Ci vuole un'ora di treno da Manhattan fino al Brooklyn profondo, per capire che cosa significa sul serio la parola “diversità”. Appuntamento a Nostrand Avenue, quartiere di East Flatbush, in un ristorante di nome Café Omar, che sembra l’inizio di una storia avventurosa e clandestina. E un po’ lo è. Café Omar è la sede operativa del Partito democratico di New York, la frangia ribelle per così dire. Al suo ingresso incontro il rabbino del quartiere che abbraccia un tizio nero con le trecce. A regolare le entrate c’è un ex homeless settantenne di origini haitiane, dentro un paio di ragazzotti bianchi vestiti come broker di Wall Street, due ragazze che si sbaciucchiano tra loro su un divanetto e un bel po’ di giovani di ogni razza che discutono animatamente. L’euforia si confonde con l’odore di pollo fritto, una scritta alla parete rappresenta il verbo: Change can’t wait. Il cambio non può aspettare. Il Café Omar è l’epicentro di qualcosa di enorme che forse accade davvero. I segnali potenti potrebbero giungere in superficie già con le elezioni del Midterm, il 6 novembre. Da luoghi come Café Omar si sono lanciate in politica le stelle nascenti della sinistra americana: Alexandria Ocasio-Cortez (nella foto sopra, circondata dai supporter al Queens Pride Parade dello scorso giugno), Jessica Ramos, Julia Salazar, Letitia James, prima nera di sempre che diventa Procuratore distrettuale, Ayanna Pressley e decine di donne che hanno preso l’America di soprassalto alle primarie di settembre. La vecchia e solida classe dirigente a Washington comincia ad avere qualche prurito.

Jessica Ramos, who is challenging Democratic State Senator Jose Peralta in the September primary, at an abortion rights rally in New York.pinterest
MARIAN CARRASQUERO, New York Times/Contrasto
Sopra, Jessica Ramos, una delle attiviste del partito democratico post Obama che hanno preso l’America di soprassalto alle primarie di settembre, e che alle elezioni di novembre potrebbero dare filo da torcere a molte vecchie glorie della politica.

Sui “luoghi come Café Omar” vale la pena spendere due parole. Il quartiere di East Flatbush fino a pochi anni fa era chiamato affettuosamente The Front Page. Dove abiti? In prima pagina. Esatto: un omicidio al giorno attorno a Nostrand Avenue garantiva un titolo su tutte le cover dei quotidiani. Droga, disoccupazione, gang, armi in libertà. E ora le riunioni dei democratici rivoltosi. Perché se il cambio è scritto nei tarocchi, avrà come fondale proprio le periferie delle grandi metropoli e come motore la classe lavoratrice femminile americana. Se Trump per vincere ha scatenato le aree rurali a colpi di populismo, chi lo vuole affossare punta tutto sulle vittime delle grandi speculazioni edilizie, delle politiche occupazionali d’azzardo, della stretta sull’immigrazione che aggredisce in realtà milioni di “americani” integrati e sfruttati nei lavori meno nobili.

Insomma, “diversità”. Questa rivoluzione in fasce ha il volto fresco e il sorriso in canna di Alexandria Ocasio-Cortez, la ex barista del Bronx che nel giugno scorso ha sconvolto le regole stracciando la concorrenza di Joe Crowley, congressista vicino all’élite democratica con ben 10 mandati nel curriculum. Alexandria Ocasio-Cortez lo ha rottamato che ancora non aveva 29 anni. Si definisce “democratica socialista”. E forse per la prima volta in America la parola “socialista” non scatena un attacco di panico.

Quando Alexandria raggiunge Brooklyn è attesa come una madonna in processione. Lei professa un basso profilo degno delle sue origini, evita trionfalismi: «Si è aperta una finestra storica per milioni di persone che non sono mai state rappresentate neppure quando è apparso Obama. Gente che non ha mai visto una cabina elettorale. Ma non è una finestra che rimarrà aperta per sempre. Dobbiamo saperla sfruttare. Il lavoro duro comincia soltanto adesso». La sfida ricade sulle spalle di decine di donne. Le primarie hanno consacrato un numero senza precedenti di attiviste che da anni combattono a caro prezzo per difendere e imporre politiche che riguardano le fasce più deboli.

Prendiamo Julia Salazar, anni 27, messa di fronte a un colosso dell’establishment democratico, Martin Dilan, 68 anni di cui gli ultimi 17 spesi al Congresso dello Stato di New York. È molto amico delle lobby edilizie che hanno trasformato interi quartieri popolari in paradisi per milionari. Julia si è presentata sul ring certa di finire k.o. E allora, perso per perso, ha affrontato il match con regole sue: «Sono un’immigrata, mi sono fatta un mazzo così per andare all’università e voglio case popolari accessibili alle fasce meno abbienti, sanità garantita e scuole pubbliche sicure». Problemi reali, roba che interessa la gente. E poco importa se in realtà è nata a Miami e la laurea non l’ha mai presa. La gente crede a Julia. Che per ricambiare si è portata nella squadra elettorale una sex worker: «Siamo stufe dei raid della polizia nei centri di massaggi. Sarebbe meglio regolare il mercato e dare dignità a migliaia di donne sfruttate”». E così Martin Dilan è stato fatto a pezzi. Anche dal voto delle prostitute illegali. Non era mai accaduto.

QUALCUNO DI CUI FIDARSI

Pianifica un futuro in politica Patrizia Mazzuocolo, italiana di 47 anni. La incontro mentre fa volantinaggio di fronte a una fermata della metropolitana. Sta terminando un documentario su Bernie Sanders, il candidato democratico che alle elezioni 2016 fu oscurato dall’establishment per dare via libera a Hillary Clinton. Patrizia conosce bene la macchina del socialismo democratico: «Bernie ha avviato il processo. Tutti sanno che se ci fosse stato lui contro Trump sarebbe andata diversamente. Grazie a lui assistiamo a questo risveglio e i democratici più conservatori devono tenerne conto. Alla gente della strada non importa se la Salazar ha esagerato un po’ sul curriculum, quello che conta è che vede in lei come nella Ocasio qualcuno di cui fidarsi, che non ha paura di nulla e che fino all’altro giorno ti stava gomito a gomito mentre facevi la fila per l’autobus». Julia Salazar vive in un appartamento in affitto condiviso con tre ragazze a Bushwick, zona popolare di Brooklyn. Dilan in una casa da tre milioni di dollari. Chiaro il concetto?

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Nera, bisessuale e disoccupata, Kerri Harris (sopra, al centro, con la madre e i due figli), da quando ha deciso di candidarsi per le elezioni di Midterm è diventata l’icona di milioni di donne americane.

Uno dei casi più sensazionali è quello di Kerri Evelyn Harris del Delaware. Nera, bisessuale dichiarata, ex membro dell’Aviazione al momento disoccupata e candidata al Senato. Una combinazione di fattori che sconsiglierebbe di concorrere persino per il ruolo di amministratore di condominio. Invece. Quando incontro Kerri è stupita due volte. La prima perché la sua sfida in Delaware l’ha persa e non si aspettava che qualcuno volesse parlarle. La seconda perché nonostante la sconfitta è diventata un’icona per milioni di donne in America. La Harris ha idee molto chiare e non si fa illusioni: «Mi contatta qualcuno tutti i giorni. Vogliono che parli della mia esperienza. Ridare speranza alle comunità dimenticate è la chiave per rovesciare l’attuale classe politica, ma servirà tempo. Sono la prima a essere sorpresa da questo successo, ma sapere che le tue idee, e non la tua sessualità, hanno presa sulle persone è di grande soddisfazione. Certo, ora devo pur sempre trovare un lavoro, ma è da quando sono ragazzina che ho voglia di lottare per una società più giusta. E quando sei come me, lottare è la quotidianità. Non ti spaventa più nulla». Poi fa una precisazione, non da poco: «Trump ha il merito di aver scatenato questa sollevazione dal basso. E sarebbe il caso di dare qualche colpa a Obama. Una volta diventato presidente la sinistra ha creduto che la missione fosse compiuta. Non è stato fatto più nulla per chi rimaneva staccato dalla realtà. E i repubblicani ne hanno approfittato. Penso che la situazione attuale non durerà, ma temo che dovremo aspettare il 2024. Il mio Delaware è il paradiso fiscale delle grandi corporazioni, evadono le tasse mentre la gente normale non ha accesso agli ospedali. Si deve cambiare, ma l’avversario darà filo da torcere».

Jessica Ramos, 33 anni, non ha neppure la patente (usa solo la metropolitana) ma ciò non le ha impedito di arrivare al Senato di New York facendo fuori una vecchia volpe locale, Jose Peralta. Riceve le persone comuni nel popolare settore di Jackson Heights, ascolta tutti, poi formula il suo messaggio basico: «Sono del Queens, pendolare, madre, figlia di immigrati e lavoro dieci ore al giorno. Guardatevi attorno: viviamo in un quartiere dove si parlano 160 lingue, con la seconda più grande comunità Lgbtiq di New York, poi sudamericani asiatici e una storica presenza afroamericana. Pensano davvero a Washington di cancellare la voce di tutte queste persone?». Il padre di Jessica aveva attraversato il confine messicano clandestinamente quasi 40 anni fa.

RICOMINCIARE DA NEW YORK

Ma sia chiaro un concetto: il nemico delle ragazze terribili della sinistra americana non è Trump. Il primo muro da abbattere è in casa propria. Quando Cynthia Nixon, l’attrice di Sex and the City, si è candidata contro il Governatore Andrew Cuomo, sapeva di affrontare un’impresa disperata. Si può vincere contro qualcuno che ha 25 milioni di dollari da buttare in campagna elettorale, mentre tu a malapena ne racimoli due? Non si può, ma si ha la possibilità di esporre proprio quella sperequazione. Lo schiaffo in faccia alle classi svantaggiate. Quelle che ora potrebbero riversarsi alle urne. Cuomo è un uomo dell’élite, un democratico che va a letto coi repubblicani. Esiste persino un comitato (Independent Democratic Conference) in cui senatori repubblicani e democratici decidono assieme le politiche per lo Stato. Una sorta di board trasversale che garantisce i diritti dei grandi affari. Quando dal Bronx è spuntata Alessandra Biaggi, la maggioranza dei newyorchesi neppure era a conoscenza di questa associazione. La ragazza è nipote di un celebre poliziotto, Mario, figlio di immigrati italiani poi diventato senatore. Lo hanno ferito 11 volte in servizio. Poi, da politico, si è fatto 30 giorni di galera per aver accettato in regalo una vacanza da 3 mila dollari. Per la sua gente resta un idolo.

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Courtesy Alessandra Biaggi
Tra le ragazze terribili della sinistra americana, Alessandra Biaggi (sopra), nipote di un poliziotto e volto angelico del Bronx, è una delle più popolari.

Alessandra, volto angelico e lingua allenata alle durezze e ai pericoli del quartiere che ha reso il nonno un’icona, si è presentata con lo spirito di chi non fa prigionieri. E ha fatto secco un altro monumento democratico, Jeff Klein, in sella dal 2004. Dal suo quartier generale di Pelham, Alessandra parla di estendere il diritto di voto, di avanzare politiche speciali sui cambi climatici, fottendosene di quel che dicono a Washington: «E poi c’è la questione di genere. Al Senato di New York solo il 22% dei membri sono donne, mentre siamo oltre il 50% della popolazione. La politica è rappresentazione, non una questione che risolvono quattro tizi seduti in una stanza isolata dal mondo. Servono nuovi diritti per i lavoratori, per i migranti, per i diversi. Ci arriveremo. Con calma, ma ci arriveremo». Andrew Cuomo il 6 novembre chiederà ai suoi il voto per conservare la poltrona di Governatore contro l’avversario repubblicano. Avrà bisogno anche del sostegno delle “ribelli”, e siccome è scaltro ha già annunciato misure che rompono decisamente col passato: tipo l’apertura alla legalizzazione della marijuana o l’estensione del diritto di voto anche a ex carcerati. Nel frattempo ha dichiarato defunta l’Independent Democratic Conference. E come dice la canzone, se ce la fai a New York, puoi farcela ovunque.