Ci aveva provato, mio padre, con un sorriso beffardo e un pacchetto ruffiano, a farmi appassionare all’unico e uno solo sport per cui valeva la pena anticipare di due ore buone il pranzo della domenica. Ci aveva provato con una maglietta originale a strisce blu e nere, le uniche e sole concesse in casa, a infondermi una parvenza di competitività sportiva, giusto un accenno di fede al tappeto d’erba sintetica, un cicinin di propensione a voler contare almeno fino a 3 palleggi portati a casa. La polo di Bobo Vieri s’è impolverata nel giro di due giorni e le punte da ballerina classica pure. Destino. Destino che mi porta, 20 anni dopo e qualche chilometro più in su, a conoscere la donna che, negli stessi anni in cui mio padre provava a convincere me, lei provava a convincere il suo. Spiegandogli che ce l’avrebbe fatta. Che sarebbe stata alla sua altezza e, forse, qualcosa in più. Che avrebbe dribblato le gambe degli avversari sul campo e le dita di quelli che avrebbero provato a smontare il suo sogno, solo perché figlia e nipote di due uomini che al calcio hanno dato sudore, sangue e inchiostro, per scriverne la storia. Regina Baresi ha 27 anni, gli stessi che suo padre Beppe e suo zio Franco avevano a fine Ottanta, quando si dividono nelle due squadre-cuore di Milano per unire la fede calcistica di una Nazione intera. Capitano dell’Inter, come il padre, e icona del calcio donne in Italia, Regina ha lo sguardo onesto come lo sport d’antan e la risolutezza che appartiene alle donne molto poco avvezze alle rinunce. La incontriamo durante l’appuntamento milanese del Neymar Jr’s Five, il torneo di calcio a 5 organizzato da Red Bull e dedicato alla stella del calcio brasiliana, che premierà le squadre maschili e femminili vincitrici durante la Finale Mondiale del prossimo 21 luglio.

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Okay, donne e calcio: qual è il cliché più falso?

Che ci si trasforma in maschiacci. La vera femminilità è slegata dallo sport che si pratica.

Non solo calciatrice donna, ma anche figlia e nipote di due nomi di marmo nella storia dello sport italiano. Le premesse per far storcere il naso alla gente ci sono tutte…

Ci sono volte in cui “mi tocca” dimostrare il doppio delle mie capacità, proprio per far capire agli altri che non corro su un campo per via del mio cognome. Dall’altro lato, però, avere mio padre e mio zio a fianco mi ha aiutata a recepire più velocemente consigli, stimoli, passioni… Insomma, per me è un onore avere questo cognome.

Hai mai parlato con loro di quanto e come sia cambiato il tifo in Italia in questi 30 anni?

In passato il calcio era più “puro”, a partire dal fatto che c’erano meno soldi. Un po’ come nel calcio femminile contemporaneo. Oggi, tifo non significa solo tenere alla propria squadra ma, soprattutto, screditare le altre e i tifosi “nemici”.

Ma il calcio femminile è davvero in ascesa?

In Italia stiamo facendo molti molti passi avanti. Ad esempio, rispetto a qualche anno fa, ci sono tantissime bambine che iniziano ad avvicinarsi al calcio. In più, con l’affiliazione ai club maschili la visibilità è aumentata, e non può che far bene a tutto il nostro movimento.

Ti sei mai sentita fuori luogo per colpa di qualcuno?

Fortunatamente me ne sono sempre fregata di quello che dicevano le altre persone. Mi capita spesso, però, che la gente si sorprenda quando spiego loro che gioco a calcio. Oppure quando gioco da sola con altri uomini, vedo e sento tanto scetticismo attorno a me. Poi dopo 5 minuti cambiano idea… Alla fine la dimostrazione migliore è sempre sul campo!

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Hai iniziato prima a gattonare o palleggiare?

Gioco da sempre. I primi ricordi li ho in casa con mio fratello, al parco, all’oratorio. A 12 anni, poi, ho iniziato a giocare più seriamente in una squadra, e da lì non ho mai smesso.

Il tuo modello dentro il campo.

Mauro Icardi. In questo momento è il centravanti più forte al mondo ed il giocatore da cui cerco di imparare, osservandolo durante le partite. Quando ero più piccola, invece, era Ronaldo.

Cosa rappresenta per te il Neymar Jr’s Five?

È una vetrina importantissima per tutto il movimento del calcio femminile in Italia, poiché è una delle prime volte in cui entriamo a far parte di un torneo così grande. Abbiamo la possibilità di dimostrare che anche le donne possono giocare benissimo a calcio, che anche le donne possono giocarsela per raggiungere il sogno di volare in Brasile alla finale mondiale.

La prima cosa a cui pensi subito dopo una vittoria o una sconfitta pesante?

Alle mie compagne, la mia squadra, il mio allenatore. Condividiamo vittorie, sconfitte, tutto insieme. È imprescindibile.

Quanto ti alleni a settimana?

Tre volte a settimana per due ore di allenamento. Solitamente di sera, perché la maggior parte di noi studia o lavora.

I tuoi essential da allenamento.

Divisa ufficiale dell’Inter, coda di cavallo, zero make up e una lattina di Red Bull per recuperare immediatamente le energie.

Nella tua playlist...

Musica italiana. Laura Pausini, la mia cantante preferita, poi Ligabue, Francesco Renga e Jovanotti.

I tuoi tatuaggi raccontano di…

Emozioni particolari durante periodi particolari. Come quello che ho sulla caviglia, battuto dopo aver vinto il campionato con l’Inter nel 2013. È un pallone con scritto intorno “i colori del cielo e della notte”.

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