NELLA VITA CI SONO MOMENTI CHE BRUCIANO. E alcune cose quasi impossibili da dire. Come quella volta nei bagni della scuola, il giorno che mi hanno trovata rintanata là dentro. Le aule deserte e io bloccata dietro a una porta, dopo che i compagni mi avevano spogliata nuda per mortificarmi e vedere com’era fatta la scimmia dalla pelle scura, la colombiana zoppa, “la scema”, io, che a quel punto non sapevo più con che faccia tornarmene in classe, ma nemmeno dove trovare la forza per girare sui tacchi e andare a nascondermi a casa.

PERCHè NELLA VITA CI SONO MOMENTI IN CUI PENSI CHE IL PEGGIO TI RIGUARDI DA VICINO. Sei convinta di meritarlo, è roba tua, un peso incollato addosso che fa un blocco unico con il tuo destino. Tanto che di te non te ne importa più nulla, hai smesso di reagire e chiunque potrebbe farti non importa quale orrenda cattiveria. Tu mai e poi mai troveresti il coraggio di confessarlo a qualcuno.
Mentre poi ce ne sono altre, di cose, che invece ti fanno una rabbia pazzesca. Ti senti esasperata, impotente, violata, compressa. So bene come sono capace di comportarmi in certe situazioni. Ricordo un giorno in ospedale in cui mi ero molto incazzata: ero così furibonda che in un attimo ho ribaltato la stanza. Mi ha preso l’onda e avanti, un ciclone, ho spazzato via materasso, comodino, tutto quello che c’era sopra. Consapevole che comunque era molto meglio prendersela con gli oggetti che magari finire per fare del male alla gente. Solo che poi succede che ti arriva nel sedere una siringata di quelle potenti, e ti risvegli tre giorni dopo sedata, in pratica un’altra, e con in più una fatica assurda a riprendere il filo.

CI SONO STATE QUESTE E ALTRE COSE NELLA MIA STORIA: l’abbandono, la disperazione, la confusione, i silenzi; e poi adesso c’è quella che io chiamo la mia isola felice. C’è Psicoradio, dove al buco che ti ritrovi in mezzo al petto puoi imparare piano piano a metterci una pezza. Io non sono come Morena, che anche lei qui ci lavora; io non sono così brava a trovare le parole, ma lei che invece riesce sempre a inventarsi un modo speciale di usarle, di Psicoradio ha dato la definizione perfetta. Dice che in questo posto l’anima ti diventa voce. E infatti è così. Il giorno in cui sono arrivata ero perfetta: giacca, pantaloni e stivaletti, trucco e parrucco. Volevo farmi prendere: il posto mi piaceva già dal nome, il binomio tra Psico e Radio sapeva di qualcosa molto simile al mio garbuglio. Eppure ero bloccata. Lì, a un colloquio di lavoro in una testata giornalistica, che cosa mai potevo raccontare? Sicché ne avrei avuto di materiale. In passato avevano detto tanto di me: che soffrivo di depressione, che ero bipolare, che ero borderline. Tante parole. Ma le parole vanno e vengono e si possono anche sostituire, perché ciò che senti dentro ogni volta è diverso. È un disagio, certo, ma soprattutto è la tua anima. Ecco, è stata questa forse la prima cosa che ho capito quando ho cominciato ad abituarmi ad avere un microfono in mano e a non vergognarmi più di mettere la mia anima in mutande. Quando parli di quella, niente più è impossibile da dire. Se ti alleni a tirare fuori la voce, puoi farlo. E in una radio, magari anche molto lontano, c’è comunque qualcuno che ascolta.

IN UFFICIO SULLA PORTA C'è UN'IMMAGINE. Si vede Freud davanti a un microfono, gli occhialetti tondi e una cuffia intorno al collo. E già lì capisci che si tratta di una radio vera ma di una redazione speciale. Siamo noi, in totale una ventina di persone. Con una dozzina di pazienti psichiatrici. Regolarmente assunti e pagati. Trasmettiamo su una rete di emittenti che raggiunge tutta Italia e il nostro è un lavoro. Un lavoro e un’esperienza terapeutica. Facciamo interviste, ci occupiamo di cronaca, cultura; raccontiamo il disagio, il nostro e quello degli altri, perché di quello sappiamo.

LA SOFFERENZA PER ME è STATA UNA PALESTRA, il sentimento dominante, quello che mi ha oppressa, ma anche quello che mi ha insegnato a rimontare. Avevo 17 anni al primo ricovero. E adesso, a 27, di cui sei a Psicoradio, ho meno paura. Penso alle facce di quelli che ho visto arrivare in questi anni. Diffidenti, incerti, nessuna vocazione a giocare ai giornalisti. Abbiamo tutti la stessa espressione chiusa, i primi giorni in redazione. La paura è una bestia orribile. A volte è l’incapacità di farsi capire. Altre la coscienza dell’impossibilità di riuscirci. E in ogni caso è una gabbia.

IO SONO FIGLIA ADOTTIVA, arrivata a sei anni dalla Colombia, abbandonata da una mamma che non poteva o non sapeva tenermi, destinata in Italia a un’altra madre, per riempire con la mia solitudine il suo vuoto. Ma non è così che si creano alchimie; ed è possibile invece che le solitudini si trasformino in voragini, enormi buchi neri in cui specchiarsi fa orrore. Cristina, la sorridente e accogliente Cristina che ha fondato Psicoradio, un giorno ha voluto intervistare me. Quella volta ero io che dovevo parlare. Io che ho avuto due madri, ma che da due non sono riuscita a tirarne fuori una. Così le ho detto. Perché è stato anche quello il problema. Sentirmi persa senza qualcuno cui tornare. E accumulare disagio a disagio, angoscia ad angoscia. Fino a quando Psicoradio ha trasformato il veleno in medicina.

QUANDO è TOCCATO A ME CHIEDERE LA PRIMA INTERVISTA è stato il panico. A Trieste, seduta su un prato col pensiero che non ce l’avrei fatta, mi sentivo stanchissima e terrorizzata, incapace di mettere ordine nella testa. Poi ho pensato a chi ero, il redattore di una testata “psy”, e mi sono detta la verità: stavo imparando a tenere a bada i miei demoni, non dovevo temere di farmi giudicare. E se dovessi dire adesso che cosa sono diventata, direi questo: sono una che ha imparato a possedere i propri demoni. Prima ero una voce bambina, fuori controllo e disordinata, ora la consapevolezza mi dice che avere diritto di parola non significa aggredire, e nemmeno buttare di colpo tutti i mobili per aria.

ORMAI NON C'è PIù IL MIO MATTO RIDERE-RIDERE o il mio disperatissimo singhiozzare, e so che di paura non si muore. Compreso quando i demoni tornano a farsi sentire. Perché non è stato facile, ad esempio, occuparmi del caso dell’anarchico Mastrogiovanni. L’ansia aveva preso di nuovo a soffiarmi addosso. Conoscevo la vicenda, ma via via che la scorrevo a video, rivivevo la mia storia. Lui, una condanna ingiusta, la depressione, poi una corsa in auto contromano, seguita da un ricovero coatto. Leggevo della sua fine, tre giorni dopo, legato a un letto d’ospedale, e davanti agli occhi avevo il mio orfanatrofio, lo squallore mortale, la sporcizia, la fame e me, la bambina zoppa che arrancava per un pezzo di pane. Tenevo la mano rigida sul mouse e mentre le lacrime scivolavano sulla tastiera mi dicevo ossessivamente: continua a lavorare.

COSì CE L'HO FATTA, E POI CE L'HO FATTA ANCHE CON FRIDA, la nuova ragazza arrivata in redazione. Perché la sua voce mi ossessionava? Perché avevo in odio quella brunetta tonda dalle mani curate? Tempo qualche giorno e mi sentivo accerchiata, la sua presenza infestava l’unica oasi che mi ero guadagnata. Inaffrontabile. Finché ho scoperto che lei aveva le mani di mia madre. La voce di mia madre. La mia seconda madre la cui presenza costante ora mi si imponeva anche lì. Ma quando alla fine l’ho compreso, con il tempo siamo diventate persino amiche, io e Frida. Riceviamo tante lettere in redazione, di gente che ci segue e ci vuole bene. Chi sa che lavoro qui a volte chiede: ma tu, non sarai mica matta? Io penso a una poesia che conosce Morena: mi hanno sepolta, dice, ma loro non sanno che io sono seme.

Psicoradio, diretta da Cristina Lasagni e formata da persone in cura presso i servizi di salute mentale di Bologna, nel 2016 festeggia 10 anni di attività. Frutto della collaborazione tra Arte e Salute onlus e il Dipartimento di salute mentale di Bologna, va in onda ogni settimana su Radio Città del Capo e sul circuito Popolare Network. Le trasmissioni si possono ascoltare anche sul sito di Psicoradio.