È morto Maradona. Basterebbe scrivere solo questo. Basterebbero queste poche raggelanti parole per aprire un universo infinito di immagini e di emozioni. Di rovesciate e punizioni, tocchi lievi e dribbling. Dribbling in quantità industriali, volteggi che sembravano danze. Impossibile riassumere in poche righe cosa è stato Diego Armando Maradona per chi ama il calcio. Raramente nello sport c’è stato qualcosa di simile. Cassius Clay. Forse Senna. Nessun altro.

C’era un che di sovrumano nel modo in cui si muoveva sul campo. Lui bassino, tarchiato, riccio, sembrava stesse sempre sospeso a qualche centimetro da terra, come si conviene agli dei. Fuori dal campo, invece era autodistruttivo, cocainomane, impopolare, infedele, irriverente. La luce e il buio, come direbbe Gesualdo Bufalino. Manifesta imperfezione e perfezione divina riassunte in un unico uomo.

naples, italy   april 05 diego maradona and careca of napoli celebrate during the uefa cup semi final first leg between napoli and bayern munich at the stadio sao paulo on april 5, 1989 in naples, italy photo by etsuo haragetty imagespinterest
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Il più grande di tutti se n’è andato oggi, a sessant’anni, mentre si trovava nella sua casa di Tigres, alla periferia di Buenos Aires. Si era trasferito lì per la convalescenza dopo la delicata operazione al cervello di pochi giorni fa. Ma aveva sfiorato la fine infinite volte. Salvato sempre all’ultimo istante e strappato in extremis alla leggenda. Redenzione e autodistruzione: binomio classico per gli eroi maledetti. Per gli artisti che regalano perle sublimi e salutano tutti quando è ancora troppo presto per andarsene.

Maradona è stato il calcio. A lui hanno dedicato film, romanzi, documentari, murales, opere d’arte, performance. Più che un essere umano era un modo di essere. Un Maradona, appunto. Una parola divenuta sinonimo di “fenomeno”, in qualunque campo. Vincente e sbruffone. Orgoglioso ed eroe.

le footballeur argentin diego maradona saspergeant deau lors dun match avec léquipe nationale dargentine photo by rafael wollmanngamma rapho via getty imagespinterest
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Maradona era l’Argentina. Amava il Boca, squadra del quartiere più colorato e popolare di Buenos Aires, quello del Caminito, strada stretta fiancheggiata da baracche in zinco dipinto che ricordano i tempi dell'immigrazione. Nel 1986 ha vinto un Campionato del mondo praticamente da solo. Un extraterrestre piombato a Città del Messico. Il match contro l’Inghilterra, il paradigma più evidente. In 90 minuti realizzò due gol memorabili: il primo palesemente con la mano, la “mano de Dios” dirà in seguito vendicandosi dell’Inghilterra che aveva sconfitto il suo popolo nella guerra delle Falklands; il secondo, partendo dal limite della sua area ed entrando in porta col pallone dopo aver scartato chiunque gli si fosse messo davanti. 10 secondi mai visti prima su un campo di pallone. Nemmeno Pelè era arrivato a tanto. "Maradona è il nostro massimo punto di riferimento. – ha raccontato lo scrittore argentino Gustavo Bernstein - Nessuno incarna la nostra essenza meglio di lui. Nessuno porta il nostro emblema in maniera più nobile. A nessun altro, negli ultimi 20 anni, abbiamo offerto tanta passione. L'Argentina è Maradona, Maradona è l'Argentina".

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Ma Maradona era anche Napoli. L’unico essere umano il cui nome si è associato alla città partenopea come quelli del Vesuvio, della pizza e di San Gennaro. Da quelle parti ancor oggi lo pregano come un dio. Con la maglia azzurra, ha giocato 188 partite segnando 81 reti. Una più bella dell’altra. Ha conquistato una coppa Uefa, una supercoppa, una coppa Italia e soprattutto due scudetti, ribellandosi allo strapotere di club potenti come Juve, Inter e Milan e vestendo i panni del nuovo Masaniello. Il Meridione povero che si vendica del ricco Settentrione. “C’era la sensazione che il Sud non potesse vincere contro il Nord. – aveva detto il campione di Lanùs durante un’intervista dell’epoca - Andammo a giocare contro la Juve a Torino e gliene facemmo sei: sai che significa che una squadra del Sud gliene mette sei all’avvocato Agnelli?”. Il numero 10 ha respirato ogni alito d’ossigeno di questa città. Tutta la sua bellezza e tutto il suo orrore. I tramonti di Posillipo, la magia di Fuorigrotta e l’inferno della camorra.

C’è un prima e un dopo Maradona nel calcio. E forse non soltanto lì. A guardare come si comportano le stelle di oggi, sembra passato un secolo. Ronaldo e Messi sono esseri lontani, quasi astratti. Gelidi nella loro ovattata perfezione, non si mescolano alla gente, non appaiono mai se non per motivi di campo o marketing. Maradona era l’esatto contrario. Affamato di popolo, ne era lui stesso parte. Brutto, sporco e cattivo e contemporaneamente sontuoso, splendido e generoso. Chi non lo ha mai visto giocare, ne scoprirà le magie navigando su YouTube. Chi invece ha avuto la fortuna di poterlo ammirare (anche dal vivo), se lo porterà per sempre dentro e ne racconterà le gesta e la poesia ai nipotini.