Gli anni 80 sono ormai finiti (e sono stati noiosi come i loro miti?) ma le tendenze anni 80 tornano ciclicamente a rinfocolare i nostri ricordi. E chi li ha vissuti, a volte, quei ricordi li vorrebbe solo accantonare, mentre c’è chi sceglie di liberare le ossa di scheletri che sbattono negli armadi gonfi di naftalina. Chi ha avuto una posizione di potere negli anni 80, ha visto cose che noi umani eccetera (d’altronde Blade Runner uscì proprio nei magic 80’s): e ha deciso, quasi quarant’anni dopo, di raccontarlo. Come Dorothy Carvello. Un nome da sitcom anni 80, appunto, per colei che è stata la prima donna a diventare executive di un'etichetta discografica, la Atlantic Records, vale a dire la casa discografica dei Led Zeppelin (tanto per fare un nome) e delle band rock anni 80 più famose dell’epoca, tipo gli Skid Row in pantaloni di pelle e voci falsettate. Inusuale, in un’industria maschilista e totalmente votata all’uomo di potere che proprio in quell’epoca ha avuto il suo massimo, sinistro “splendore”. Poi la Columbia, la RCA, la Epic. Tutti nomi che agli appassionati di musica suonano come un catalogo delle meraviglie formato CD (l’epoca era quella). E proprio di questo ha voluto scrivere Dorothy Carvello nel libro memoir Anything for a Hit: An A&R Woman’s Story of Surviving the Music Industry, pubblicato agli inizi di settembre 2018, dove ricostruisce la sua carriera e le storie di molestie subite nel corso dei suoi anni lavorativi.

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Dorothy Carvello nasce e cresce in una famiglia middle class di Brooklyn, New York. È una bimba intelligente e tosta, tanto che i boyz in the hood (come li definisce lei stessa in un’intervento su Variety) addirittura la chiamano Bossy Bebe. A lei non dispiace, anche se dire ad una fanciulla “bossy” significa, nell’immaginario maschile, insultarla. Perché le bambine non devono capeggiare, non devono spiccare, non possono nemmeno pretendere di comandare. Dorothy ha il nome dolce della protagonista de Il Mago di Oz, ma una volontà di purissimo acciaio. “Avevo una visione chiarissima di come dovessero andare le cose”. Per lei non c’è distinzione, le donne non sono inferiori agli uomini. E possono comandare eccome.

L’anno di svolta per Dorothy Carvello è il 1987. In piena fase sintetizzatori e riscoperta del glam rock di lontana ispirazione David Bowie, Ahmet Ertegun della Atlantic Records assume la giovane di Brooklyn come sua segretaria. Dorothy lavora fianco a fianco con il capo per eccellenza della casa discografica che annovera(va) Aretha Franklin, Frank Zappa, Mick Jagger tra i suoi artisti. Minimo 12 ore al giorno tra telefoni, posta da smistare (le mail erano ancora nell’iperuranio tecnologico), fax da inviare, caffè da ritirare e tutte le mansioni della perfetta segretaria. “Ero la numero 2 del suo ufficio e questo lavoro mi dava una visione da prima fila di come si comportassero le alte sfere all’interno di un’azienda”. Il vecchio, affascinante motto sex&drugs&rock’n’roll non appartiene solo agli artisti, anzi: a confronto di certi uomini d’azienda durante le convention delle case discografiche, tra cocaina a valanga, escort pagate fior di quattrini e ogni tipo di alcolico da consumare (a spese dell’azienda, chiaro), anche Keith Richards sembrerebbe un seminarista.

Dorothy assiste a qualunque tipo di battutaccia all’indirizzo delle colleghe e lavoratrici dell’industria musicale. Anche racconti sconci e inquietanti degli abusi di potere che gli uomini riescono a perpetrare senza mai venire incriminati, ben protetti dalla stessa accolita testosteronica, ai danni di sottoposte e dipendenti. Dorothy Carvello all'epoca ha 25 anni, il suo capo 64 ed è una volpe ben nota nell’ambiente. Uno che non si fa mettere i piedi in testa, Ahmet Ertegun. E Dorothy se ne accorge subito a sue spese: una volta le rompe un braccio in un impeto di rabbia, durante un live stonatissimo degli Skid Row. E nel 1988, durante un viaggio ad Allentown sempre al seguito della band di Sebastian Bach in compagnia di due vicepresidenti dell’etichetta, Dorothy Carvello subisce molestie proprio dal capo. “Eravamo al bar e mi ha messo le mani tra le gambe, ha arraffato le mie mutandine e ha cercato di togliermele. Poi mi ha messo le mani sotto la maglietta, velocemente. Ho dovuto reagire. Nel frattempo il vicepresidente se la rideva”. Dorothy Carvello riesce a liberarsi, si rifugia nel backstage e poi si sfoga urlando contro il vicepresidente. Il lunedì successivo, tornata al lavoro, le viene detto che è libera di andarsene. E se ne va, senza rimpianti. “Ho pensato che fosse il prezzo da pagare per il mio sogno di lavorare nell’industria musicale”.

Dorothy inizia un giro lungo di etichette discografiche nella speranza di trovare ambienti di lavoro meno tossici, ma cambia poco. Ogni volta nota le stesse modalità, gli stessi sistemi di costrizione, lo stesso modo di sminuire le donne che lavorano. Sono femmine, oggetti da guardare e da utilizzare a piacimento: i soprannomi sono “b*tch”, “c*nt”, rompiscatole. Perché se una donna è ambiziosa e ci tiene al suo lavoro in modo pulito, di conseguenza è un chiodo di titanio nel fianco. La determinatissima ragazza di Brooklyn cerca di fare la sua parte per smontare l’inquinamento del sistema, ma a subirne le conseguenze è lei. “Ogni volta che parlavo di molestie sessuali al presidente o al capo di un’etichetta, venivo licenziata. Non mi hanno mai offerto un accordo o una buonuscita. In un caso il capo dell’azienda mi ha anche costretto a chiedere scusa a chi mi aveva molestata”. E il peggio deve ancora arrivare: il mobbing silenzioso via passaparola.

La calunnia è un venticello che si gonfia come uno scirocco, anticipando Dorothy Carvello che fatica a trovare lavoro perché gli uomini nelle etichette fanno cartello contro di lei. “Non erano persone calde e affettuose. Erano persone che facevano paura. Non avevano pietà per nessuno” ha raccontato a Billboard USA. La Bossy Bebe non può essere assunta: è una troublemaker. “In ogni etichetta in cui ho lavorato, ho visto l’ipocrisia di genere. Ho dovuto accettare salari minori, lavori meno qualificati, pochi premi di produzione. Quello che facevo e dicevo veniva sempre all’ultimo posto della lista”. Lei viene sminuita e licenziata in continuazione, gli uomini mantengono il loro posto e spesso e volentieri sono premiati anche quando fanno errori. Certo, non sono tutti uguali: in alcuni posti di lavoro, Dorothy Carvello riesce a trovare persone sensibili che comprendono le sue capacità e non si fanno circuire da ciò che si dice di lei.

Tutto quello che vive, Dorothy Carvello lo riporta nei suoi diari. Dal 1987 al 1996 tiene traccia scritta di tutto quello che le accade, un filo che si dipana personalmente nel groviglio dell’industria musicale. Spompata da 10 anni di lotte intestine, Dorothy Carvello decide di provare a mettere quei pensieri in forma di libro. Ahmet Ertegun le dice che nessuno sarà interessato a leggerlo, ma la sprona a scriverlo: ci vogliono quasi 20 anni per compilarlo tutto. Nel 2006 l’ex boss della Atlantic muore dopo una caduta accidentale ad un concerto dei Rolling Stones, cui stava assistendo nel retropalco. Nonostante quello che ha passato con lui, la Bossy Bebe continua a ricordarlo con una certa stima per ciò che le ha insegnato professionalmente (sull’umanità sorvola). E mano a mano che il pensiero attorno alle molestie cambia, Dorothy Carvello su Twitter (ha un profilo dimesso ma è molto battagliera, si descrive the good witch of Brooklyn) inizia a partecipare ai dibattiti culturali apportando le sue esperienze.

Dorothy Carvello oggi ha 56 anni, continua il suo lavoro nella musica con un’etichetta indipendente, e del passato ha davvero voglia di parlare. Perché si è sempre battuta contro il sessismo nell’industria musicale e il movimento #MeToo ha dato a molte donne la forza e la sicurezza di parlare. “Gli uomini controllano il music business. Ora che le donne iniziano a parlare abbiamo bisogno degli uomini al nostro fianco, che combattano con noi. Gli uomini non sono il nemico” ha commentato Dorothy. I vasi di Pandora scoperchiati dalle musiciste, dalle sound engineer, dalle donne che lavorano nel mondo della musica sono un loop: abusi psicologici, violenze, molestie verbali e fisiche solo perché sono donne. Un pattern inquietante che continua a dominare il potere nelle etichette discografiche in tutto il mondo, ma che piano piano viene smontato anche grazie all’apertura promossa da donne come Dorothy Carvello. Che conoscono il valore dell’alleanza senza distinzione di genere, per rendere il mondo del lavoro migliore.