«Aiutare gli altri dovrebbe essere la normalità, soprattutto per una celebrity». Il tono di Natalia Vodianova è dolce, ma perentorio. Siamo a Cannes sulla terrazza all’ultimo piano dell’Hotel Martinez, passaggio obbligato durante il Festival. Impeccabile, mi aspetta con le mani giunte. I suoi polsi sono avvolti da bracciali dorati e sottili, dalle estremità chiuse da un cuore in madreperla rosa. Sono le creazioni che ha realizzato insieme a Chopard per la collezione Happy Hearts. Il 10% dei proventi della vendita saranno devoluti alla fondazione Naked Heart, da lei creata nel 2004, dopo la strage di Beslan: quei tre giorni infernali nella Scuola Numero 1 dell’Ossezia del Nord sembrano averla cambiata per sempre. Da allora la modella e filantropa racconta di dedicare la propria vita a raccogliere fondi per aiutare bambini in condizioni difficili e che richiedono cure speciali in Russia. La sua immagine patinata si è sovrapposta a quella dell’imprenditrice, tanto da averla trasformata in un una star nazionale anche per l’impegno benefico a favore dell’infanzia. Lo capirò ancora meglio dopo il nostro incontro, riguardando un’intervista della Cnbc. Natalia è nel mitico Café Pushkin a Mosca. Ha radunato per colazione la sua famiglia quasi al completo: tre dei suoi cinque figli (due avuti da Antoine Arnault e tre dall’ex marito Justin Portman, aristocratico milionario inglese) e il compagno. Solitamente schivo, l’erede del colosso del lusso Lvmh, interrogato sulla moglie, confessa: «Quando abbiamo iniziato a frequentarci sono stato travolto dalla sua popolarità, da tutto ciò che rappresentava per l’industria della moda. Poi ho realizzato che il 95% del suo lavoro consiste nell’assicurarsi che la sua fondazione funzioni». Elbi, l’app filantropica che ha lanciato, è l’esempio. Permette di scegliere la causa da sostenere con un semplice Love, equivalente del cuore su Instagram. A ogni donazione corrispondono “drop”, punti da spendere nel Love Shop, dove maison come Chopard vendono pezzi unici.

Natalia Vodianova con Antoine Arnault pinterest
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Natalia Vodianova con il suo attuale compagno Antoine Arnault

Quando ha deciso che fosse la maison giusta con cui collaborare? Conosco da molti anni Caroline (Scheufele, direttore artistico e co-presidente di Chopard, ndr). Mi ha sempre sostenuta. Tutto però èiniziato concretamente quando ha partecipato al mio gala benefico a Parigi, il Love Ball. Da quel giorno abbiamo iniziato a confrontarci assiduamente, a chiederci davvero cosa avremmo potuto fare in più.

Che cosa risponde a chi pensa che il binomio moda e beneficenza sia una contraddizione o un modo per fare comunque promozione? Quando ho iniziato, quattordici anni fa, era molto diverso. Portare la charity nel lusso era qualcosa di veramente nuovo. Oggi invece una celebrity senza una causa benefica non esiste. È normale per una persona di successo restituire un po’ di quello che la vita le ha dato.

Che cosa direbbe a una donna che vuole intraprendere il suo percorso, partendo però da zero? Usa i contatti a tua disposizione. Non aver paura di chiedere aiuto. Metti le persone nella condizione di dirti facilmente di sì. Porta soluzioni, chiedi di aiutarti offrendo ciò che fai abitualmente. Ma soprattutto preparati. Non arrivare mai davanti a un potenziale investitore senza un’idea precisa. Devi sapere tutto di lui.

Lei lo fa davvero, personalmente? Certo. Studio, conosco a memoria le passioni di chi ho davanti.

Cosa pensa della beneficenza associata agli influencer? A loro dico: promuovete i progetti charity come fate con quelli delle aziende del lusso. Accettate di fare soltanto quello in cui credete. Se i proventi vanno a un’organizzazione benefica non vuol dire che ci si debba accontentare.

Un esempio? Bisogna ragionare come se la fondazione fosse un’azienda. Mi capita spesso di dire: «Progetto fantastico, ma dove sono gli zeri in più?».

Infatti lei parla come un Ceo. Quanto è cambiata la sua vita da quando ha dato vita alla fondazione? Non molto. Lavoro ogni giorno da quando ho undici anni.

bracciali Happy Hearts realizzati da Chophard con Natalia Vodianovapinterest
Courtesy Photo
I bracciali Happy Hearts realizzati da Chopard con Natalia Vodianova: il 10% dei proventi della vendita saranno devoluti alla fondazione Naked Heart, da lei creata nel 2004, dopo la strage di Beslan per aiutare i bambini in difficoltà

Ma che infanzia ha avuto? Lei sospira, sicura che io sappia di cosa stiamo parlando. Non è un segreto, ma è bene ricordarlo. Nata nel 1982 in Russia nella città di Gor’kij, oggi Nižnij Novgorod, cresce solo con la madre e le sorelle minori Kristina e Oksana, affetta da autismo. È lei a prendersene cura mentre lavora prima in fattoria e poi come venditrice ambulante di frutta. Il fidanzato del tempo la iscrive a un casting e a soli 17 anni calca la prima passerella parigina che le rivoluzionerà la vita.

Pensa spesso a quei momenti? Certo. Oggi lavoro ancora duramente come allora. La differenza è che non lo faccio più per sopravvivere. Nel vero senso della parola.

Immagino che lei pensi spesso a quanto la sua vita sarebbe potuta essere completamente diversa. Sì. Però sono anche convinta che senza la mia infanzia non sarei dove sono oggi. Ora lavorare per gli altri mi dà un’energia incredibile.

La nuova app, Elbi, è il suo nuovo capitolo professionale? La immagino come il nuovo Instagram della charity. Voglio che diventi una piattaforma aperta a tutti. All’inizio voglio concentrarmi su piccole organizzazioni a cui dare visibilità. Voglio creare legami solidi, capire come gli utenti reagiscono.

Com’è nata l’idea? Da un grande senso di frustrazione. Ho aperto i miei profili Instagram e Facebook per parlare del mio lavoro nella charity. Credevo potesse essere di ispirazione, ma la gente non interagiva. Vedere che le mie foto patinate ricevevano una risposta dieci volte superiore mi irritava. Ogni giorno mettiamo 5 miliardi di like, eppure non facciamo nulla di concreto. Così ho pensato che se l’1% di quelle persone poteva donare anche solo 5 dollari con un love, qualcosa poteva iniziare a cambiare. E nell’app si può fare shopping, oltre a Chopard al momento ci sono molti altri marchi del lusso.

C’è qualcos’altro che la irrita dei social? Di sicuro non sono i luoghi perfetti per la filantropia. Sono convinta che le nuove generazioni siano molto sensibili. Non hanno però le piattaforme giuste. Con Elbi voglio portare una rivoluzione.