Risolta, garbata, dalla voce sorridente. Questa è l’impressione che si ha di Vittoria Puccini, di una donna che vuole metterti a tuo agio e iniziare la chiacchierata. È stata splendida protagonista di un servizio di moda e della copertina di Marie Claire di settembre. Forse è particolarmente rilassata perché, quando ci sentiamo, si sta godendo gli ultimi giorni di vacanza, prima di tornare sul set per il prossimo film di Paolo Genovese The Place (che l’ha già diretta in Tutta colpa di Freud). L'attrice fiorentina ha avuto un 2017 ricco di progetti dietro le quinte: il film di Genovese, appunto, e le riprese della mini serie Rai Romanzo famigliare di Francesca Archibugi, oltre ad aver prestato la voce alla maga Agata nell'ultima versione cinematografica de La bella e la bestia. Senza dubbio Vittoria Puccini è una delle attrici più amate dal pubblico (per capirlo basta fare un giro sui tanti forum e pagine dei fan club), e, infatti, ha già vissuto l'onore del ruolo di madrina della Mostra del cinema di Venezia, nel 2011.

Il film di Paolo Genovese è ancora un progetto top secret, cosa puoi svelare? Solo la domanda che ruota attorno ai diversi personaggi: cosa siamo disposti a fare per ottenere ciò che vogliamo?

Ti sei mai confrontata con questo dilemma? Sinceramente non sono mai dovuta scendere a grandi compromessi nella mia carriera. E non ho mai ricevuto proposte indecenti (ride).

Com’è andata sul nostro set? Con il fotografo Fabrizio Ferri ho scattato uno dei primi servizi quando ho iniziato a lavorare, praticamente ero una bambina. Con lui si entra in un mondo incredibile: riesce sempre a catturare l’anima, mi riconosco molto nelle sue foto. È stato anche faticoso! A Sabaudia, con quaranta gradi e i vestiti invernali: un vero esercizio di concentrazione.

Gli abiti hanno un ruolo chiave anche per il tuo lavoro. Certo, spesso si parte con la prova costume per costruire un personaggio: ti guardi allo specchio e assumi atteggiamenti diversi a seconda di ciò che indossi. Mi piace interagire con i costumisti e li ammiro per il loro intuito di capire cosa funziona. A volte, a seconda di quel che indosso, il personaggio prende strade diverse.

È vero che hai iniziato come modella a Firenze? Per pochissimo tempo, poi ho passato il provino per Tutto l’amore che c’è di Sergio Rubini.

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Alle ultime sfilate di Milano insieme a Dean e Dan Caten, stilisti di Dsquared2.

Ricordi il primo ciak? Molto bene, per un motivo. Eravamo in Puglia, a luglio: dovevamo girare scene all’aperto e, in caso di pioggia, quelle in camera da letto con il mio fidanzato del film. Non ero preoccupata, perché quando mai piove in Puglia a luglio? Quella mattina, quando è squillato il telefono, ho intuito subito che stava diluviando. Quindi il primo ciak è stata una scena d’amore, con un po’ di nudo, impegnativa, perché non avevo mai recitato prima. Eppure, dopo il primo imbarazzo, tutto è stato molto naturale e allora ho capito che era la mia strada. Avvertivo un forte senso di soddisfazione, quella sensazione fortissima di trovarmi esattamente dove dovevo essere.

Cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale? Quel primo lavoro era un gioco, un esperimento, non sapevo se avrei continuato. Quando è diventata una professione sono aumentate le responsabilità, con la popolarità, poi, non vuoi deludere il pubblico, vuoi fare sempre meglio, avere una crescita artistica. Il gioco è rimasto, ed è bene che sia così.

Cosa hai comprato con il primo cachet? Sicuramente dei vestiti, non ho il minimo dubbio (ride).

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Alessandra Benedetti//Getty Images
Nel 2011 è stata una madrina molto amata alla Mostra del cinema di Venezia, qui una foto di rito in Laguna.

Come le grandi attrici degli anni 50 sei seguita da un grande pubblico, al cinema e non solo: ti pesa se ti definiscono nazionalpopolare? Assolutamente no. Credo che il pubblico apprezzi l’autenticità, il fatto che non indosso maschere. Anche al contrario, quando mi capita di incontrare star internazionali, dei veri miti, rimango positivamente colpita da quanto siano disponibili, aperti, con la voglia di comunicare senza muri o capricci. È un valore aggiunto alla grandezza della persona.

Perché ne rimaniamo così colpiti? Innanzitutto perché capisci che sono del tuo stesso pianeta (ride). E poi a nessuno piace chi si prende troppo sul serio. Glamour e privilegi a parte, il lavoro è importante e lo faccio con passione e serietà, ma poi ci sono la vita privata, gli affetti, la famiglia. Altrimenti si rischia di diventare egoriferiti, mentre per gli attori è fondamentale essere aperti, lo scambio con gli altri diventa il bagaglio per la costruzione dei personaggi.

In Italia si separa ancora cultura alta e bassa tra cinema e tv? Non più, attori e registi si sono liberati dalle etichette e c’è forte scambio tra i due media. Non avverto più snobismo o pregiudizi. Fortunatamente, perché la tv è uno strumento importante, con cui si possono realizzare bei progetti.

Tra l’autunno e l’anno prossimo uscirà in Rai Romanzo famigliare di Francesca Archibugi, che infatti viene dal cinema. Sarai una mamma con una figlia incinta di 16 anni, che adolescente sei stata? Tranquilla e molto libera, grazie alla fiducia dei miei genitori. Ho comunque iniziato a lavorare a 18 anni, per cui la mia vita era diversa da quella delle amiche universitarie. Vivevo da sola, a Roma, concentrata sul lavoro, ma era ciò che volevo, non un sacrificio.

Citi spesso il tuo senso di responsabilità. È fin troppo presente, ho imparato con il tempo a controllare l’ansia da prestazione. La passione mi porta a mettere tutte le energie nel lavoro, che sento come una responsabilità: visto che sono ben pagata, cerco di dare il massimo. Non riesco a fare mio il lato spericolato e rock dell’attore. Di recente mi ha colpito molto lavorare accanto a Giancarlo Giannini, che interpreta mio padre nel film di Francesca Archibugi. Parliamo di un attore che ha fatto qualsiasi cosa nella sua carriera e ottenuto ogni tipo di riconoscimento: ti aspetteresti che venga al lavoro con una mano sola, vivendo praticamente di rendita. Invece arrivava sul set con una professionalità e serietà come se avesse iniziato ieri. Quello, per me, è l'amore per il tuo lavoro.

Qual è il tuo rapporto con la critica? Non è facile, perché oggi sei esposta continuamente, non si tratta più solo della critica giornalistica, oggi è ovunque online. Ormai sui social media te la devi vedere con tutta l'Italia, appena esce qualcosa che ti riguarda, tutti ti criticano nel bene o nel male, e anche la tua vita privata diventa sempre più oggetto di attenzione e giudizi. Non è facile per me, sia riguardo il lavoro sia riguardo la vita privata. Ed è uno dei motivi principali per cui non riesco a tenere dei profili social (ne ha uno ufficiale solo su Facebook, ndr). E vedo che non è semplice per nessuno: persino Alessandro Gassmann ha dovuto lasciare Twitter, nonostante fosse molto attivo, ma ha trovato difficoltà a reggere tutto.

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Venturelli//Getty Images
Con Raul Bova al Denim Day 2017, giornata contro la violenza sulle donne.

Nonostante tu non sia molto presente sui social, hai trovato il modo di partecipare e sostenere attivamente l'iniziativa #Everychildismychild a favore dei bambini siriani. È vero, abbiamo organizzato il bellissimo concerto benefico Live for Syria a inizio agosto e i social media sono stati utilissimi per diffondere informazioni e coinvolgere le persone. E a Natale uscirà un libro di storie per bambini e ragazzi per l'editore Salani, con favole scritte proprio da noi artisti, musicisti e attori. L'altra faccia della medaglia dei social media è invece questo odio che si sfoga e porta ad attaccare e giudicare. Ci rifletto spesso (fa una pausa, ndr)... In fondo tutti noi parliamo spesso di attori stranieri "hai visto questo, hai visto quello...", ma parlarne tra amici è una cosa diversa. Un altro conto è vedere scritto in modo permanente questi giudizi molto precisi, senza fonti, con informazioni che si trasformano... Vedo proprio un lato pericoloso in questa situazione.

La popolarità porta con sé un senso di responsabilità sociale? Se la nostra voce può essere sentita da più persone, se può aiutare a sensibilizzare su certe problematiche, è nostro dovere dare un contributo, nel nostro piccolo. Penso che anche tanti piccoli aiuti possano costruire qualcosa di concreto: per esempio #Everychildismychild ha l'obiettivo preciso di costruire una scuola al confine turco-siriano. Non è un'iniziativa che si perderà nel nulla.

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Camilla Morandi - Corbis//Getty Images
Vittoria alla presentazione dell’iniziativa benefica per i bambini siriani #Everychildismychild.

Le donne che ammiri? Rispondo d’istinto: le mamme che riescono a dedicarsi a figli e lavoro. Guardo con tanta ammirazione le mie amiche con più di un figlio (ride, Vittoria ha una bambina, ndr).

Sembri così disponibile, si riesce a farti arrabbiare? Bisogna impegnarsi, ma è possibile. Sono una persona che si fida, generosa, non “fregherei” mai nessuno e ingenuamente penso sia così per tutti. Ma se capisco che qualcuno se ne sta approfittando...

La foto di apertura è tratta dal servizio esclusivo di Marie Claire di settembre 2017 scattato da Fabrizio Ferri. Servizio Laura Seganti. Ha collaborato Alice Piemonti. Trucco Luciano Squeo. Capelli Monica Coppola per Aldo Coppola Agency. Per Vittoria Puccini: maglia a righe, A.N.G.E.L.O. Vintage Archive; sullo sfondo, abito Valentino.