I prosciutti (li faceva papà). Le maglie (le faceva mamma, lavorava sul tavolo della cucina, ingombro di gomitoli colorati che venivano spostati quando si mangiava). Fuori, la campagna emiliana, i piccoli paesi, le balere e la rustica allegria dell’Italia di allora. La ragazza, nata nel 1946, un anno dopo la fine della guerra, ha in testa un futuro lontano da lì. E vuole proprio fare la cantante, un mestiere che la madre giudica non adatto a una donna, ma lei insiste e, grazie a una zia solidale, comincia a studiare musica. A 14 anni perde il padre. Un dolore atroce e improvviso che, ancora oggi, le fa venire gli occhi lucidi e spezzare la voce, come succede in un momento di Una vita, cento vite, documentario di Renato De Maria su Caterina Caselli, cantante beat di grandissimo successo negli anni Sessanta e poi protagonista di una seconda vita, altrettanto straordinaria, come manager discografica che ha lasciato e continua a lasciare il segno.

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Dalle band di provincia dove suonava il basso ai molti festival di Sanremo (da cantante non ne ha vinto nessuno, vinceva dopo, con le vendite straordinarie dei dischi e poi, da discografica, le vittorie non si contano), il film racconta la vita di una donna ammirevole, una che non ha mai smesso di studiare, ascoltare e imparare. Non importa da dove vieni, importa chi vuoi diventare, sembra dirci la sua storia. La grazia con cui il regista ha messo insieme il racconto in prima persona di Caterina con il repertorio, compone l’immagine di una donna piena di visione, molto avanti rispetto ai suoi tempi. Caterina Caselli le ha azzeccate tutte: la pettinatura (il famoso casco d’oro dei Vergottini, famiglia di parrucchieri molto di moda all’epoca), il look Swinging London ma con un’energia tutta italiana e ovviamente il repertorio memorabile, da Nessuno mi può giudicare, canzone scartata da Adriano Celentano alla cover di I’m A Believer scritta da Neil Diamond che in Italia diventa Io sono bugiarda. Per non dire di quella meraviglia di Insieme a te non ci sto più scritta da Paolo Conte.

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Mario Orfini
Il film è prodotto da Sugar Play in collaborazione con Rai Cinema e The New Life C e distribuito nelle sale italiane da Nexo Digital con i media partner Radio Capital e MYmovies.it.

Dopo il matrimonio con il discografico Piero Sugar (sono ancora sposati) e la nascita del figlio Filippo (oggi a capo dell’azienda di famiglia), Caterina annuncia, con un colpo di teatro inatteso, di lasciare le scene. Non lo fa solo perché è diventata moglie di uno dei discografici più importanti d’Italia e non vuol passare per raccomandata (che, poi, con quella carriera alle spalle, non aveva davvero niente da dimostrare) ma perché ha capito, siamo nel 1975, che l’epoca dei cantanti pop è finita, che il mercato guarda altrove (ai cantautori, soprattutto in Italia) e che la sua esperienza poteva trovare nuovi sbocchi. Ragionamenti che oggi sono normali: un mucchio di attrici diventano produttrici o registe, tante cantanti producono o si lanciano in business diversi, dalla moda alla cosmesi. Ma allora, una signora che avrebbe potuto planare come una farfalla nei salotti milanesi e invece decide di scoprire giovani musicisti, produrli, incoraggiarli era un animale esotico. Lancia Pierangelo Bertoli, gli Area, Giuni Russo, gli Avion Travel, Elisa e poi i Negramaro, Malika Ayane e tanti altri. Mette insieme Edoardo Bennato e Gianna Nannini per le Notti magiche del 1990, porta nel mondo il fenomeno Andrea Bocelli, fa scoprire Paolo Conte ai francesi.

i cantanti italiani caterina caselli e adriano celentano passegiano insieme roma, 1981pinterest
Reporter Associati e Archivi

Ancora oggi lavora moltissimo, ascolta di tutto, non la spaventano i suoni nuovi, le strane coppie, nella scuderia Sugar adesso ci sono anche artisti come Motta e Madame. In continuo equilibrio tra leggerezza e serietà, tra energia e fermezza, Caterina Caselli si è liberata di Casco d’oro ed è sfuggita all’oblio di tante coetanee che facevano i Festivalbar e i Cantagiro con lei. Ma, e questo è davvero bellissimo, è sfuggita anche alla cristallizzazione toccata a molte altre sue colleghe che, sì, hanno continuato a cantare e magari pure a piazzarsi a Sanremo ma non hanno mai avuto il coraggio di andare più in là, là dove ci sono le nubi, dove “si muore un po’ per poter vivere”.

rome, italy, april 1966 italian singer caterina caselli photo by vittoriano rastelligetty imagespinterest
Vittoriano Rastelli//Getty Images