Difficile essere Asia Argento – che in realtà si chiama Aria, anche se nessuno l’ha mai chiamata così – più semplice sarà, invece, comprenderla leggendo la sua autobiografia, Anatomia di un cuore selvaggio, in uscita il 26 gennaio per Piemme.

Ciò non vorrà dire assecondarla, né tantomeno giustificarla - anche perché lei non gradirebbe – ma cercare di guardarla con occhi diversi, per come è veramente, “una persona - parole sue - azzoppata dall’eccessiva timidezza, incapace di stare al mondo e di sopravvivere tra i viventi”, ma che, a ben vedere, ha dimostrato - e dimostra ancora oggi - di essere l’esatto contrario. In tutti questi anni, è come se avesse voluto creare una corazza attorno a sé, necessaria per sopravvivere, che ricorda un po’ quella del serpente immaginario a cui cercava di assomigliare ogni volta che sua madre, Daria Nicolodi, la picchiava o comunque scatenava ogni tipo di violenza fisica e verbale (“una violenza efferata”, scrive nel libro) su di lei che in quei casi “simulava la morte per non morire sul serio”. Il padre, il maestro dell’horror italiano Dario Argento, non c’era quasi mai e non la considerava come invece avrebbe voluto. Conviveva (prima con entrambi, poi, dopo la separazione, divisa e sballottata da una casa all’altra come un pacco postale) con due artisti che facevano quel che gli pareva “senza rinunciare a nessuna delle loro follie”. “A loro modo – ricorda - hanno fatto il massimo, soprattutto per essere stati due persone così eccezionali e per questo anche due egoisti totali”.

Provateci voi a nascere in quella famiglia e a vivere un’infanzia come la sua, privilegiata - non vi è alcun dubbio - ma con un rovescio che pesava dieci o forse mille volte di più di quella medaglia assegnatale e non meritata (i meriti li ha avuti in seguito), fatta di genitori assenti anche quando erano presenti; di incomprensioni, di liti furibonde e di gelosie – con loro e con le sue due “sorellastre”, Fiore (già figlia di suo padre) e Anna (figlia di sua madre) - senza mai essere la preferita di nessuno, sempre al centro di inimicizie e di parole non dette tra insopportabili silenzi. Provateci voi ad avere una carriera nel cinema iniziata dalla porta principale, da “figlia di”, anche questo è vero, ma portarvi poi dietro, per anni e anni, questo fardello anch’esso pesante. Provateci un po’ voi a dimostrare di valere nonostante siano in pochi a credere nei vostri talenti e a vivere un quotidiano in cui qualsiasi scelta si faccia - giusta o sbagliata che sia – non viene giudicata, perché neanche notata oppure, perché – più tardi, con il successo - è finita quasi sempre sotto riflettori volti a scatenare solo giudizi e pregiudizi, altre invidie e incomprensioni senza ascoltare mai la verità e senza notare la cosa più importante: il coraggio che si ha a essere se stessi.

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“Volevo scrivere un libro che parlasse di trasformazione, un libro che, seguendo il filo ingarbugliato della mia vita interiore, scandisse le mille metamorfosi che mi hanno resa chi sono oggi”, precisa Asia. È difficile da definire, per molti forse anche da capire - lei questo se lo aspetta ben sapendo che ci sarà chi avrà da ridire. “Non mi sono mai conformata, non ho mai accontentato nessuno, anche quando sarebbe stato comodo farlo”.

Tra alte e basse maree emozionali, tra droghe e altri stordimenti, tra un sesso scoperto per caso, divenuto poi sfrenato, continuamente cercato, voluto o subìto con uomini e con donne (“mi definisco bisessuale - scrive - se proprio dobbiamo dare a tutto una definizione”), tra tanta musica techno e letture bulimiche (un piacere che condivideva con sua madre che prima di morire le regalò La sgualdrina timorosa di Sartre), un lavoro frenetico – iniziato prestissimo, da attrice, poi interrotto e poi ricominciato e abbandonato tra tanti premi e riconoscimenti (“il David di Donatello vinto con Perdiamoci di vista di Carlo Verdone l’ho usato come fermaporte della camera da letto”) – diversi compagni e due figli (Anna Lou e Nicola) la cui nascita “è stata una benedizione”- c’è sempre stata lei. C’è sempre stata Asia, con tutta se stessa anche quando i fatti potrebbero far pensare diversamente.

In queste pagine scritte anche di notte (“soffro di insonnia e di depressione da quando sono piccola e ogni sera prendo quattro pillole prima di andare a dormire”) c’è questa ex ragazzina ribelle “e un po’ maschiaccio” - il terrore, negli anni Ottanta, del quartiere Prati e di Villa Balestra, ai Parioli, da cui poi fu cacciata perché andò a letto con il fidanzato di una sua compagna di giochi - che al confronto, Gian Burrasca e Pippi Calzelunghe erano dei santi, ma se uno le dice questo rischia di ricevere un sonoro “sticazzi”, “una formula meravigliosa che mi ha salvato la vita mille volte e ancora mi aiuta”, come la definisce nel libro, un’esclamazione che compare subito dopo un “haply” contenuto nell’esergo di Christina Rossetti e la parola “life” - alla fine - contenuta nella citazione di James Joyce. Una sorta di rafforzativo, il suo, voluto per quel condizionale speciale e unico che è la vita, anche quella di Asia, quella che ha deciso di raccontare rompendo definitivamente quella corazza per far emergere e vincere il bene - o quantomeno una parte di esso – e creare così “una auto-autopsia completa”, “un’analisi spietata di se stessi”.

“Essere una donna come me non è stato mai comodo, ma è stata quasi sempre una scelta”.

Asia Argento è stata (ed è) sempre libera, abbagliante per gli altri e talvolta dolorosa per sé tanto che il dolore, sin troppe volte protagonista della sua esistenza, ha fatto e continua a far parte di lei, “è un ospite scomodo che dimora in me e non posso sfrattare”. In queste pagine non risparmia se stessa, figuriamoci gli altri. Avete tra le mani il suo carnage, trattatelo bene, o quanto meno, con rispetto. Leggerlo è come assistere a una lunga e faticosa seduta psicoanalitica che si inizia senza sapere mai quando e come finirà, una seduta in cui si scava fino in fondo per recuperare il recuperabile, per ca(r)pirlo, detestarlo e a volte persino distruggerlo per annientare e annientarsi, ma solo per ritrovarsi, perché una metamorfosi è sempre possibile. Asia che spara a zero su un suo vecchio amore come Sergio Rubini - “magrolino, nasuto e superdotato”, all’epoca sposato con “un’attrice genere isterico-biondastro borghesuccia molto rispettata in Italia proprio per la sua immagine (vera) di una donna nevrotica” (impossibile non capire chi è ndr) – su Nanni Moretti (lavorare con lui a Palombella Rossa “è stata un’esperienza tremenda”) con cui poi si scusa – sull’ex Leos Carax o su Paolo Villaggio che frequentava sua madre, fa parte della “terapia”, fa parte di questa sorta di gioco al massacro iniziato e continuato cercando di combattere i suoi demoni.

Proviamo più di un brivido quando ricorda in maniera dettagliata gli incontri con Micheal Radford o quando ci fa entrare assieme a lei nella stanza d’hotel con Harvey Weinstein (“primo stupro subito) - che chiama “orco” – o in quella con Rob Cohen (“secondo stupro”). “A ogni accenno di violenza, invece di gridare e scappare, ho sempre reagito con questa immobilità, cedendo all’abuso, pregando solo che finisse”. “La prima sensazione che provai quando rientrai nel mio corpo fu colpevolezza. L’unica risposta che riuscivo a darmi (riferita a Weinstein, ndr) era che l’avevo fatto per paura di lui fisicamente e del suo potere”. Si soffre insieme a lei quando ricorda la morte di sua sorella Anna e quella di sua madre, con cui aveva restaurato un ottimo rapporto dopo la nascita di Anna Lou, o quella del suo primo amore, Federico (“con lui è morta la mia adolescenza”) e di Anthony Bourdain, suicidatosi in una camera d’albergo. A sentirla raccontare tutti questi episodi poco piacevoli della sua infanzia, della sua giovinezza o dell’età adulta (a cui corrispondono altrettanti e omonimi capitoli del libro), si ha voglia di prendere per mano la piccola, la giovane e l’adulta Asia e di stringerla forte – cose oggi vietate per colpa del Covid - facendole capire che ci siamo anche quando lei vorrebbe che non fosse nessuno. Pagine di dolore, le sue, leggendo le quali ci chiediamo come mai quelle persone che avrebbero dovuto esserle vicine in quei momenti non l’abbiano aiutata, consigliata, sostenuta, o semplicemente considerata. Che è poi la cosa che avrebbe voluto più di tutte. L’unica che c’è sempre stata è la sua migliore amica Angelica detta “Ist”, “importante come il video registratore Betamax”, che il padre poi però le tolse senza un motivo.

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Eric Robert//Getty Images

E a proposito di Dario Argento, Asia ricorda che entrambi hanno sempre usato il cinema “come un’esplorazione della nostra stessa psiche”, cercando di affrontare l’indicibile con l’arte, “ma non sono certa che questo metodo sia raccomandabile, perché l’arte raramente fornisce soluzioni, più spesso aiuta solo a dare un volto ai propri demoni, ma non a sconfiggerli”. Un rapporto, il loro, fatto di alti e bassi e di tante incomprensioni, ma oggi hanno entrambi imparato ad amarsi e ad accettare le loro diversità. “Da un lato sono certa di quello che ho provato - scrive Asia - dall’altro percepisco una profonda tenerezza e gratitudine per la mia famiglia sgangherata, per i miei genitori e per mia sorella Fiore, le uniche persone, oltre ai miei figli, che amo incondizionatamente”. “Proprio ora realizzo che senza di loro il mondo mi farebbe più paura. I rapporti, durante tutti questi anni, sono cambiati, evoluti, trasformati. Anna e Fiore erano dei misteri per me da bambina, ma poi con Anna costruii una forte sorellanza e anche con Fiore riuscimmo a trovare un nostro unico e prezioso equilibrio”.

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Courtesy Piemme

In questa vera e propria Anatomia di un cuore selvaggio c’è l’Italia e c’è Roma (“nel ’93 Campo de’ Fiori era già diventata una cloaca, era già la arsa di se stessa”), ci sono gli Stati Uniti, tante città e Paesi, ci sono la sua isola segreta, la Toscana e Cannes - il posto del primo stupro e quello dove è tornata nel 2018 per fare il suo “discorso kamikaze” contro Weinstein e i violenti come lui – ci sono attori e attrici famosi, c’è Morgan (“penso al batticuore che ancora oggi fa rima con amore”), la nonna Fulvia e l’amato zio, c’è il gatto DAC (acronimo di Dario Argento’s Company) e il chihuaua Dziga (come il regista russo Dziga Vertov), ci sono superalcolci, droghe pesanti e leggere, coca cola light e champagne a fumi, bettole ed hotel di lusso, infiniti tatuaggi (una cosa che la accomuna a Daniel Day Lewis), imbrogli tristi (quello di J.T.Leroy, autore di Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, da cui poi la Argento realizzò l’omonimo film) e condivisioni di momenti indimenticabili, ad esempio quello con Barbara Alberti (“hai fatto a me quello che la primavera fa ai ciliegi”) e altri meno (la festa a casa di Lanny Kravitz a Parigi con una moquette con pelo bianco “forse di Alpaca”) oltre a verità pesanti venute fuori con il #metoo, l’accusa di molestie verso un allora minorenne, l’addio da giudice di X-Factor e la sua vittoria più grande – seconda solo a quella di essere diventata due volte madre: la condanna “dell’orco” a 23 anni di carcere.

“Non provo pietà per lui - scrive - e gli auguro il peggio”.

Nonostante tutto questo, Asia Argento è oggi una cittadina del mondo “quasi del tutto funzionante”, come si definisce lei, “se non fosse per quel malessere che spesso mi coglie, lasciandomi interdetta, buttandomi nello sconforto, piangendo sul letto per giorni interi, senza riuscire ad alzarmi. Si alzerà, l’ha già fatto. “Ho sempre fluttuato tra quel piedistallo e la polvere senza mai riuscire a trovare una confortante uguaglianza con gli altri. Nemmeno in amore, anzi, il confronto con gli uomini che ho amato non ha fatto che acuire questa sensazione. O ero troppo o troppo poco, è il grande cruccio della mia vita, il risultato dell’enorme disequilibrio che ho dentro di me. Per anni mi hanno fatto credere di essere nulla, zero, di non valere niente”. Adesso basta: Asia oggi se va in giro senza pelle, con i nervi, i muscoli e i tendini scoperti, preda delle intemperie, preda di tutto, prima di tutto di se stessa, ferita e sanguinante, ma la sua forza sarà quella di continuare a cercare la sua essenza oltre il miraggio, lì dove la vita si fa più vera. Per quelle persone come lei è sempre il momento di sguainare la spada. “Siamo rose del deserto, incapaci di adeguarci a un mondo che ci vorrebbe sempre diversi, ma da qualche parte siamo sbocciati, arrampicandoci a modo nostro sulle pareti rocciose della vita”.