Non importa se non conoscete neanche un film di Ermanno Olmi. Può darsi anche che ne abbiate visti almeno alcuni di quelli che già vengono snocciolati per rendergli omaggio, ma per un attimo lasciateli stare. Se lo cercate con Google troverete premi alla carriera, Leoni e Palme d'Oro, Nastri d'argento e tutto l'armamentario che si porta dietro un grande vecchio del cinema. Uno di quelli, tra l'altro, che non si è mai occupato di montarsi la testa. Però già che siete su Google, senza troppi sforzi potete trovare il punto esatto da cui tutto è partito, e da cui Olmi, percorrendo grandissime distanze con la cinepresa, non si è mai allontanato. Si tratta di alcuni video di poche manciate di minuti. Sono documentari che nel corso degli anni, partendo dal '53, il regista realizzò su commissione per la Edisonvolta. I nostri preferiti sono La diga di ghiaccio, sulla costruzione della diga di Morasco in alta Val Formazza, e Tre fili fino a Milano, che racconta il montaggio di una linea ad alta tensione in Val Daone.

Erano gli anni in cui le aziende ricucivano l'Italia, la rimettevano in piedi e contribuivano, con infrastrutture fatte per restare, di cui ancora oggi beneficiamo, a cucirle addosso le ali che le servivano per diventare uno dei sette Paesi più industrializzati del mondo.

Anni che questo Paese pieno di amnesie si è completamente dimenticato. Olmi lavorava per Edisonvolta, ma a modo suo. E mentre entrava nei dettagli tecnici che devono essere sembrati impressionanti al pubblico di allora, mentre si addentrava nell'epica delle grandi opere, con cui Mussolini in un altro modo e in un altro mondo aveva costruito la sua forza e la sua popolarità, Olmi metteva in azione una sensibilità unica sull'interazione dell'uomo con la natura, della civilizzazione con la vita semplificata dalla necessità. Già in questi documentari il suo occhio era spalancato sulle facce spiegazzate degli operai, il suo orecchio aperto ai loro dialetti smozzicati dal pudore.

Pochi secondi per fermarsi su un lavoratore che stende la cartina per rollarsi una sigaretta e che prima, insieme con i suoi colleghi, aveva scavato nel ghiacciaio del Sabbione i magazzini che sarebbero serviti da deposito per i materiali da costruzione. Oppure, in Tre fili fino a Milano, un frammento di tempo resta sospeso sulla nonna di una bambina, figlia di un operaio che sta montando il traliccio. Si è inumidita i palmi delle mani con il fiato per passargliele poi sui capelli e ricomporglieli bene. Un gesto di affetto sorpassato subito dalle incombenze della giornata, ma non importa perché si è cristallizzato nella nostra memoria.

Da questi corti dall'anima industriale e pubblicitaria ci salta addosso l'Italia che eravamo. E si pensa agli italiani che siamo. Viene per forza da chiedersi cosa è successo nello spazio che separa l'orgoglio di costruire una diga per il bene e l'elettricità di tutti dall'insoddisfazione cronica delle nostre vite piene di luci e bottoni da schiacciare. Qualcosa abbiamo conquistato. Qualcosa abbiamo perso.

Lo si può riacchiappare. E a questo punto le varie liste dei titoli che si trovano sui giornali in questi giorni potrà esserci utile. Prendiamoci il nostro tempo, che il Maestro Olmi non riconosceva alla fretta un gran valore. Soffermiamoci sulle facce, sui gesti e sui dettagli. (Ri)guardiamoli bene, come si faceva una volta.