Chiariamo subito: Billy Porter non ha nulla contro Harry Styles, ed è stato lui stesso a metterlo bene in chiaro, nella sua intervista di qualche giorno fa con il Sunday Times. La questione sollevata dall'attore arrivato alla fama grazie a Pose, si estrinseca durante un'intervista nella quale Porter ha raccontato di una carriera, la sua, che ha spiccato il volo con un considerevole ritardo: dopo aver iniziato a Broadway negli Anni 90, ha faticato a trovare ruoli, fin quando nel 2007 ha dovuto dichiarare bancarotta. Il ruolo di Pray Tell, carismatico padre putativo di tutta la comédie humaine che si sfida nell'arte del voguing, sulle piste di locali periferici e scalcinati, nella New York degli Anni 80, lo ha consegnato alle cronache e alla critica, in tutto il suo talento, solo a 49 anni, nel 2018, con l'approdo su Netflix della serie ideata da Ryan Murphy. Una difficoltà che sicuramente, oltre che con la fortuna avversa e le casualità della vita, ha a che fare anche con il razzismo sistemico esercitato verso un uomo nero e apertamente gay.

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Billy Porter ai Golden Globe del 2020


Quando finalmente si è sviluppata una maggiore consapevolezza sulle questioni sociali, Billy Porter ha però deciso di recuperare il tempo perso, inaugurando una stagione di red carpet e apparizioni televisive durante le quali ha, con orgoglio, rivendicato la sua presenza, e l'unicità di cui è portatore come essere umano, anche attraverso il guardaroba, abbinando molto spesso blazer e smoking sartoriali a voluminose gonne, strati di tulle e taffeta, cappelli con tendine scenografiche. Ed è proprio della tendenza gender-fluid, abbracciata e sposata anche da diverse maison, da Gucci a Loewe, che Billy Porter ha parlato durante l'intervista. "Mi sembra che l'industria della moda mi abbia accettato, perché ha dovuto» ha affermato. « Sono stato quello che ha dato il via alla conversazione sulla moda non binaria, ma comunque, per la loro prima copertina dedicata ad uomo, in un vestito, Vogue US ha scelto Harry Styles, un uomo etero bianco (la copertina è di dicembre 2020 ndr). Sono stato il primo a farlo e ora è diventata una tendenza. Non me la prendo con Harry Styles ma... a lui non interessa, lo sta facendo perché è la tendenza del momento. Per me questa è una scelta politica: ho dovuto lottare tutta la vita per poter indossare un vestito agli Oscar. A Styles è bastato essere bianco ed etero».

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Pur comprendendo le ragioni del risentimento di Porter – non verso l'ex cantante degli One Direction nello specifico, ma verso un intero sistema – è giusto ricordare che, nel passato, ci sono già stati artisti, performer, celebrities gay, ma anche eterosessuali, provenienti da mondi culturalmente differenti, che hanno indossato, o promosso, l'uso di un abbigliamento apertamente gender fluid: da Prince (afroamericano) a Elton John passando per Freddie Mercury (nato a Zanzibar da genitori parsi di religione zoroastriana), senza neanche dover arrivare a scomodare l'antesignano David Bowie o il meno noto Marc Bolan, il profeta del glam rock. Uomo etero e bianco, Bolan fu il primo ad indossare, durante una performance a Top of the pops, del glitter sugli occhi, ispirando così i colleghi e amici Bowie ed Elton John (che in occasione di quella specifica performance, nel 1971, lo accompagnava al piano, mentre Bolan canticchiava la hit Bang a Gong in pantaloni a zampa rosa) e lanciando di fatto il movimento musicale del glam, che, inclusivo come pochi, incoraggiava artisti etero o gay a sperimentare con il guardaroba, andando oltre la sezione solitamente legata a lui, ma includendo tacchi e boa di struzzo. Nella moda, il primo creativo a pensare alla gonna indosso a un uomo, è stato nello specifico Jean- Paul Gaultier, che la mandò in passerella nel 1985: a sua volta, lo stilista francese era stato influenzato, negli stessi mesi, da una controcultura inglese, quella del Buffalo, ideata da Ray Petri, uomo bianco e gay, e figura degna di culto nel sistema modaiolo, in quanto riconosciuto come il primo vero "stylist". Petri aveva raccolto intorno a sé una community di artisti e outsider – di cui faceva parte anche una giovanissima Naomi Campbell – che si divertiva a fotografare sovvertendo l'immaginario spesso abbinato al machismo tossico, o all'idea borghese – e molto caucasica – affiliata all'eleganza dell'epoca. Petri selezionava ad hoc il cast, cercando – con grande difficoltà, per l'epoca – modelli black, che spesso non trovava nelle classiche agenzie, dovendo ricorrere allo street casting. I soggetti erano poi messi di fronte all'occhio del fotografo Jamie Morgan, e mescolavano, nel loro look, influenze sartoriali classiche e capi come le gonne, classicamente considerati appannaggio del mondo femminile. Il fatto che scegliesse spesso uomini dai fisici scolpiti, vicini ad un immaginario mascolino, e ne mostrasse la vulnerabilità, contribuiva a creare un immaginario del tutto rivoluzionario per l'epoca, dall'attitudine punk e sovversiva, e promotrice di un guardaroba, e di conseguenza, di un modo di intendere il genere, che sorpassasse le convenzioni. Alcune culture, infine, hanno storicamente de-sessualizzato la gonna, come nel caso più famoso degli scozzesi, per i quali il gonnellino in tartan è orgoglioso simbolo di appartenenza ad un clan, e nulla più. Se quindi Porter non può proclamare un ruolo da pioniere assoluto, nel campo della moda non-binary, è scorretto anche attribuire a Styles un orientamento sessuale, che il cantante stesso non ha mai detto di avere.

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Dia Dipasupil//HBO
Harry Styles al Met Gala 2019, in Gucci


Se negli anni si sono rincorse le voci sulla sua apparente bisessualità, mai smentite dallo stesso interessato, è però innegabile che Styles si sia sempre schierato a favore della comunità LGBTQ+, esponendo bandiere del Pride a diversi suoi concerti, o con la famosa frase, pronunciata durante il suo tour del 2018 "We're all a little bit gay". Posizioni che lo stesso cantante ha spiegato durante un'intervista con il Guardian nel 2019, quando è tornata prepotente la domanda sulle sue preferenze. «Non si tratta di non dare una risposta, proteggermi, tenerla per me. Non si tratta neanche di "questa è una questione che riguarda me e non voi". Si tratta più di "ma in fondo, a chi interessa?"» ha spiegato, rispondendo anche a critiche su una sua probabile capitalizzazione economica di un'immaginario fluido, solo in funzione di un ritorno d'immagine, e non per via di una autentica affiliazione alla causa. « Sto volontariamente giocando su una ambiguità sessuale per risultare più interessante? No. In termini di abbigliamento e di immagine dell'album, prendo delle decisioni sulla base delle persone con le quali voglio collaborare, perché ho un'idea chiara di quello che voglio dal risultato finale. Non perché mi faccia apparire gay, o etero, o bisessuale, ma perché, semplicemente, mi sembra che sia bello. E inoltre, non so, penso che la sessualità sia qualcosa di divertente. In tutta onestà? Non credo di averci pensato molto oltre».

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Billy Porter ai Grammy Awards nel 2020

Ciò su cui Porter ha innegabilmente ragione, è il problema legato alla rappresentanza: è facile immaginare che, al netto degli anni nei quali viviamo, per un uomo bianco, che corrisponde a certi criteri estetici e vive all'interno di un universo protetto come quello delle celebrities, sia ammissibile giocare con il proprio guardaroba, senza che la sua scelta possa avere delle conseguenze negative di grossa portata, laddove in passato, per un uomo nero e gay, fare esattamente la stessa cosa, avrebbe comportato, nella migliore delle ipotesi, bullismo, razzismo, se non quando minacce alla propria integrità fisica. E anche se oggi, fortunatamente, i tempi sono cambiati, è innegabile che l'industria dell'intrattenimento o quella dell'informazione, siano portati a prediligere icone non-binary che si avvicinano maggiormente ad un'immagine di diversità che si conformi a quanto, nonostante tutto, per via di pregiudizi inconsapevoli, è considerato "accettabile". Se gli intenti di Styles in materia siano realmente autentici, e non guidati da un pool di agenti stampa e stylist attenti all'aria che tira, alla fine della fiera, lo saprà soltanto Styles e il suo team, ma in fondo potrebbe non essere così rilevante: e se anche un uomo percepito come modello di stile da altri uomini gay o etero, potesse con il suo esempio, ispirare altri a vivere in libertà l'esperienza con il guardaroba, non sarebbe, anche quello, un atto inconsapevolmente sociale, e quindi, politico? La risposta ce la darà soltanto il futuro, e l'utilizzo della moda gender-fluid che uomini (e donne) sceglieranno di fare, omaggiando l'esempio dei numerosi pionieri, dalla B di Bolan e Bowie, alla P di Ray Petri e Billy Porter.