Ha iniziato nei panni del bel bisteccone britannico, esibendosi con indosso una gonna d’oro in Hunger Games - La Ragazza del Fuoco (2013) e una camicia tutta bagnata in Pirati dei Caraibi - Oltre iconfini del mare (2011), con un’aria da giovane Hugh Grant. Ora, a 32 anni, Sam Claflin è passato a ruoli che prevedono sindrome del piede da trincea e cancrena: l’anno scorso, in Journey’s End, è stato il tragico capitano Stanhope alle prese con la Prima guerra mondiale; oggi è lo skipper Richard Sharp in Resta con me di Baltasar Kormákur, una storia drammatica di lotta per la sopravvivenza con tre protagonisti, Claflin, una grande Shailene Woodley e un mare crudele. Appena hanno iniziato a veleggiare nel profondo blu del mare delle Fiji, dove è stato girato il film, lui non si capacitava di essere così fortunato: «E ci pagano per questo?». Poi il mare è cambiato «e tra un ciak e l’altro continuavo a vomitare».

Love, Romance, Photography, Happy, Smile, Surfer hair, pinterest
Courtesy photo
Sam Claflin e Shailene Woodley in Resta con me di Baltasar Kormákur

Nei panni di una giovane coppia sono perfetti, Woodley e Claflin: appena fidanzati, innamorati pazzi della sensazione di libertà che ti dà tutti i tempi, li sbatte in balìa di onde alte 12 metri, facendo a pezzi barca e strumenti di navigazione. Mette i brividi anche perché è una storia vera, ispirata al libro in cui Tami Oldham Ashcraft racconta come è sopravvissuta per 41 giorni alla deriva, ed è Woodley che manovra il sestante e fa immersioni per pescare, mentre Claflin langue ferito a prua. Una bella inversione dei soliti ruoli tra i sessi.

Sam Caflin con la moglie Laura Haddock pinterest
Getty Images
Sam Caflin con la moglie Laura Haddock.

Visto che fa l’attrice anche lei (è nota soprattutto per il super fantasy hollywoodiano Transformers), la moglie di Claflin, Laura Haddock, ha capito quale travolgente love story il marito ha vissuto sul set con Woodley. «Laura ha sempre incontrato le persone con cui, per esigenze di copione, ho avuto una certa intimità», racconta lui. «Lei e Shay [Shailene] si chiamavano su FaceTime, sapevo che si sarebbero piaciute». Sa anche che non sempre va così, che certe romantiche coprotagoniste per altri sono state un problema. «Non mi è mai successo. Molte cose però possono andare storte». Cioè qualcuna si è innamorata di te per davvero? «Diciamo solo che qualcosa può non funzionare».

Ha appena girato la nuova pubblicità di Dkny di Donna Karan, ballando per New York in abiti sartoriali. «Ho sviluppato gusti costosi. I miei genitori mi hanno accompagnato a fare shopping ed erano esterrefatti: “Ma quanto costano quei calzini?! Come due maglioni!”. È vero». Gli piace chiacchierare. E sprizza integrità e correttezza. Il nuovo mood puritano che adesso, con il movimento #MeToo, circola nel mondo del cinema gli si addice. «Non ho mai picchiato nessuno. Mai fatto niente per denaro, non accetterei di girare un film solo per quello. Sono cresciuto senza soldi e non ne sento il bisogno» (calzini a parte, forse). Adorerebbe lavorare con Richard Curtis, lo sceneggiatore di Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill. E riesce a parlar bene anche di Jamie Dornan, l’attore che gli somiglia così tanto che da almeno dieci anni si contendono i ruoli. «Adoro Jamie, a Los Angeles frequentavo lui e Eddie Redmayne...». A differenza di altri, non resta sveglio la notte chiedendosi quando una sua ex con un hashtag gli rovinerà la carriera. «Non mi è mai venuto in mente di fare cose di quel genere. Anche se anch’io sono stato più giovane. Di positivo c’è che adesso tutti pensano di più a quello che fanno e si chiedono: quella notte, con quel ragazzo o quella ragazza, mi sono comportato bene? Chi fa questo mestiere oggi si interroga sugli atteggiamenti anche inconsci che ha, perfino sull’uso della parola “darling”. Parlavo con un gruppo di ragazzi sul set e ci chiedevamo: “Dire darling è okay?”. “No,non lo è. Mate, cioè amico, è meglio”». Ha interpretato personaggi distanti anni luce tra loro - dal tetraplegico Will Traynor nello strappalacrime Io prima di te a Tom Buckley in Their Finest, sceneggiatore del War Office nell’Inghilterra della Seconda guerra mondiale. Tutti all’inizio sembrano odiosi ma poi si rivelano buoni.

È innamoratissimo della sua famiglia e della moglie, che è un po’ la sua dea («Com’è che sono riuscito a sposarla?»). Vivono a Chiswick, sobborgo residenziale di Londra, con un maschio di 2 anni, Pip, e una bambina di 5 mesi, di cui non si sa ancora il nome...«Okay, si chiama Margot!». Dice che lui e Laura si passano il testimone tra un set e l’altro e si dividono equamente gli impegni familiari. Niente nanny. «Ci sono state delle babysitter, gli amici, la famiglia. Quando i nostri impegni confliggevano per un mese abbiamo preso un aiuto. Ma una nanny mai. Non la vogliamo. Fare i genitori ci piace». È abituato alle rinunce imposte dal suo mestiere. Per sembrare un naufrago disperso in mare da settimane è stato a dieta, rigidissima. «A colazione porridge con una goccia di miele. A pranzo una piccola razione di carne, e un po’ di verdura. A cena un’altra piccola razion0 di carne». Avevi una fame bestiale? «No, ero solo stanco. La cosa più dura è stata passare tre mesi lontano da Laura e Pip».

Viene da un paese vicino a Norwich, nel Norfolk, che si chiama Costessey e si pronuncia Cossy. «Dopo la scuola frequentavo un corso di recitazione, c’erano dei ragazzini con un accento posh e mi chiamavano “Cossy boy” perché venivo da quel paese malfamato. A 15 anni volevo fare il gangster, avevo la testa rasata, un orecchino e delle catene d’oro al collo. Non arrivavo a un metro e sessanta. La mia era una buona scuola, ma ci finivano tutti quelli scartati dalle altre». È il terzo di quattro fratelli. Sono cresciuti vedendo il padre Mark perdere la vista per il diabete. «È peggiorato lentamente. Ha dovuto smettere presto di lavorare - nel settore finanziario. Non poteva guidare e mia madre, una santa, ci portava ovunque, a judo, a calcio... Sempre su e giù. E quanto mangiavamo! Saccheggiavamo il frigorifero. Papà faceva dei lavoretti per portare a casa qualcosa in più». Mamma Sue lavorava a scuola, era un’assistente di classe. «Sono molto orgoglioso dei miei genitori, non ci hanno mai fatto sentire il peso di quello che succedeva». A 13 anni consegnava giornali, per tre ha lavorato nei supermercati Sainsbury’s, poi ha vinto un posto alla London Academy of Music and Dramatic Art (Lamda). «Ho pensato: “Se entro con l’accento del Norfolk mi mangiano”. E l’ho eliminato».

Si è pagato gli studi facendo le pulizie. «La Lamda mi ha davvero dato una mano. Lavavo i pavimenti e dipingevo i muri. Ho un lato da disturbo ossessivo-compulsivo, così mi spedivano in soffitta a sistemare tutto». Il primo personaggio che ha interpretato è stato il giovane Logan Mount Stuart nell’adattamento televisivo di Ogni cuore umano,il romanzo di William Boyd. A 24 anni è andato alle Hawaii a girare Pirati dei Caraibi.

«Ero terrorizzato. Sapevo che era l’occasione della vita. Ero così nervoso che il regista mi ha detto di calmarmi e ripigliarmi. Ora che ho girato film diversi, che non hanno budget così grandi e dove sul set c’è più collaborazione, non ho paura di dire “no, grazie” quando qualcosa mi mette a disagio». Tipo mostrarti in a torso nudo?

sam caflin nel film resta con mepinterest
Getty Images
Sam Caflin in una scena del film: Resta con me

Claflin ha 2,8 milioni di follower su Instagram e probabilmente molti lo seguono per i muscoli di Finnick Odair, il suo personaggio in Hunger Games. Quando l’hanno scelto per la parte, in rete circolavano rumour scettici, che hanno lasciato il posto a un’infinità di gif. Sospira: «Detesto stare a torso nudo. Anche quando sono a casa». Gli dico che il suo autentico disagio rende migliore il suo Odair, gli dà un senso di... «Vulnerabilità?», mi interrompe alzando gli occhi al cielo. «Me lo hanno detto spesso». Ora che può scegliere, opta per personaggi «psicologicamente più impegnativi. Gli anni passano...». Nel thriller The Corrupted, che uscirà nel 2019, è un pugile, ci sono anche Hugh Bonneville e David Hayman. «È la prima volta che interpreto uno della working class. Per come e dove sono cresciuto, so di che si tratta».

Si tiene lontano dal chiasso mondano. «Ai party di Hollywood ci sono stato, sono pazzeschi ma non fanno per me. Se ti metti a vivere il sogno perdi contatto con la realtà, ti ritrovi circondato solo da yes-men. E i regali! Non sono veri regali. Certe persone vogliono sempre qualcosa in cambio».

Ha incontrato Laura nel 2011 a un provino per Marilyn. Nessuno dei due è stato scritturato, ma si sono scambiati i numeri. Lui ha svegliato il suo migliore amico per dirgli: «Ho appena conosciuto la donna che sposerò». Poi si è corretto: «Intendevo dire la donna che vorrei sposare». Dodici ore dopo, lui e Laura si sono rincontrati per caso in metropolitana. I reciproci impegni li spedivano in Paesi diversi ma chattavano, e per mesi si sono scambiati playlist. La musica è un grande amore condiviso. «La prima volta che ci siamo visti su Skype è stato per il suo compleanno, lei beveva champagne, avevo comprato una bottiglia anch’io: abbiamo brindato. Poi è venuta a Los Angeles e, in aeroporto, appena è comparsa agli arrivi, senza dirci niente ci siamo baciati». Ambizioni? «Era importantissimo per me avere una famiglia, essere un padre giovane e divertente. Ovviamente voglio vincere dei premi, ma non significa essere il migliore. Oggi sento di avere raggiunto un equilibrio perfetto, posso lavorare con grandi registi, grandi attori e grandi sceneggiature, ma anche tornarmene a casa e avere una vita privata senza preoccuparmi dei paparazzi». Non posta cose sui suoi figli. «Non è corretto nei loro confronti, specie quando cresceranno. E se uno poi vuole fare il banchiere?». Scoppiamo a ridere. È la normalità di quest’uomo a renderlo anormale, un uomo perbene. A renderlo proprio come Hollywood, sempre di più, oggi vorrebbe essere. Saluta e se ne va a casa da Pip e Margot, di cui ora si sa il nome. «Non sono ossessionato dalla privacy. È che nessuno mi aveva mai chiesto come si chiama».

© The Telegraph Magazine / The Interview People