“I miei film non piacciono a tutti? Pazienza, me ne farò una ragione. Di film ce ne sono tanti in giro per il mondo: mica devono vedere per forza i miei" (segue la prima risata di una lunga serie, ndr). E ancora: “a me interessa sorprendere il pubblico per poi farlo riflettere su quello che ha visto”. A giudicare da come è stato accolto e osannato dal pubblico della 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma - con una Sala Sinopoli strapiena, il red carpet intasato, fotografi e fan ovunque - sono davvero pochi quelli a cui Quentin Tarantino non piace, “ma ci sono”, aggiunge quando lo incontriamo. Prima la mattina - jeans, sneakers, camicia a coprire una pancia “post lockdown”, spiega con un’altra risata - e poi la sera - abito blu e un paio di camperos a dir poco orrendi - all’Incontro Ravvicinato con il pubblico e alla cena di compleanno di Antonio Monda, cui ha partecipato, tra gli altri, anche il regista messicano Alfonso Cuarón.

L’ultimo film di Tarantino, C’era una volta a Hollywood, fu presentato al Festival di Cannes nel 2019, ricevendo poche critiche positive, che si aggiungono quelle ricevute per Kill Bill, per Bastardi Senza Gloria, per Django Unchained e per The Hateful Eight, ma lui se ne infischia e continua dritto per la sua strada. “Bisogna credere nei propri principi e non preoccuparsi che alla gente non piacciano”, ci spiega. “Quando ho fatto Pulp Fiction (film del 1994 con cui vinse il Premio Oscar per la Migliore Sceneggiatura e la Palma d’Oro al Festival di Cannes, ndr), abbiamo ricevuto una grande attenzione positiva dalla stampa, ma c'erano anche tanti critici che hanno giudicato il film in modo duro. Dicevano che io non ero speciale. Uscirono davvero molti articoli, pezzi lunghi e complessi, tutti a parlare o a sparlare di me. Poi, però, pensai: “Sai che c'è? Ho solo fatto un film divertente su dei gangster, ma che problemi avete?”. Non bisogna farsi prendere troppo da questo genere di cose, perché quando un film esprime lo spirito del tempo e lascia il segno, ci saranno sempre persone a cui non piacerà e reagiranno negativamente. Bisogna avere la capacità di accettare tutto questo, fa parte del dibattito”.

us director quentin tarantino l acknowledges receiving from italian director dario argento a lifetime achievement award during a ceremony on october 19, 2021 at the auditorium parco della musica venue in rome, during the 16th rome film festival photo by alberto pizzoli  afp photo by alberto pizzoliafp via getty imagespinterest
ALBERTO PIZZOLI//Getty Images

Nel frattempo, sul grande schermo scorrono le immagini di alcuni dei suoi film, dal primo, Le iene (1992), accompagnato da un’altra sua risata, a Jackie Brown e Kill Bill, con quel primo piano di Uma Thurman che è un omaggio a Sergio Leone. “Chiamo quel primo piano ‘Sergio’ in suo onore; Il buono, il brutto, il cattivo è il mio film preferito in assoluto, non so spiegare perché, ma lo è”. Gli applausi diventano scroscianti quando ci viene mostrato l’iconica scena di Pulp Fiction dove la Thurman balla con John Travolta, “totalmente improvvisata da quest’ultimo”, ricorda, “il ballo di Uma, però, l’ho deciso io”. “Credo che una delle conseguenze di quel film sia la permissività scaturita degli anni Novanta. Quella permissività deve qualcosa al mio film che se fosse uscito quattro anni dopo, la risposta del pubblico sarebbe stata molto diversa”.

Durante l’incontro ci parla anche del suo primo romanzo che si intitola proprio come il suo film, C’era una volta a Hollywood, in Italia pubblicato da La Nave di Teseo nella traduzione di Alberto Pezzotta. “Sono cresciuto leggendo libri basati sui film che ho letto da ragazzo, addirittura leggevo romanzi tratti da film mai visti. Poi, 3 anni fa, ho iniziato a pensarci di nuovo e a rileggerli e ho deciso di fare la stessa cosa per uno dei miei film. Così ho iniziato a scrivere un romanzo basato su Le Iene fino a quando non mi sono detto: “Ma che cazzo sto facendo? Ma ti pare che scrivo un libro del genere?”(ride ancora,ndr). Era chiaro che dovessi farlo su C'era una volta a Hollywood. Avevo tantissimo materiale, perché avevo fatto una lunga ricerca sui personaggi per scoprire i loro tratti che non avrei poi incluso nel film. Si parla di un romanzo che esplora ed espande il mio film, ma è anche un sottogenere. È soprattutto un romanzo su Hollywood: so che ce ne sono tanti e diversi, ma volete paragonarlo al mio?” (risate, ndr). Ha scritto molto soprattutto durante il lockdown che ha passato a Los Angeles con la moglie israeliana Daniella e il piccolo Leo, avuto da pochissimo. “Da allora – ci dice - le mie priorità sono cambiate. Da padre, sento molto forte la responsabilità. Spero di essere all’altezza”.

Una volta tornato ‘libero’, ha subito riaperto la sua sala cinematografica in città, il New Beverly , e ne ha comprata un’altra. “Il cinema, a differenza di quello che pensano molti, non è affatto morto. Dopo la pandemia, l'affluenza nel mio cinema è stata incredibile, era piena tutte le sere, ma sicuramente queste sono delle realtà di nicchia. Non so se i grandi titoli torneranno a fare dei numeri pazzeschi nel weekend di apertura. Però so una cosa: sono fortunato perché abbiamo potuto fare C'era una volta a Hollywood nel 2019. È come essere un uccello che riesce a entrare in una finestra prima che venga chiusa scoprendo che qualche piuma è rimasta incastrata tra i vetri”. Continuano a scorrere le immagini che ripercorrono la sua carriera e ricorda - ovviamente tra non poche risate - la volta in cui mentì per avere una parte in un film. “Dissi di aver recitato in un film di Godard e in un altro di Romero. Qualcosa nel XV dovevo pur metterlo. Poi - aggiunge - avevo detto di aver recitato nel Re Lear di Godard, un film terrificante in cui c’era anche Woody Allen, un film talmente brutto di cui nessuno si ricorda”.

La sua passione? “Guardare film di serie B, soprattutto italiani”. Quelli con la Fenech e altre donne semi o completamente nude, per intenderci. “Li ho scoperti negli anni 70, subendone il fascino. Anche quelli dimostrano la grandezza del cinema italiano, ricco di una qualità teatrale da ogni punto di vista”. Prima di essere premiato da Dario Argento con il Premio alla Carriera, ci confida che gli piacerebbe girare un film a Roma, magari a Cinecittà. “Girare lì sarebbe pazzesco, ma voglio cercare la storia giusta. Mia moglie impazzirebbe perché ama questa città”. “Ha pensato di girare Kill Bill 3? Gli chiediamo, visto che, ospite da Fazio, ha detto che vuole realizzare un decimo film per chiudere definitivamente con il cinema. “Chissà” – ci risponde - “È una possibilità, Vedremo”. Si commuove, poi, nel gran finale, ricordando Ennio Morricone, con cui ha lavorato in The Eightful Eight, autore della colonna sonora originale con cui vinse l’Oscar. “Lavorare con lui è stato un sogno. È stato il mio compositore preferito in assoluto. Che dire? Con lui era tutto incredibile, perché è stato un vero gigante”.