La gente deve sapere non è uno slogan complottista ma il motto ufficioso di ogni redazione vera nel mondo. Che sia di un giornale, di un sito di informazione o di un tg. Il vero giornalista non stacca mai. Capita che decidi di passare una giornata nella redazione di Rainews24, per incontrare Cristina D’Arcangelo, una giornalista che lavora in redazione e attacca il turno fra poco. Ed è "tutto calmo”, dice lei, il giorno perfetto per soddisfare la curiosità sul dietro le quinte di un tg, un luogo che attira qualsiasi giornalista come una falena verso i lampioni (tanto avrei passato la giornata con la tv accesa su quel canale, come sempre). Capita invece che mentre stai viaggiando verso Saxa Rubra con lei, la pelle ti si accappona perché arriva una di quelle notizie che nessuno vorrebbe mai dare durante un notiziario. È appena crollato il ponte Morandi a Genova. E le tinte si offuscano come se infilassi all'improvviso degli occhiali sporchi di fango.

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Cristina guida concentrata, ha il pudore di scusarsi perché la giornata non sarà affatto tranquilla come promesso. Sarà drammatica, sarà una di quelle chiamate “all news”, quando tutto il palinsesto salta, disdici gli ospiti che dovevano parlare del benefici del sole alle ossa e l'obiettivo è uno solo: tenere informata la gente minuto per minuto. Perché avere sotto controllo l’aggiornamento è come essere lì, come se potessi dare una mano. Mitiga l’impotenza di fronte al destino mentre sei in apprensione e vuoi sapere se su quel ponte, a Genova, transitava un amico, un parente, anche solo un contatto simpatico di Facebook perché nessuno meritava di essere lì. Vedere i soccorsi che scavano ti ricorda, in un mare di pessimismo, che aiutare è un istinto degli esseri umani. E quei pochi che ne sono esenti necessitano di una terapia. La gente si sentiva molto più sola, prima dei tg.

Anche il cielo è depresso. Manca un giorno a Ferragosto eppure è grigio e coperto, l’aria è autunnale e l’asfalto degli stabilimenti Rai di Saxa Rubra è pieno di pozzanghere. Ci affrettiamo a parcheggiare perché in redazione si è già scatenato l’inferno, mi dice lei. Gli ascensori e i corridoi della Rai non sono più moderni da un pezzo. Cristina mi fa entrare nello studio, una grande stanza bianca senza finestre, su cui il logo di Rainews24 sovrasta tutto e tutti come un affresco in una cattedrale. Sembrerebbe tutto bello e scintillante se non fosse una giornata atroce. Al centro c’è una serie di scrivanie disposte a cerchio, una via l’altra. Sulle pareti sono appesi più televisori di quanti se ne possano vedere nel reparto elettrodomestici di un grande magazzino. Ognuno è sintonizzato su un canale di notizie straniero: Cnn, Bbc, ARD Tagesschau, BMF Tv, Sky. C’è un trittico riservato ai tre canali Rai. Sulle scrivanie ci sono computer con due monitor, uno dei due trasmette Rainews. Non c’è una presa di corrente libera.

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C’è agitazione. Da un grosso citofono che tutti chiamano “drake” (ma in gergo tecnico è l’interfono di coordinamento) arriva di tanto in tanto una voce dalla regia che chiede aggiornamenti sul materiale pronto. Quando guardi da casa questi canali di all news sembra quasi che i servizi si generino spontaneamente. Invece dietro c’è un esercito che li sforna. Nessuno sorride. Un bestseller di qualche anno fa, Stiff, di Mary Roach, spiegava come gli specializzandi in anatomia patologica sono spinti dagli insegnati a provare distacco verso le salme. Anche scherzandoci durante le autopsie, facendo uso della goliardia. Qui non è così. Un giornalista non può permettersi il lusso di diventare insensibile alla materia che maneggia. Se gli accade diventa disumano, perde talento e non sarà più in grado di capire il mondo in cui vivono i destinatari delle notizie. Il giornalista del tg deve cercare di non essere sopraffatto dall’emozione, di non rimanere paralizzato davanti alle immagini in cui si deve immergere, a volte così forti da non poterle trasmettere. Cristina si piazza al suo computer e da quel momento, fino a mezzanotte e mezza, ci scambieremo al massimo dieci parole. C’è troppo da fare. “Bella giornatina”, commenta amareggiato un redattore senza staccare gli occhi dal computer.

Ogni mezz’ora va in onda un tg e ogni tg deve avere una copertina, il filmato di apertura che sintetizza il fatto più importante della giornata. Molte le prepara Cristina e vedo come fa, come pesca gli spezzoni dal server comune e li monta. L’ideale sarebbe cambiare copertina a ogni edizione arricchendola di filmati nuovi. Oggi, purtroppo, di filmati se ne rimediano tanti. Si trovano sul web, ma vengono anche offerti da gente comune che li invia per dare il suo contributo. La redazione si muove indipendente da ogni influenza esterna, niente fantapolitica di chiamate dall'alto che chiedono di manipolare l'informazione. Sembra di assistere a un concerto diretto di volta in volta, al cambio dei turni, dal più alto in gerarchia. Vedo alternarsi al vicedirettrice Enrica Toninelli, il vicedirettore Giancarlo Giojelli e il caporedattore, Marco Dedola.

Intanto si è attivata la rete dei corrispondenti e degli inviati. Qualcuno parte così, senza preavviso e senza battere ciglio, e da Roma schizza verso Genova. Mi spiegano cos’è lo “zainetto”: un equipaggiamento leggero per fare riprese veloci sul posto quando non c’è tempo di organizzare l’operatore. Uno di loro riesce a riprendere il Presidente del Consiglio a una distanza così ravvicinata da dare l’impressione che faccia parte della scorta. Sento che lo chiamano Picasso, tutti lo lodano. Ma in generale, nessuno critica l'altro. Sono passate delle ore e nessuno si è schiodato dalla sedia. A un certo punto un redattore scappa via: “se no la faccio qui”, dice. Se non fosse una giornata così nera mi farei dei selfie. Ci sono le giornaliste che conducono anche il tg e che fino a quel momento avevo sempre visto solo in video. Quel turno così difficile ed eccezionale oggi tocca a Valentina Dello Russo e Chiara Paduano. Nello stordimento di cui soffro tra gli ingranaggi di quella macchina perfettamente oliata riesco a notare che dal vivo le due giornaliste sembrano molto più giovani e che non portano le pantofole, come vuole la leggenda sui mezzibusti. Sono composte, vestite di tutto punto dalla testa ai piedi e parlano con una dizione perfetta. Le voci umane prive di inflessioni dialettali, dal vivo, ti fanno sentire dentro un film. Accolgono gli ospiti in studio, gli esperti che cercano di capire le cause del crollo. Uno di loro, uscendo, mi stringe la mano credendo che sia una della redazione.

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A un certo punto si perde la nozione del tempo. Invece è ora di cena. Cristina mi annuncia, scusandosi, che non potrà invitarmi a mangiare alla mensa Rai, e sinceramente non era il motivo per cui mi trovo lì. Arrivano i cestini pasto perché non è possibile mettere in pausa il disastro. Ci sono dentro panini, insalate, frutta un po’ datata, acqua minerale. Chi vuole qualcosa di diverso da bere fa un salto al distributore al piano di sopra dove i prezzi sono popolari, 35 cent per una bottiglietta di Acqua di Nepi. Circa il doppio per una Coca Cola. “Poi arriva l’ora del cioccolato”, mi spiega Cristina elencando i rituali di redazione per ritrovare le energie. Quasi tutti mangiano alla scrivania, lo sguardo fisso sugli schermi.

Cambia il turno delle giornaliste in diretta e arriva Josephine Alessio, che in giornate più felici di quella chiamano Lady News e di solito conduce i tg all'alba, ma oggi fa un'eccezione. In video la facevo una superba, altera, rigida come un manico di scopa. Invece è l'esatto opposto. Cristina mi dice che ha fatto pure tanti programmi sul sociale. Mentre Josephine Alessio fa la prima diretta del suo turno, guardo ipnotizzata un’altra collega che ascolta con le cuffie i servizi del tg e si esercita con il linguaggio dei segni, perché fra poco tocca a lei con l’edizione per non udenti.

Il tempo scorre, il ritmo non è rallentato. Mentre i vigili del fuoco scavano e la gente fuori da quella stanza prega, cala il silenzio in redazione ogni volta che le agenzie aggiornano il numero delle vittime. "Siamo sicuri?", si verifica prima di dare la notizia. È straziante ma tutti restano lucidi. Sfoglio Facebook e leggo post di amici su un terremoto. In Molise. È una giornata maledetta che non vuole proprio finire. Nessuno trova conferma sui siti di monitoraggio sismico, tranne uno tedesco che parla genericamente di “southern Italy” e che mostro alla redazione. Cristina mi porta al piano di sopra per mostrare l’iPad e far valutare in regia l’attendibilità. Non passa nulla se non è stato verificato cento volte. In primavera era arrivata l’agenzia della morte di un personaggio ecclesiastico molto importante ma hanno tenuto duro, fino alla smentita. Di sopra scopro un altro mondo nascosto, buio, costellato di decine di monitor, altrettanto frenetico, pieno di tecnici e operatori con la stanchezza ormai stampata in faccia. La notizia del terremoto passa. Intanto è arrivato anche il direttore Antonio Di Bella. È rientrato dalle ferie di corsa. È tutto troppo serio e solenne per non ricompattare la redazione.

È passata la mezzanotte e mezza. Cristina ha finito il suo turno da un po’ ma non riesce a staccarsi dalla sedia. Questo lavoro ti invischia, ti irretisce, diventa uno stile di vita. Non lasci cadere la penna quando suona la campanella. Sai che tornerai a casa e accenderai la tv per continuare a vedere cosa succede nel tuo tg, mentre tu non sei là. È quello che facciamo noi quando rientriamo, e decido di restare a dormire a casa sua. Mi addormenterò alle due e mezza, mi sembra di avere addosso la polvere delle macerie, e mi vergogno di sentirmi stanca mentre c'è chi le macerie le sta spalando ancora. So che questa è una giornata che non dimenticherò mai. Perché è la giornata del crollo del ponte a Genova. E perché il mio immaginario ha dovuto fare spazio. Ha gettato via tutte le idee vaghe, da film, dei tg popolati da robot disumani.