Non è problema da poco: femministe contro transgender sembra una voce in tabellone durante un torneo di calcetto estivo in un mondo idealmente perfetto e sereno. Invece è il titolo di un fenomeno fatto di focolai sparsi che se qualcuno si prenderà la briga di unire con un pennarello rosso, come i puntini della Settimana Enigmistica, svelerà la forma di un campo di battaglia. Una guerra neanche troppo fredda che ha come detonatore iniziale la Gpa, la gestazione per altri. La sintesi: da una parte ci sono alcune correnti di femministe che vedono l’utero in affitto come l’ennesima forma di sfruttamento prostituente del corpo femminile, soprattutto quelle radicali come la cosiddetta Terf (Trans-Exclusionary Radical Feminist). Dall’altra ci sono le donne non cis gender, cioè coloro che hanno ottenuto il sesso femminile tramite un faticoso adeguamento dell’identità fatto di psicoanalisi, prescrizioni di ormoni e un’operazione chirurgica, e che ora – così come le coppie gay maschili – desiderano avere dei figli. Una questione non facilmente risolvibile, anche per colpa delle “fattorie di gestazione” che sono sorte nei paesi con un alto tasso di povertà, in cui donne indigenti vengono fecondate a pagamento per terzi, in una situazione diversa da quella di giovani europee o americane che decidono di portare una gravidanza altrui per pagare - ad esempio - il college dei propri figli.

Ma la nuova occasione di scontro fra le due fazioni è cresciuta piano piano nei paesi anglosassoni dove le donne transgender sono più avanti nell'abbattimento del muro della discriminazione e del pregiudizio, ottenendo posti di lavoro che non siano solo e banalmente nell’ambito dello spettacolo e della cosmetica. O nella prostituzione. La contestazione che arriva dalle femministe inglesi, e che ha richiesto un delicato lavoro di pinze per non incorrere immediatamente nell’accusa di omofobia, non è poi così inaspettata. Ciò di cui si lamentano, detto brutalmente, è la tendenza di molte transgender di esercitare sulle colleghe, nei posti di lavoro, le stesse prevaricazioni che già subiscono dai colleghi maschi, contro le quali la battaglia è aperta da sempre. È come se, cresciute dalla famiglia con l’impostazione mascolina a e essere forti, vincenti, a passare sopra tutto e tutti come uno schiacciasassi, le donne transgender si trovino a rispolverare e usare quei mezzi perché quello è stato il loro imprinting infantile che niente ha potuto cancellare, né la scoperta di essere nate nel corpo sbagliato, né le massicce dosi di ormoni. Se n’è accorto anche il The Economist, che durante l’estate non ha potuto ignorare lo scontro e ha pubblicato un articolo dell’attivista trans Kristina Harrison, funzionaria del National Healt Service, in cui ha dichiarato, cercando di mettersi nei panni delle altre: “Le donne che si oppongono alle istanze delle trans spesso ragionano in base alla loro esperienza della misoginia, non per fanatismo”. Ma in Italia come viene trattata la questione?

“La bomba è scoppiata negli Stati Uniti e le schegge sono inevitabilmente ricadute in Europa”, spiega Monica Romano, scrittrice ed esponente di lungo corso del movimento LGBT italiano, autrice fra gli altri di Diurna. La transessualità come oggetto di discriminazione e Gender (R)Evolution (Mursia). “In Italia, a dire il vero, è più preoccupante la spaccatura interna nei movimenti Lgbt perché Arcilesbica - già in rotta con il resto del movimento per la GPA - ha innescato un attacco alle trans. Vale la pena ricordare che la frangia femminista Terf non è rappresentativa di tutto il femminismo, costituisce una minoranza e questo va specificato per non compromettere quella che sta diventando un’alleanza sempre più forte. Le Terf dicono che donne si nasce, non si diventa. Questo ci marginalizza, sminuisce un diritto - acquisito in Italia dalle donne transgender grazie a una legge del 1982 - di essere considerate donne al pari di tutte le altre dopo un percorso che implica grande dolore, sforzi e difficoltà per l’adeguamento della nostra identità sociale”. Con il resto delle femministe, che sono la stragrande maggioranza, il rapporto è invece sano: "Io mi definisco femminista e dialogo con la Libreria delle Donne di Milano, istituzione storica del femminismo", dice Monica Romano. Tuttavia, entrando nel merito della polemica su cui ha punta il dito il Guardian, riconosce la validità di alcune critiche espresse dalle femministe rispetto al movimento LGBT. “La misoginia di molti gay, ad esempio, è innegabile. Ed è vero che l’impostazione familiare di una donna transgender è stata maschile, e che ne conservano alcune caratteristiche come, ad esempio, una maggiore assertività. Ma siamo così sicure che l'assertività sia una caratteristica necessariamente maschile? O è la cultura in cui viviamo che ci induce a pensarlo? Quando ho iniziato a vivere come donna, a 19 anni, sono diventata consapevole delle discriminazioni e dei soprusi che le donne subiscono, subendole in prima persona nel lavoro: io stessa fatico a rompere il "soffitto di cristallo" nel mio lavoro, ad avere i giusti riconoscimenti come laureata e professionista, perché sono una donna. La verità sta nel mezzo. Io ho sempre lavorato per costruire un ponte fra le donne e le donne transgender. Noi donne trans subiamo violenza e discriminazione. Le donne, tutte, subiscono violenza e discriminazione. Chi è il responsabile comune dei nostri problemi? Il patriarcato. È il patriarcato l’unico nemico contro cui donne e donne trans dovrebbero muoversi compatte. Far scoppiare guerre interne è un errore e una perdita di tempo da entrambe le parti. Un allontanamento da un obiettivo comune, da cui ne trae vantaggio solamente il patriarcato”.