Con Jasmine Trinca è difficile parlare, perché di fatto sa spiazzarti, tanto è la sua voglia di raccontare, quanto invece è la sua profondità di donna. La si avverte da quando ha cominciato, giovanissima, a 18 anni, debuttando ne La stanza del figlio di Nanni Moretti, per poi crescere insieme ai suoi personaggi femminili, Miele, Un giorno devi andare, Fortunata, tutti diversi, determinati, brillanti, forti, consapevoli, istintivi.

A breve torna in uno dei film – simbolo di Mostra del Cinema di Venezia 2018, l’intenso Sulla mia pelle di Alessio Cremonini (in sala dal 12 settembre e contemporaneamente su Netflix), protagonista assoluto uno straordinario Alessandro Borghi, incentrato sugli ultimi giorni di Stefano Cucchi, morto quasi 10 anni fa.

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Jasmine Trinca e Alessandro Borghi al Festival del Cinema di Venezia.

Un caso che ancora non conoscere dei reali colpevoli, in cui Jasmine Trinca interpreta la sorella Ilaria, coraggiosa nella sua battaglia per la verità. E ancora una volta Jasmine sa fare la differenza.

Non è una pellicola come le altre, difatti dopo la prima proiezione si è avvertita una strana energia

Verissimo. Credo che oltre il vero valore di questo lavoro, il pensiero diffuso è che il pubblico abbia messo una parte della sua partecipazione, anche politica, non parlo di questo mondo "basso" in cui siamo immersi ma da cittadini veri, c’è una riappropriazione della realtà. Non abbiamo raccontato una storia e basta, quando la mostri semmai permetti agli altri di prenderne parte.

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Come ci si rapporta con un personaggio vivente, di cui devi restituire certe emozioni?

Attraverso il senso della misura. Io non mi sono mai avvicinata con l'idea di cavalcare un ruolo, non era possibile, al di là dell’attrice, trovo invece interessante la trasformazione. Qui dovevo confrontarmi con l'Ilaria privata, a cui ho avuto poco accesso, a parte leggere il suo libro e la parte pubblica, ma per quanto riguarda l’amore famigliare, il rapporto controverso nei confronti del fratello, lì ci sono andata con molta discrezione e una piccola “licenza” di scambio. Stando indietro, è stata la mia forma di testimonianza.

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Quando ti accorgi di star prendendo la decisione giusta?

In generale la cosa complicata è quello di affrontare ruoli che non hanno nulla da dire, nel senso che sono personaggi vuoti e chiaramente questo era tutto il contrario. Per me il discorso principale è riconoscere nelle storie, magari non mie, qualcosa da poter poi far vedere a mia figlia, o che mi piacerebbe vedesse mia nonna che viene da altra epoca. Il riconoscimento in Italia è ancora molto difficile.

In che senso?

Per molti anni sono stata inquadrata come una brava ragazza, borghese, che poteva essere la fidanzatina perfetta.. fino ad un certo momento quelli erano i ruoli proposti, pensavano fosse giusto. Ma un attore però si può formare solo all’impressione che da, devo ringraziare registi quali Valeria Golino o Sergio Castellitto, capaci di disvelarmi.

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Lei è una donna che di fatto però si è sempre messa in discussione.

Mi imbarazza talvolta parlare di me, quindi aiuta sentire vicini alcuni lavori, penso a Fortunata, la storia di una madre coraggio, una donna semplice che porta avanti la sua vita, nonostante ciò che le accade. È l'archetipo della popolana piena di rabbia, priva di mezzi, eppure in grado di trovare la forza in se e nel riscattarsi. La ricerca è in questa direzione, cerco la complessità. Non ho mai avuto la smania di emergere, le esperienze sono legate alle persone, credo sia molto sensato fare delle scelte, è la lezione ricevuta da mia madre, lei aveva poco, ma la sapeva lungo, non era certo il denaro che doveva guidare la mia vita.

Come si riesce allora a costruire una propria identità artistica?

Ciascuno di noi si nutre in maniera differente, insieme a mia figlia Elsa godo nel vedere film come I Goonies o Ritorno al futuro, così altro, leggendo fumetti, romanzi, ma ciò che conta è non perdere mai lo sguardo sulle cose e gli altri, senza fermarsi a guardarsi troppo allo specchio.

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