Se questo fosse un incontro di basket, sul manifesto ci sarebbe scritto Trump contro trans. Si tratta invece della narrazione di uno dei periodi storici più bipolari dell'umanità. Come se due telecamere, poste sullo stesso set, restituissero poi in montaggio immagini completamente diverse della stessa storia. Scenario uno: Nicole Maines (tenete a mente questo nome per il futuro) ha debuttato nella serie Supergirl della CW dove interpreta la prima supereroina transgender della TV, Nia Nal. Più che questo primato, a rendere interessante l'evento è il passato dell’attrice ventunenne che la interpreta. Quando era minorenne, infatti, Nicole Maines (nella foto in apertura con il fratello Jonas nel 2015) è stata al centro di un fatto di cronaca che ha tenuto banco sui giornali americani per lungo tempo, durante il quale lei veniva chiamata dai media Susan Doe per proteggerne l’identità. Nicole era la metà di una coppia di fratelli gemelli, entrambi maschi, ma a tre anni era già consapevole che la sua identità fisica non corrispondeva con quella psichica. Da bambina si faceva già chiamare Nicole in omaggio a un personaggio del canale tv per bambini Nickelodeon. Durante l’adolescenza da transgender, a scuola, Nicole usava abitualmente il bagno delle ragazze fino a quando la direzione dell’istituto ha ricevuto un reclamo da un gruppo di genitori che pretendevano che usasse il bagno dei maschi. La famiglia di Nicole ha deciso di fare causa e il processo Doe v. Regional School Unit 26 è durato fino a quando la corte ha stabilito che negare a un transgender l’accesso al bagno corrispondente alla propria identità è una violazione dei diritti civili. Poco tempo dopo, sul numero di gennaio 2017 il National Geographic pubblicava la foto di Avery Jackson, una bambina transgender di nove anni. Quel numero del famoso mensile parlava dei giovani e di come i ruoli di genere stiano cambiando in tutto il mondo. Era una semplice inchiesta, è diventata una pietra miliare. Si pensava.

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Scenario due. Il New York Times pubblica il 19 ottobre 2018 questa notizia: “L'amministrazione Trump sta considerando di definire in modo restrittivo il genere come condizione biologica immutabile, determinata dai genitali alla nascita: sarebbe la mossa più drastica messa in atto da uno sforzo governativo per ridurre il riconoscimento e la protezione delle persone transgender ai sensi della legge federale sui diritti civili”. Secondo il quotidiano più diffuso del mondo questa misura restrittiva, che nega il vero concetto di base dell’identità di un essere umano, andrebbe a colpire un milione di americani e il loro stile di vita. In teoria, anche quello di Shiloh Jolie Pitt o di Asia Kate Dillon, l’attrice di Orange Is The New Black e Billions, mettendoli in difficoltà in vari campi della vita, da quale dormitorio usare nelle situazioni di comunità (ad esempio nei college), fino all’assistenza sanitaria. Basta pensare che solo da pochi mesi Starbucks ha incluso nella copertura delle prestazioni sanitarie gli interventi estetici per adeguare il proprio aspetto all’identità sessuale, e questo potrebbe non essere più garantito. D’altra parte, poco dopo l’elezione Trump aveva anche manifestato un progetto di escludere dall’esercito la popolazione transex.

Come sta rispondendo l’America a questo bipolarismo? Nel weekend successivo all'annuncio è spuntato sui social l’hashtag #WontBeErased, non ci cancellerete. Secondo il New York Times, è come se l'amministrazione Trump volesse più che altro cancellare le tutele delle persone transgender nella società che invece Obama aveva sostenuto, ampliando il concetto legale di genere, riconoscendolo come scelta individuale e non per assegnazione alla nascita, irritando al tempo i conservatori. Le agenzie governative hanno però iniziato a chiedere “una definizione esplicita e uniforme di genere determinata su base biologica chiara, fondata nella scienza, oggettiva e gestibile”. Per cui il Dipartimento della salute e dei servizi umani sta cercando di stabilire una definizione legale di sesso, senza violare le leggi sui diritti civili. E una disputa sul proprio sesso potrebbe essere chiarita usando test genetici. Un bel groviglio di cui ancora non si sa bene quale capo del filo voglia tirare il presidente americano. Sarà il tema caldo dell’inverno, come lo è stato il #metoo? Nel frattempo, una delle figure vigilate dalla stampa perché considerate quella più in imbarazzo negli Usa è un membro dell’amministrazione comunale di Charlton, nel Massachusetts. Si chiama Jordan Evans, ha 27 anni, ed è l’unica transgender repubblicana mai eletta a una carica istituzionale negli Stati Uniti. In pratica, anche lei verrebbe colpita dalle misure del presidente Trump, di cui ha sostenuto la candidatura e del cui partito è membro. Jordan Evans ha già (diplomaticamente) dichiarato al Washington Post di avere paura “Non per me, ma per le nuove generazioni che hanno meno esperienza di me e non sanno gestire questo tipo di situazione”. Ma in questo momento, nessuno vorrebbe essere al suo posto, fra due fuochi, a sostenere un dilemma del genere.