Una donna con i capelli blu, perfettamente abbinati alle lenzuola color senape, sta dormendo e sogna. Come in tutti i sogni, il possibile si unisce a ciò che non lo è, e vari momenti della vita passata o presente si sovrappongono e si confondono, come ci ricorda quel gran genio di David Lynch nel suo cinema - incomprensibile ai più ma goduria autentica per chi lo capisce e ama davvero – dove una porta si può aprire su un qualcosa che non è la stanza che ci si aspetta, ma magari un giardino, un locale, un ristorante, persino una strada sempre uguale e poco illuminata. Nel corto The dreamers’ room, quella donna dai capelli blu - una meravigliosa Serra Ylmaz - apre la porta e si ritrova in un corridoio. C’è una bambina con i capelli biondi che corre e la evita, un’entità che lei segue spaesata attraversando una scala a chiocciola alla Siodmak ma tutt’altro che spaventosa, tra bagni vuoti, colori pastello nell’ambiente, sui vestiti e sui corpi impreziositi da gioielli mai eccessivi che incuriosiscono tra una musica che si fa sempre più alta, uomini e donne di etnie diverse e altre scale a chiocciola verso club futuristici con due sedie iconiche: le Nemo di Fabio Novembre. Uno scendere che porta a un salire verso un fuori, verso un vortice e una passione, insomma, alla vita. Quei tre minuti di emozioni sono stati realizzati da Stefania Rocca per la nota maison di gioielli Futuroremoto, presentato online sul sito della Camera della Moda. “I gioielli di Gianni De Benedittis mi hanno ispirata in maniera naturale, perché sono dei veri e propri sogni, degli oggetti ricchi di una magia positiva e fortemente evocativi”, ci spiega a telefono. È nata così in lei l’idea di un percorso nelle stanze dei sogni alla ricerca di simboli che attraversano il nostro inconscio, capaci di determinare un percorso emotivo dove sono proprio quei gioielli a fare da traccia guidando chi c’è e chi guarda nei corridoi di una memoria che non è mai nostalgica. “Il cinema rimane per me l’arte del racconto delle emozioni e dei sogni per eccellenza, l’arte che cancella il confine tra reale ed irreale, che azzera il tempo annullandone la cronologia, che fissa in un fotogramma un momento eterno”, ci spiega l’attrice che proprio grazie a questo corto è tornata alle sue origini, visto che nel 1994 debuttò proprio con un corto intitolato Effetto di Federico Cagnoni e nel 1996 vinse il suo primo premio per un altro corto, La misura dell’amore di Maurizio dell’Orso.

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Giovanni Gastel

“Nella mia vita ritorna un po’ tutto e questo corto segna un percorso, il mio, in cui non mi sono fatta mancare nulla, facendo una lunga gavetta”, aggiunge con una voce piacevolmente e dolcemente ‘impastata’ da una cadenza della città in cui è nata, Torino, “quella in cui ho vissuto frequentando siciliani e napoletani che mi hanno dato l’imprinting del sud – ricorda - e che lasciai per trasferirmi a Roma per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia”. “In quasi tutti i corti che ho girato come regista ho una ragazza con i capelli colorati, Rosabell Laurenti Sellers, ad esempio, li aveva rosa, Serra, in questo, li ha blu, altra coincidenza”. E non è l’unica, le facciamo notare, visto che proprio nel film che l’ha fatta conoscere al grande pubblico nel 1997, Nirvana di Gabriele Salvatores, interpretava Naima, una sexy hacker con i capelli celesti. Quel film, poco importa se bello o meno, ha un pregio indiscutibile: fu il primo ad aprire un mondo cinematografico inesistente o quantomeno impensabile all’epoca, facendo conoscere al grande pubblico fantascienza e distopia che adesso vanno tanto di moda, l’inizio dell’era tecnologica e i primi rapporti con il computer. “Oggi non ci facciamo più caso e diamo tutto per scontato in tal senso, ma mi viene anche un po’ da sorridere se ripenso a quel periodo in cui il computer veniva vissuto come un antagonista, al contrario di quest’epoca in cui, invece, è diventato una naturale estensione umana”. “Dal punto di vista digitale – aggiunge - ti rendi conto che c’è un’evoluzione che non si può fermare. Se si guardano i numeri della digitalizzazione di altri Paesi, però, l’Italia è ancor oggi indietro, anche se la pandemia ha spinto verso un'accelerazione di queste attività. Dobbiamo prepararci alla diffusione di nuovi mestieri, ad un cambio di prospettiva. Vuol dire che mi tocca un ritorno al passato con Naima e Viola (la protagonista Viol@, il film di Donatella Maiorca)?”.

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Come tutti, anche lei sta vivendo questo periodo strano con l’ansia addosso, “un’ansia legata al numero dei contagi, al problema dei vaccini, alle persone che purtroppo intorno a te lo subiscono o se ne vanno per sempre”. Come il celebre fotografo Giovanni Gastel, suo grandissimo amico, “un uomo di una simpatia contagiosa e con un talento irraggiungibile”. “Il Covid – continua – ci ha tolto quella possibilità di socializzare che ci manca molto. Dal teatro al cinema, c’è una chiusura totale che fa male economicamente, ma anche dal punto di vista culturale”. Parla di mancanze e di incomunicabilità anche Il silenzio grande, lo spettacolo teatrale in cui è protagonista diretta da Alessandro Gassman, per ora sospeso, e in questi giorni la vediamo su Amazon Prime Video nella serie tv Tutta colpa di Freud diretta da Rolando Ravello in attesa della riapertura dei cinema dove sarà nel thriller psicologico Dietro la notte di Daniele Falleri. Nel frattempo, con alcuni suoi colleghi, ha deciso di fondare Unita (www.associazioneunita.it ), un’associazione di categoria che riunisce oltre mille interpreti del teatro e dell’audiovisivo, fondata da più di cento, “nata con l’intento – ci spiega - di sostenere e promuovere la centralità del mestiere dell’attore e tutelare la nostra dignità professionale. Un periodo di emergenza come questo ha reso gli orizzonti lavorativi del nostro settore ancora più critici. I nostri obiettivi sono essere coinvolti nei processi decisionali che attengono la nostra professione, partecipare alla stesura di un contratto collettivo Nazionale di Lavoro per l’audiovisivo, sostenere il lavoro già avviato per l’istituzione di un Registro degli attori per poter finalmente inquadrare la nostra categoria con esclusivo riferimento a criteri lavorativi e professionali.

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Giovanni Gastel

Dietro un attore, c’è ovviamente sempre una persona, un uomo, una donna, altro. Che donna è Stefania Rocca? – le chiediamo e poco prima di rispondere, ci fa notare che l’anagramma del suo nome e cognome, fa venire fuori la frase ‘cerco fantasia’.
Sono una donna che combatte per la parità di genere e che cerca di promuovere l’eliminazione di ogni ostacolo che limiti il ruolo della donna nella società e sul luogo di lavoro, sia in termini economici e di carriera che di tutela della dignità personale. Cerco di farlo anche attraverso l’educazione. Sono per me fondamentali tutti i temi della sostenibilità, compresa l’integrazione e l’inclusione della diversità. Personalmente, non sono così lontana dalla Naima del film di Salvatores, un'anticonformista per eccellenza che combatteva tutto quello che nella società portava ad una discriminazione. Sono una guerriera come lei, ma anche sognatrice, idealista, un po’ come la Giovanna d’Arco che ho interpretato a teatro (in “Processo a Giovanna D'Arco" di Walter Le Moli, ndr) che aveva un suo ideale di sogno e fantasia che cercava di portare avanti con tutta la determinazione possibile”. “Sono una donna passionale e dolce nelle mie relazioni – continua - molto fisica, sostenitrice e protettiva. Una madre che c’è sempre, anche a distanza.”, riferendosi ai due figli, Leone e Zeno, avuti dal marito Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda. “Ho sempre vissuto la moda, ma mai da protagonista. Piuttosto attraverso i miei personaggi, quelli più inseriti come Krizia - Mandelli o anche tutti quelli che mi hanno permesso ricerche e costruzioni iconiche. Ma soprattutto stando sempre vicino a persone che erano coinvolte in prima persona: da mia madre che faceva la modellista a mia sorella Silvia che faceva l’indossatrice; da Carlo, mio marito, a Ennio (lo stilista Ennio Capasa, ndr), mio cognato”. È un mondo che rispetto molto – precisa – diverso dal mio, quello del cinema, che conosco meglio, ma con cui ha in comune la potenzialità incredibile di portare avanti messaggi importanti, un ruolo comunicativo in grado di formare le coscienze”. Moda, cinema e quindi anche bellezza. “Tutto quello che ha fatto grande il nostro paese.

E la bellezza fisica? "La apprezzo oggi più che ieri. Un valore aggiunto che nel passato mi ha anche spaventata, che spesso cercavo di nascondere, anche per proteggermi. Ho amplificato il mio lato androgino e portato avanti delle vere e proprie battaglie per ricordare che non ero solo bella, ma per fortuna anche dotata di un cervello e con ‘una testa sul collo’, come dice mio padre. Sono passata dai ‘sei troppo bella per fare l’attrice, sei troppo elegante’ agli: ‘ sai, quando sei bella è tutto molto più facile’. Apprezzamenti sessisti che ho cercato di farmi scivolare addosso". "Quello che mi auguro dopo questa pandemia?", dice prima di salutarci. “Beh, sogno che ognuno di noi sia più consapevole del valore della vita, più rispettoso della natura e poi che torniamo a riempire le sale di cinema e teatro soffermandoci nei bar per dibattere o conversare su argomenti culturali, dandoci sonore pacche sulla spalla e soprattutto, abbracciandoci. A proposito, vi ho già detto che il mio penultimo corto si chiamava giusto L’abbraccio? Alla fine un bambino diceva: è per questo che hanno inventato l’abbraccio, per non sentirci soli. Non vedo l’ora!”.

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