Nel café di Parigi, a pochi metri da casa sua, Léa Seydoux arriva sola, evento raro per un’attrice. Si siede, e con atteggiamento quasi maschile, lascia un braccio a penzoloni dietro la sedia. Però è molto femminile in queste foto scattate a Saint Paul de Vence, in Costa Azzurra, dopo la sfilata della collezione Resort 2019 di Louis Vuitton alla Fondation Maeght. Un luogo d’arte celebre per il cortile con le sculture di Alberto Giacometti e il complesso Labyrinthe scolpito da Joan Miró. Sbadiglia e si scusa. Sarà a causa di George, il figlio di quasi due anni che di sicuro rallegra le sue notti e quelle del compagno André Meyer. Esprime felicità quando parla dei suoi due uomini. Léa viene da una famiglia di produttori del cinema, da parte di padre, e di industriali da parte di madre, ma è una donna indipendente che ha portato avanti con tenacia il suo percorso: nel suo curriculum ci sono già una trentina di film. All’ultimo Festival di Cannes ha provato l’ebbrezza di sedere in giuria, dopo aver vinto la Palma d’oro cinque anni fa per La vie d’Adèle (eccezionale che sia stata assegnata anche alle due protagoniste oltre che al regista Abdellatif Kechiche). Quello è stato il momento che l’ha consacrata attrice di serie A.

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33 anni, Lea Seydoux è diventata famosa con il film scandalo La vie d’Adèle, poi è stata Bond Girl in Spectre, l’abbiamo vista in The Lobster di Yorgos Lanthimos e in E’ solo la fine del mondo di Xavier Dolan. Presto sarà nelle sale con Kursk. Qui indossa la collezione Resort 2019 Louis Vuitton, maison di cui è ambasciatrice.

Qual è stata la reazione della sua famiglia quando ha intrapreso questa carriera?
Nessuna, perché a loro non ho chiesto nulla.

Certo, arriva per tutti il momento in cui ci stacchiamo dal passato e facciamo scelte personali.
In Francia è difficile perché ti riportano sempre alle tue origini. Ti vogliono rinchiudere dentro la tua classe sociale. Non parlo solo per me. Qui si giudicano tutti, soprattutto agli inizi di una carriera. Invece negli Stati Uniti puoi diventare grande: certo, la discesa lì può essere altrettanto rapida. Io comunque quell’autonomia l’ho raggiunta. Come persona sono consapevole di tutto ciò che ho fatto e ho sempre cercato di scegliere con il cuore, per questo sono felice del mio percorso e non ho rimpianti. Ho fatto errori, ma è così per tutti quando cerchi di imparare.

A un certo punto ha deciso di frequentare la scuola Les Enfants Terribles, come l’ha scelta?
Sull’elenco telefonico. Aveva l’inserzione dentro un riquadro: tenevano corsi per imparare a stare davanti a una telecamera. Lì ho conosciuto il mio insegnante e oggi amico, Jean Bernard Feitussi, che mi ha aiutata molto. Era la persona giusta per il mio carattere: severo ma gentile ed empatico. Vedeva che ero timida, che avevo problemi a stare sul palco e mi ha detto: «Ce la puoi fare, ma devi credere in te stessa».

Infatti ha conquistato una giuria di Cannes, fatto film indipendenti ma anche blockbuster come Mission: Impossible. Come ci è riuscita?
All’inizio capita tutto un po’ per caso, poi riesci a fare delle scelte tue. Per Mission: Impossible, nel 2011 c’è stata una chiamata last minute. Probabilmente avevano una collega che ha disdetto all’ultimo e sono stata gettata sul set, ma per me è stato comunque bellissimo.

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Léa con il compagno André Meyer (riservato al punto che di lui si sa pochissimo). In braccio ha George, nato a gennaio 2017.

Ha puntato subito ai film internazionali?
Ma no, non immaginavo nemmeno di diventare attrice, figuriamoci se pensavo di finire su un set americano.

Cosa mette di sé nel suo essere attrice?
La storia del cinema francese è parte di me come la nouvelle vague, ma ho una mia identità. Come attrice di una certa generazione (quella dei millennial, essendo nata nel 1985, ndr) abbraccio le mie contraddizioni, il mio lato femminile e quello maschile. Questo
penso sia nuovo.

È mai scesa a compromessi?
Non mi sono mai sentita limitata nelle scelte. La vita mi ha offerto grandi opportunità e sono arrivata fino a qui. È una fortuna avere un lavoro che ti piace e sentirti desiderata per un ruolo.

A chi chiede consigli di lavoro?
A nessuno, mi fido solo di me stessa. Ho delle buone intuizioni. Ho un istinto affilato e imparo le cose strada facendo.

Un anno fa si è unita alle accuse contro il produttore Harvey Weinstein. Cos’è il #MeToo oggi?
Non sono una super attivista. Per me è stato importante raccontare quell’episodio (un assalto del produttore mentre erano seduti su un divano in una suite d’hotel a Parigi, ndr) per dire alle ragazze più giovani che si possono difendere: io l’ho fatto e sono scappata. Nessuno dovrebbe metterti in una situazione del genere e farti sentire a disagio. Tu appartieni a te stessa. Credo molto nella libertà personale e odio le persone che cercano di sfruttarti e manipolarti. Non solo nel lavoro, anche in famiglia. Non sopporto chi cerca di farti sentire inferiore o fa la vittima per avere la tua attenzione. Ti devi difendere sempre. È vero, però, che nel mondo del cinema accade spesso ed è un ambiente duro per una donna.

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Il nonno di Léa, Jérome Seydoux, è presidente della società di cine produzione e distribuzione Pathé; papà Henri è un imprenditore in ambito tecnologico; mentre mamma Valérie Schlumberger viene da una famiglia di industriali e si dedica alla Filantropia in Senegal.

È femminista?
Il modo in cui mi comporto, e vivo la vita, è femminista. Non è mai stato qualcosa di cui parlare esplicitamente.

Ha raccontato che il set de La vie d’Adèle non è stato facile, perché il regista chiedeva di girare molte versioni delle scene di sesso. Ha comunque sentimenti positivi verso il film?
Certo, ne sarò sempre molto fiera. È stata un’esperienza di vita che non potrà essere paragonata a nient’altro. Ma è stato anche un processo doloroso, sul set ero scoraggiata da come andavano le riprese. Il modo in cui gira Abdellatif Kechiche è speciale, in senso positivo e negativo. Ho senza dubbio imparato molto e il mio gusto cinematografico si è raffinato.

La Palma d’oro dev’essere stata importante allora.
Ha addolcito la pena: io e Adèle (Exarchopoulos, ndr) ci siamo sentite sollevate quando l’abbiamo vinta. Dev’essere terribile girare un film in cui soffri tanto e che poi risulta un disastro. In questo caso, almeno, non avevamo sofferto invano (ride).

Cosa può dire di Kursk, che sta per uscire in Italia?
Racconta la tragedia del sottomarino russo Kursk, affondato nel 2000. Interpreto la moglie del comandante, che invece è Matthias Schoenaerts. È una storia molto commovente.

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Mika Cotellon
Una scena del film Kursk di Thomas Vinterberg, passato dalla festa del cinema di Roma e in arrivo nelle sale nel 2019. Con Matthias Schoenaerts e Colin Firth.

È vero che sul set stava ancora allattando suo figlio George?
Era bello averlo con me, ma non era sempre lì.

Ha trovato il suo equilibrio di mamma che lavora?
Rien n’est facile (niente è facile), ma è questo che rende la vita interessante. L’allattamento, per esempio, non è un periodo semplice.

Soffre della sindrome della mamma che si sente in colpa?
Succede, ma è importante affrontarla per se stesse e per i bambini. Voglio che mio figlio abbia un carattere indipendente e credo sia meglio per lui non essere cresciuto solo dalla mamma. Voglio che viaggi, che sia a contatto con tante persone. A me, per esempio, è utile avere a che fare con molta gente, per sentirmi più sicura. Anche in quella stanza con Weinstein non avevo paura e questo mi ha aiutato a reagire. Oggi vedo che anche gli uomini sono spaventati dalle donne ma vorrei che mio figlio invece riuscisse a capirle.

Quando ha incontrato il suo compagno era già famosa?
Sì, è successo a una Mostra del cinema di Venezia.

Colpo di fulmine?
Una specie...

E lui aveva paura?
Sì (ride).

Quindi ha fatto lei la prima mossa?
Eh sì (ride).

Che tipo di padre è oggi?
È un super papà, molto materno, praticamente una mamma. È davvero molto dolce e ama prendersi cura di suo figlio. Oggi i padri sono molto più coinvolti nell’educazione: è un cambiamento culturale diffuso e credo sia positivo per tutti.

Com’è cambiata la vostra relazione dopo George?
Non è cambiata, ora siamo una famiglia.

Pensa mai a sposarsi?
Non sono sicura di essere un tipo da matrimonio. Forse non è una scelta che mi definisce.

E il rapporto con sua madre è cambiato dopo essere diventata mamma a sua volta?
Sì, sono molto più indulgente con lei. Ora vedo quanto sia dura essere madre.

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Con l’attore Matthias Schoenaerts alla presentazione del film Kursk, presto nelle sale italiane.

A fianco di suo padre, invece, c’è un’icona di stile, l’ex modella franco-algerina Farida Khelfa, musa di Gaultier e Alaïa. È un’ispirazione per lei?
Il mio stile è più influenzato dalle icone del cinema anni Trenta e Quaranta. Donne come Lauren Bacall o Greta Garbo. Le amavo anche vestite al maschile, con lo smoking.

Le attrici francesi hanno un rapporto naturale e disinvolto con la moda, conferma?
Amo molto il mio ruolo di ambasciatrice di una grande maison come Louis Vuitton e so che è un privilegio, il sogno di ogni attrice. Come la maggior parte delle donne voglio sentirmi a mio agio nei vestiti, perché sono molto attiva e cerco abiti che posso indossare tutti i giorni. Mi piace la moda anche se non è il centro del mio mondo, la vivo come un piacere, come un buon bicchiere di vino.

Se incontrasse se stessa a 15 anni, quale consiglio si darebbe?
Nessuno, non sono poi cambiata tanto, ma sono evoluta. Non credo si cambi mai. Amo la frase di Nietzsche: «Diventa ciò che sei». Siamo noi stessi dall’infanzia e nel corso della vita semplicemente ci affiniamo. La nostra personalità si forma nei primi anni di vita, entro i tre anni ha scritto la psicoterapeuta Françoise Dolto, così come il nostro modo di interagire e di provare emozioni.

I suoi ricordi d’infanzia più belli?
Io che cammino per le strade di Parigi.

Cosa scriverebbe, se potesse, sotto la sua foto sulla nostra copertina?
Non darei mai imperativi. Però forse uno sì: Love me tender, amatemi teneramente.

Le foto scattate per il numero di Marie Claire di dicembre sono di Álvaro Beamud Cortés. Servizio Ivana Spernicelli. Trucco Sandrine Cano per Open Talent. Capelli Peter Lux per The Wall Group. Léa Seydoux indossa la collezione Resort 2019 di Louis Vuitton.

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Lo scatto per la copertina di Marie Claire di dicembre.