La guerra in Siria è ormai entrata nel suo ottavo anno di conflitto: era infatti la primavera 2011 quando le prime proteste avvenivano a Damasco e in altre città. Da allora gli scenari si sono fatti sempre più complessi, mentre i rifugiati siriani hanno continuato a lasciare il proprio Paese per salvarsi la vita e costruirne una migliore. Moltissimi hanno affrontato lunghe traversate con l'obiettivo di arrivare nel Nord Europa e in Germania. Tramite UNHCR - Alto Commissariato Onu per i rifugiati, abbiamo raccolto la testimonianza di un rifugiato siriano arrivato proprio fino in Germania (gli sono serviti un paio d'anni di viaggio) e che ha rimesso in piedi la propria vita grazie ai libri. Dopo un periodo in un centro per profughi Muhannad Qaiconie è riuscito a trovare una borsa di studio per finire l'università e ha creato la biblioteca araba Baynatna nel cuore di Berlino, oggi vivace centro di ritrovo e di scambio culturale nella capitale tedesca. Ecco la sua storia.

Sono nato ad Aleppo, una delle città più antiche del mondo. La città che non dorme mai, dicono. Tutti lavoravano giorno e notte, negozi aperti 24 ore su 24, dovevi guadagnarti da vivere! Mettere in piedi il tuo business, poi una famiglia, questo solo contava. Tutto il resto era considerato un lusso. Aleppo era la città senza ambizione. Dicevano: devi essere felice di quello che hai. Oggi Aleppo è una città senza possibilità. Eppure era diversa una volta, è diventata così dopo l'avvento del partito Al Baath e l'inizio della dittatura.

La mia storia inizia quando l'appartamento ad Aleppo dove vivevo con mia madre e mia sorella è stato bombardato dal regime siriano nell'estate del 2013. Fu subito chiaro che dovevo andarmene e trovare un lavoro all'estero. Il viaggio è stato duro, ma io sono ambizioso. Sono partito con molti sogni. La vita è meno difficile quando ti aggrappi alla tua ambizione, quando hai fame di trasformare i tuoi sogni in realtà.

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La magia del bazar di Aleppo prima della guerra.

Ho riempito tre valigie con tutto quello che riuscivo, tutto quello che possedevo dalla mia nascita. E sono partito: era il 2013. Impossibile ma ci sono riuscito: carte, fotografie, libri che amo, regali, i mie ricordi. Le valigie sono ancora in Turchia purtroppo, perché ho dovuto proseguire il viaggio su un piccolo gommone fino in Grecia e non ho potuto portarle con me. Un po' sono morti anche i miei ricordi, non rammento come erano i posti che una volta amavo. Anche se mi sforzo, ricordo solo la devastazione. Più della metà del mio Paese è ormai distrutto, più di mezzo milione di persone sono state uccise e molti di più sono diventati rifugiati in tanti paesi del mondo. Tutto per colpa di un dittatore.

La mia prima fermata è stato il Libano e lì ho sofferto molto. Per quattro mesi ho dormito su una pila di assi di legno nel retro di un negozio di un falegname. Era comunque un'opzione migliore che dormire sul pavimento di cemento. Ricordo l'inverno e il fatto di dovermi lavare con l'acqua fredda del lavandino, perché non c'era la doccia. Cambiavo lavoro di continuo, da muratore a ragazzo delle consegne, finché finalmente un parrucchiere mi ha dato una chance, mi ha insegnato il mestiere e mi pagava una piccola somma. Fare il parrucchiere non era il mio sogno, ma ho pensato «ok, almeno è un lavoro pratico e pulito, che posso fare per il resto della mia vita».

Poi ho conosciuto un ragazzo che lavorava accanto al negozio dove dormivo. Insisteva con l'invitarmi a casa sua per conoscere la sua famiglia. Ero troppo timido per accettare l'invito, finché un giorno mi sono svegliato e non ho trovato più le mie cose e i miei vestiti. «Ho portato tutto a casa mia», mi ha detto lui con un sorriso, «ora non ha più scelta, devi venire con me».

Vivere a casa di qualcun altro, con la famiglia di qualcun altro, non è stato facile e mi è servito del tempo per abituarmi. All'inizio non volevo assolutamente che sua madre, una donna dal cuore d'oro, mi lavasse anche i vestiti. Quindi aspettavo che tutti fossero andati a dormire e mi mettevo a lavare le cose a mano. Ma lei insisteva dicendo che voleva prendersi cura di me. Una notte mi ha ingannato: ha aspettato finché non mi sono addormentato e poi, come aveva fatto suo figlio, ha preso i miei vestiti e li ha lavati. «Sei come un figlio per me», ripeteva.

Nonostante queste persone fossero povere a loro volta, non mi hanno mai chiesto niente in cambio. Quel poco che guadagnavo non bastava nemmeno per mantenere la mia famiglia in Siria, figuriamoci per ripagare la gentilezza della famiglia che mi ospitava. Dopo qualche tempo ho deciso che, nonostante la loro generosità, non volevo continuare a essere un peso per loro. Tra abbracci e sorrisi tristi, li ho lasciati in lacrime mentre mi dirigevo verso la Turchia.

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Tende dell’UNHCR - Alto Commissariato per i Rifugiati in Libano, che è spesso il primo paese dove scappano i rifugiati siriani come Muhannad.

Sono arrivato in un piccolo villaggio della Turchia con 50 dollari in tasca. La mattina seguente ho iniziato a cercare un lavoro. Trentacinque negozianti mi ha risposto «no». Non parlavo turco e potevo comunicare solo a gesti. Alla fine, quando stavo per rinunciare, ho incontrato una ragazza di nome Ebru. «Aspetta», mi ha detto e ha chiamato un'amica che parlava arabo. E mi ha offerto un lavoro. Non ero ancora un parrucchiere a tutti gli effetti, quindi mi ha preso come suo assistente, insegnandomi ancora il mestiere e la lingua turca.

Dopo tre settimane parlavo un po' di turco, e oggi posso dire di saperlo molto bene. Passavo tutto il tempo in negozio, lavavo per terra, asciugavo e tingevo i capelli. Oltre a un rifugio, ho trovato anche compagnia. All'inizio dormivo nel retro del negozio, ma dopo tre settimane, la mia salvatrice mi ha invitato a casa sua, dove sono rimasto per circa un anno. Non dovevo pagarle l'affitto e questo mi lasciava libero di mandare tutti i soldi che guadagnavo alla mia famiglia in Siria. Mi sentivo in colpa, però. Cosa potevo fare per lei? Come potevo ripagare la generosità di Ebru quando non avevo assolutamente niente con cui ricambiare? Alla fine siamo diventati amici: abbiamo condiviso lavoro, cibo e tempo libero.

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Giubbotti di salvataggio e resti di barche abbandonati dai migranti in arrivo dalla Turchia, sull’isola di Lesbo, Grecia.

Dopo circa un anno in Turchia ho deciso di partire verso l'Europa. Ho iniziato il mio viaggio verso la Germania con quei pochi soldi che avevo risparmiato e l'aiuto economico di vicini, amici e persino clienti del negozio. Tutti volevano aiutarmi a iniziare una vita migliore. Ho preso un gommone per la Grecia e poi ho camminato sulla durissima via balcanica insieme a molte altre persone, famiglie e bambini. Sono arrivato fino a un piccolo paese in Baviera, nell'estate del 2015. Ero alla stazione in atteso di un treno per Monaco quando la polizia mi ha fermato, mi ha portato in questura per prendere le impronte digitali e mi ha messo in un centro per rifugiati.

Proprio in quel periodo è nata l'idea di creare una biblioteca araba aperta a tutti. Aspettavo giornate intere senza fare molto, in attesa di un permesso di residenza e delle decisioni della burocrazia tedesca. Ho conosciuto una giornalista tedesca, che poi è diventata la mia socia in quest'avventura. Senza di lei non ce l'avrei mai fatta. Le chiesi se conoscesse un posto dove poter prendere in prestito libri in arabo. Non sapeva aiutarmi, ma si è offerta di ordinarne qualcuno online. Tempo dopo ho conosciuto un musicista siriano, una studentessa giordana e un editore sempre siriano: sono la squadra con cui ho portato avanti il progetto della biblioteca Baynatna.

Il potere dei libri è di riuscire a farti cambiare idea su un tema, o almeno ti portano a guardarlo sotto un'altra luce. Nel mio caso cito sempre Questione di genere di Judith Butler: mi ha fatto capire quanto sia importante lottare contro la società tradizionale e patriarcale. Peter Singer, con il saggio Liberazione animale, mi ha spiegato con chiarezza perché noi esseri umani ci sentiamo superiori a tutti gli altri essere viventi ed è questa la giustificazione che usiamo per uccidere gli animali per il nostro consumo. La metafisica dei costumi di Kant è una mia costante ispirazione per l'etica e la morale della vita quotidiana.

Nella nostra biblioteca non seguiamo dei criteri per la scelta dei libri, anche perché molti sono stati donati. Le persone hanno gusti diversi per cui teniamo romanzi, poesia, saggi politici e storici: così chiunque può trovare qualcosa di interessante. Personalmente ho un ricordo speciale dei romanzi russi, perché per un periodo ho letto solo quelli e quindi quando li vedo sugli scaffali mi sembra di tornare in Siria. Mi piace aiutare le persone che arrivano in biblioteca perché hanno tutti esigenze diverse. Di recente uno scrittore mi ha chiesto saggi sul nazionalismo per un personaggio del suo nuovo romanzo che deve sviluppare meglio. Tanti sono studenti stranieri che studiano qui in Germania, e magari cercano un libro in arabo su una materia che faticano a comprendere in tedesco. Altri sono semplicemente grandi lettori e affollano i nostri eventi di lettura, le serate di musica e le conferenze. Abbiamo un pubblico molto internazionale, che ama scoprire nuove culture.

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La libreria araba fondata da Muhannad con alcuni amici a Berlino. La maggior parte dei libri sono stati donati.

Non vedo la mia famiglia da cinque anni. Mia madre e mia sorella si trovano bloccate in Turchia da più di un anno. Quando la nostra casa è stata completamente distrutta da un bombardamento ad Aleppo, è stato un puro caso che loro non ci fossero. Mia madre stava lavorando in un negozietto di frutta e verdura, mentre mia sorella si trovava in università, dove studiava agricoltura. Erano riuscite a sopravvivere ad Aleppo per anni senza di me, lavorando duramente per tenere una porta aperta verso il futuro. Ma quel giorno sono tornate a casa e il palazzo era disintegrato. Il tempo era scaduto: non avevo altra scelta che aiutarle a uscire dalla Siria. La mia cara amica in Turchia mi è venuta in soccorso, dicendo che potevano restare a casa sua «come è stato per te». Non ho quasi nessun conoscente o parente rimasto in Siria, molti sono stati uccisi, altri sono scappati.

Oggi la mia vita prosegue grazie a una borsa di studio del Bard College di Berlino. Mi laurerò l'anno prossimo, vorrei prendere anche il master e magari un dottorato. Sono molto grato al Bard College per quest'opportunità e so che si stanno dando molto da fare per finanziare più borse di studio per persone costrette ad abbandonare il proprio Paese e i propri studi. Se penso al futuro, vorrei poter fare qualcosa di concreto per il mio Paese, vorrei che la Siria tornasse un posto sicuro e che le persone che lo desiderano possano tornare alle proprie case.

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La città di Aleppo oggi.

Ho raccontato solo una parte delle mie esperienze in paesi così lontano dal mio e con persone che non si conoscono né sono collegate, ma che condividono il senso dell'amore e dell'umanità verso gli altri. Sembra kitsch da dire, ma tutto questo viaggio mi ha portato a vivere tante piccole realtà positive all'interno di una cornice decisamente negativa. Tutte queste persone che mi hanno aiutato - e so perfettamente di non essere l'unico ad aver vissuto esperienze simili - permettono ai miei compagni siriani di lasciare un Paese in guerra e, soprattutto, di non perdere la speranza. Il mondo va avanti grazie ai molti che lavorano in silenzio, aiutano gli altri, condividono amore e umanità. Persone così rendono questo mondo un posto decisamente migliore. Oggi so che aiutare gli altri conta più di qualsiasi altra cosa. A tutti quelli che ho incontrato sul mio cammino, va il mio ringraziamento infinito. E sono stati molti.