttosto che guardarlo semplicemente" scrive la critica sul New York Times.

Mentore di una generazione di creativi, ha saputo rileggere la materia in termini non solo funzionali, ma anche estetici e politici, indagando le infinite possibilità costruttive attraverso la grande lente della sperimentazione e della tecnica.

Tra i suoi nemici, c'erano quello che lui chiamava "prostitute pubblicitarie": i designer che hanno permesso alle loro immagini pubbliche di oscurare il proprio lavoro. "Ciò che lo infastidiva di più –spiega Hans Ulrich Obrist – era che il mondo del design puntasse al profitto: voleva liberarsi di questa idea di guadagno, di commercializzazione, di industria, di marchi, persino di pubblicità. Perché, secondo Mari, il design è tale soltanto se comunica anche conoscenza".

In una sua recente intervista (Enzo Mari: i miei archivi per Milano) aveva espresso la volontà di donare l’intera collezione delle sue opere alla città di Milano, a condizione che per quarant’anni nessuno possa avere accesso al suo Archivio. "Questo perché, secondo le sue più ottimistiche ipotesi, solo tra quarant’anni una nuova generazione, 'non degradata come quella odierna', potrà farne un uso consapevole e riprendere così in mano il significato profondo delle cose" scrive Boeri nel testo che accompagna la mostra di Mari alla Triennale di Milano, un'ultima occasione di aver accesso al suo Archivio "prima di questo lungo, imposto, oblio".

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