Il tempo è sospeso nelle immagini di Chervine. Ondeggia fra un prima e un dopo, fra un qualcosa che è accaduto e un qualcos'altro che ancora deve accadere. C'è quiete eppure inquietudine. C'è ombra, ma soprattutto tanta luce. Al centro di tutto però c'è sempre Manhattan, teatro ideale di un racconto che sarebbe tanto piaciuto ad Alfred Hitchcock per quella sottile tensione che si percepisce in ogni scorcio. "Le mie foto sono scattate in luoghi ordinari, in luoghi in cui la vita scorre semplicemente. - spiega l'artista - Ho sempre considerato le strade di New York come palcoscenici e i suoi abitanti come attori che interpretano la propria opera, la propria storia, la propria vita”. Ed è proprio questo che appare nei lavori esposti fino al 22 ottobre negli spazi della sede ginevrina della galleria Esther Woerdehoff in occasione della mostra On That Day.

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© Chervine, courtesy Galerie Esther Woerdehoff
Purple Hat, Chervine

Di origine franco-iraniana (la sua famiglia si trasferì a Parigi quando aveva solo otto anni), Chervine plasma e sperimenta stili, linguaggi e tecniche differenti. Strizza l'occhio al cinema americano anni 50 e 60 ma cita anche la Street photography di Saul Leiter. Ammicca all'universo della moda ma non disdegna l'arte moderna e i dipinti ascetici di Edward Hopper. Nato nel 1972 a Teheran, ha studiato per anni ingegneria prima di innamorarsi dell'immagine. Fotografo autodidatta, ha imparato a scattare viaggiando da un angolo all'altro del mondo. Gli inizi nella moda, poi, dal 2005 ha scelto di percorrere una ricerca personalissima. Che lo ha portato dritto in America. Nei lavori che presenta in Svizzera c'è una varia e meravigliosa umanità. C'è la coppia che chiacchiera davanti a un caffè nel West Village ed un gruppo di colleghi che attraversano Wall Street, c'è una donna che distrattamente guarda il cellulare dietro ai vetri di un bistrot e c'è il ciclista che percorre il Meatpacking District. Moltissime sono figure femminili. Tutti sembrano usciti da un film noir, sembrano alieni, congelati in chiaroscuri di intensità quasi mistica. Chervine invita lo spettatore a immaginare la storia di ciascuna di queste figure anonime. Chi sono? Da dove vengono? Che cosa vogliono? "Ho un rapporto molto lontano con i miei personaggi. Non mi avvicino mai a loro. Cerco di includerli nella mia composizione come un elemento tra gli altri", dice Chervine. Con la sua Leica, l'artista immortala spicchi di Grande Mela in ogni momento della giornata. All'alba, al tramonto e nelle ore del giorno in cui la luce sembra tremare. E usa il paesaggio urbano di questa megalopoli come fosse un ornamento. Il suo segreto? La ricerca minuziosa e incessante delle sfumature di luminosità. “Ho educato il mio occhio a cercare e localizzare la luce in questa città grandiosa e magnifica, con le sue costruzioni che svettano verso il cielo, i suoi edifici Art Déco, i suoi viali maestosi, innaffiati da bagliori divini e dal suo tessuto sociale vario e variegato. Alla fine di questo viaggio ho scoperto che le mie immagini non sono solo una dichiarazione d'amore verso New York ma anche verso il genere umano, nel suo splendido insieme".

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© Chervine, courtesy Galerie Esther Woerdehoff
Blue Vest, Chervine