Persone che si abbracciano, che meraviglia. Persone che si abbracciano perché hanno vinto un Oscar per un bel film, ancora meglio. Frances McDormand (Miglior Attrice per Nomadland che ha vinto anche come Miglior Film e Miglior Regia) ulula, reclama un karaoke, cita Shakespeare e infine invita ad andare presto al cinema, tutti insieme. L’attrice coreana Yuh-jung Youn, 73 anni, flirta con Brad Pitt che le ha consegnato la statuetta come Miglior Attrice Non Protagonista ma che è anche il produttore del suo film Minari. Lo apostrofa con un “ehi, dov’era Mr Pitt, quando noi giravamo?”

los angeles, california   april 25 l r yuh jung youn, winner of best actress in a supporting role for minari, poses with brad pitt in the press room at the oscars on sunday, april 25, 2021, at union station in los angeles photo by chris pizzello poolgetty imagespinterest
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Il momento di commozione profonda arriva dal discorso di ringraziamento di Thomas Vinterberg, il regista danese di Another Round (Oscar come Miglior Film Straniero) che racconta in lacrime della morte della figlia Ida, uccisa da un pirata della strada poco prima dell’inizio delle riprese del film dove, tra l’altro, avrebbe dovuto interpretare la figlia del protagonista Mads Mikkelsen. Il film è dedicato a lei, ma soprattutto fare il film è stato per suo padre uno strumento di sopravvivenza al dolore.

Le sorprese in termini di premi sono state davvero poche, a parte la vittoria di Anthony Hopkins come Miglior Attore per The Father (era dato per sicuro un Oscar postumo a Chadwick Boseman per Ma Rainey’s Black Bottom) e, in un certo senso, il trionfo di McDormand perché sembrava che la partita si sarebbe giocata tra Viola Davis e Carey Mulligan.

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A questo punto Frances McDormand entra nel ristretto club delle attrici che hanno vinto tre Oscar (come Ingrid Bergman e Meryl Streep) mentre Glenn Close stabilisce un record negativo: otto nomination e mai nemmeno una vittoria. Non mi dispiace, alla fine. Avrebbe vinto, come non protagonista, per un film, Hillbilly Elegy, davvero non all’altezza del suo talento e della sua carriera. Punto tutto sull’anno prossimo: sta girando il remake di Sunset Boulevard, mi aspetto grandi cose. Glenn Close ha comunque regalato uno dei pochi momenti divertenti della serata, ballando gluteo contro gluteo con Lil Rel Howery che, per introdurre i premi musicali, ha fatto una specie di quiz tra i presenti tipo “indovina se questa canzone ha vinto un Oscar”.

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A proposito di canzoni, nota dolente: l’Italia è rimasta a mani vuote, nessuna delle nostre nomination (il pezzo di Laura Pausini, i costumi e il trucco di Pinocchio) è andata segno ma, volendo fare quelli che cercano un po’ d’Italia ovunque, consoliamoci con il fatto che sia in Nomadland che in The Father (cinque Oscar in tutto) ci sono le musiche di Ludovico Einaudi.

Nello scontro tra produttori, Netflix ha portato a casa sette premi su 36 nomination e Amazon due su 12 ma i premi più importanti, alla fine, sono andati a studios tradizionali come Searchlight (Nomadland) e Warner Bros (due Oscar a Judas and The Black Messiah e uno per Tenet). Grandi sconfitti della serata Il processo ai Chicago 7 asfaltato da Nomadland e Mank (solo due premi su dieci nomination).

La mente dietro questa (noiosissima) cerimonia in tempo di pandemia era niente meno che Steven Soderbergh. Francamente speravo meglio. Però almeno ci siamo risparmiati l’isteria del red carpet, i gridolini di presentatori e presentatrici troppo ossequiosi che mettevano addosso un’ansia degna di migliori cause. E dire che il trasferimento dal Dolby Theatre alla stazione ferroviaria di Los Angeles prometteva bene. In quella stazione sono stati girati molti film e ha già fatto parte anche della storia degli Academy Award.

Nel febbraio del 1935, Claudette Colbert, protagonista di Accadde una notte era pronta a salire su un treno per New York, benché fosse la notte degli Oscar e aveva un film candidato. A quei tempi non si smaniava per i premi come oggi e la stessa cerimonia era una cosa piccola. Comunque: appena seppe che Colbert aveva vinto, il produttore del film Harry Cohn ordinò di andarla a prendere e portarla lì, al Biltmore, il locale dove si consegnavano gli Oscar. E così fu. Un assistente di Cohn la trovò già seduta sul treno. Lei disse “Ma non sono vestita!”. “Non importa, Cohn mi ammazza se non la porto lì”, rispose l’assistente.

E Claudette lasciò la stazione per andare a ricevere il premio. In tailleur da viaggio.