È difficile non avere il sospetto, mentre si guarda anche solo il trailer di Les Sorcières de l’Orient, il nuovo documentario di Julien Faraut, che noi bambine italiane non stavamo esagerando quando negli anni ’80 immaginavamo di allenarci a pallavolo con le catene ai polsi come Mimì. Noi, comode sul divano, occhi spalancati mentre facevamo merenda e sullo schermo Mimì e la nazionale di pallavolo a seguito davano il massimo: l'allenamento straziante, le pallonate lampo, le ricezioni con tanto di capriola che non davano tregua alle spalle e sembravano impossibili da replicare - dopotutto sono cartoni animati. Per poi scoprire nel 2021, una volta trovati i video originali degli allenamenti e con un pizzico di senso di colpa, che si trattava più di realtà che di fantasia. Come ben spiega il film mescolando la storia, il presente e il mito, è stato grazie ai sacrifici e a una forza di volontà di ferro che le ragazze della squadra femminile di pallavolo Nichibo Kaizuka non solo in pochi anni si sono qualificate e hanno vinto l'oro alle Olimpiadi di Tokyo nel 1964, ma hanno ispirato una nazione in un momento cruciale - il Giappone del Dopoguerra - lasciando il segno nella cultura pop, inclusa quella italiana. La loro storia è considerata uno dei più grandi successi sportivi di sempre. Si parte in sordina alla fine degli anni ’50 quando un gruppo di colleghe in un'azienda tessile fuori Osaka si iscrive a un club per giocare a livello amatoriale. In pochi anni gli allenamenti diventano più severi (tutti i giorni prima e dopo il lavoro, con orari punitivi) e i risultati più promettenti. Arrivano a vincere ben 258 partite consecutive e conquistano il podio delle Olimpiadi proprio nell'anno in cui, fiore all'occhiello, la pallavolo viene introdotta per la prima volta come disciplina sportiva.

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Temute da tutti e ribattezzate Streghe dell’Oriente dai media russi per le loro abilità sovrumane, erano diventate imbattibili grazie ad un allenamento poco convenzionale focalizzato su velocità e aggressività. Fuori dal comune era anche il loro allenatore, Hirofumi Daimatsu, uomo dai metodi durissimi ed ex capo plotone dell'esercito imperiale, che in Giappone si era guadagnato il nomignolo de “Il Demone” ed era già diventato una figura leggendaria dopo essere sopravvissuto per mesi nella giungla di Myanmar durante la Seconda Guerra Mondiale. La partita finale, giocata il 23 ottobre 1964 a Tokyo contro l'Unione Sovietica, ha avuto un profondo effetto sul pubblico giapponese. Oltre ad offrire dell'intrattenimento sportivo di altissima qualità, l'incontro è diventato metafora accidentale di quello che il Giappone stava cercando di ottenere da anni: una nazione sconfitta e remota con una capitale infestata da criminali si solleva gloriosamente dalle macerie, trasformandosi in una megalopoli che guarda al futuro dopo anni di duro lavoro, molta disciplina e un’impareggiabile forza di volontà collettiva. Alle ragazze della nazionale giapponese, ormai eroine nazionali e icone femministe, sulla scia del successo olimpico è stato dedicato un manga popolarissimo e il rispettivo anime, il cartone animato di Mimì che-con-le-mani-tira-come-uragani per la gioia delle bambine che guardavano la tv doposcuola. Era il 1969 e l'appetito per i neo-nati anime sportivi indirizzati alle ragazzine (gli shōjo-spokon) non sembrava placarsi, così poi arrivarono Pat la ragazza del baseball, Jenny la tennista e, per chiudere il cerchio e tornare alla pallavolo, Mila e Shiro. Sparite le catene ai polsi, era ora di gridare “Attack!” alla battuta.

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