C’è una lingua di terra che collega la laguna di Venezia alla baia di Tokyo, c’è una striscia di atmosfera dove l’aria smette di essere rarefatta e si fa densa e polverosa, c’è un varco aperto che unisce, senza decollo o attracco alcuno, il canale di San Marco all’oceano Pacifico. È una via che in giapponese si percorre pronunciando le parole Akasen chitai, ma che in italiano si attraversa (in)seguendo il nome di La strada della vergogna. Un itinerario che dura 87 gelidi minuti, pianificato per noi dal maestro Kenji Mizoguchi, il regista giapponese del dramma corale. Un viaggio organizzato nel 1956 ma che intraprendiamo ancora oggi e che, soprattutto, celebriamo ancora oggi. Presentato in prima mondiale a #VeneziaClassici in occasione del Festival del Cinema di Venezia, la versione restaurata della pellicola La strada della vergogna è (già) il film più chiassoso di Venezia 2018. Oltre le querelle sull’interpretazione opinabile di Lady Gaga in A star is born, oltre le dispute politico-cinematografiche sulla strumentalizzazione o meno del Caso Cucchi by Netflix Sulla mia pelle (e conseguente interpretazione di Alessandro Borghi). Il lungometraggio, che ha esordito in sala esattamente 62 anni fa, immortala con uno sguardo così profondo e attuale la vita (e i sogni angusti) di alcune prostitute in un bordello di Tokyo.

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“Quando c’erano gli americani, ci dissero che avrebbero protetto le donne innocenti! Facemmo dei prestiti per costruire questa casa…”, la voce della maîtresse del bordello sulla strada della vergogna echeggia tra le mura di quella stessa casa che il governo nipponico vorrebbe chiudere. Girato e uscito al cinema quando al Parlamento giapponese era in discussione la legge sull'abolizione delle case di tolleranza, il film (ultimo) di Mizoguchi oggi a Venezia 2018 ci restituisce la storia - a tratti molto cruda a tratti impalpabile - delle prostitute di Yoshiwara, il quartiere delle "luci rosse” di Tokyo. Presentato in concorso alla fu 21esima Mostra del Cinema e guadagnatosi la candidatura al Leone d’Argento, il film La strada della vergogna ritorna tra le stanze del Palazzo del Cinema, ormeggiato ancora una volta tra i titoli del festival cinematografico più antico del mondo.

La coralità converge sotto il tetto del bordello, come le speranze di cambiamento delle donne che lo abitano e lo tengono letteralmente in piedi. La coralità dipinta, frame dopo frame dal regista giapponese, si scioglie quando si attraversa l’uscio delle vite di ogni singola protagonista. C’è Hanae con un figlio appena nato e un marito disoccupato, Mikki con un padre più peccatore di lei che millanta un’onorabilità famigliare da rispettare, Yumako paga gli studi al figlio che l’ha ripudiata e la vorrebbe morta, Yasumi deruba uno spasimante e inizia a commerciare tessuti. Vite che vengono sconvolte quando la Dieta di Stato vara un disegno di legge per bandire la prostituzione e l'abolizione delle case di appuntamenti. Vite che non riescono a vedersi da nessun'altra parte, in nessun altro posto, tanto da preferire di rimanere ancorate agli obblighi di un “tenutario” che gioca a fare il burattinaio di esseri umani, complice con le forze dell’ordine. Vite che temono di cambiare ed essere cambiate, e che preferiscono guardare ad un “padrone” con gli occhi di un “amico” o “andare al cinema per distrarsi”.