Inafferrabile. Quando si parla con lei, Alba Rohrwacher regala lampi di profondità che stimolano la curiosità dell’interlocutore, subito invogliato a indagare più a fondo, ma quando si crede di averla agganciata, sfugge delicatamente: «È vero, non mi piace essere fermata e non amo quando mi definiscono. Nemmeno io sarei in grado di farlo». Stanca e soddisfatta, la intercettiamo in un periodo intenso, appena rientrata dal set in Sardegna per il film Figlia mia di Laura Bispuri, con Valeria Golino, e con la testa pronta per quello di Gianni Zanasi, Troppa Grazia, dove reciterà accanto a Elio Germano e Giuseppe Battiston. Nessuno di questi sarà in concorso a Venezia 2017 (troppo presto), la mostra del cinema dove Alba è stata sempre molto apprezzata, vincendo la Coppa Volpi per l'interpretazione in Hungry Hearts di Saverio Costanzo e i premi Pasinetti assegnati dai giornalisti per La solitudine dei numeri primi e Via Castellana Bandiera.

Come riesci a tenere separati i personaggi quando le riprese sono così ravvicinate? Per fortuna sono progetti a cui lavoro separatamente. Altrimenti non sarei in grado, anzi, quando capita che due film si sovrappongano nelle riprese, mi tiro sempre indietro, diventerebbe per me una gran confusione.

Sei tornata a lavorare con Laura Bispuri (che l’ha già diretta in Vergine giurata). Un'esperienza meravigliosa. Con lei ho la sensazione che i personaggi siano persone reali, che ho conosciuto durante il viaggio del film. Fatico ad abbandonarli e porto una parte di loro sempre con me. Con Laura è stato un incontro artistico, la condivisione di un sentire, e questo fa la differenza.

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Vincenzo Lombardo//Getty Images
Nel 2015 insieme a Laura Bispuri, sua regista nel film "Vergine giurata", con cui ha appena finito di girare il film "Figlia mia" insieme a Valeria Golino.

Come vivi il rapporto con la moda e i red carpet? Piano piano ho imparato a gestirli con più facilità. All'inizio subivo un po' la "violenza" del plotone di fotografi, ma negli anni ho capito che fa parte del lavoro e ci si può addirittura divertire. I tappeti rossi sono legati a un film da presentare e unisco il desiderio di difendere quel lavoro al supporto di un abito, che diventa un po' un’armatura.

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Con Pierpaolo Piccioli, stilista di Valentino.

In tanti tuoi film, come Hungry Hearts, Vergine giurata, La solitudine dei numeri primi, il corpo è un protagonista importante, sul set non vivi l’esposizione come "violenta"? No, in quei casi il lavoro sul fisico era fondamentale per i personaggi, mostrarlo era necessario e mai gratuito. Girare con registi attenti fa sì che quel corpo sia abitato da altri, i personaggi appunto.

Il più vecchio ricordo legato alla moda? La cosa strana è che da bambina mi piaceva immaginarmi stilista. Disegnavo abiti pieni di dettagli e pensavo «qui metto un fiocchetto di pizzo, tre bottoncini, lo scollo a v...».

E quando hai capito di essere un'attrice? Senza che lo sapesse nessuno, frequentavo già una compagnia di teatro quando studiavo medicina a Firenze. Dopo uno dei primi spettacoli, ricordo la sensazione di aderenza a ciò che avevo fatto, una specie di euforia lucida che mi ha accompagnato tutta la notte. Sentivo che la cosa mi riguardava e che ero su un'altra strada. Allora ho presentato domanda al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Ricordo ancora la telefonata alla segreteria per sapere se mi avessero accettata, era il 29 dicembre 2001, un momento indimenticabile.

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Al festival del cinema di Berlino 2016, dove sedeva nella giuria presieduta da Meryl Streep.

Nella carriera di attore, quanto contano fortuna e talento? È un equilibrio delicato, servono anche carattere, volontà, capacità di combattere, come in tutti i mestieri. Anche all'università non era certo facile e bisognava lottare, ma lì mi sono tirata indietro perché non sapevo sostenere quel tipo di sfida, mentre ho capito che avevo la forza necessaria per una lotta che mi portasse verso la recitazione.

Hai avuto un mentore? Gli insegnanti del centro sperimentale sono alla base di tutto, senza quella scuola non avrei mai avuto la forza di salire su questa giostra e starci sopra. Poi, alcuni registi mi hanno aiutata a capire quale tipo di attrice ero, potevo diventare e non dovevo aver paura di essere. Un cammino lungo, ancora in corso.

Hai mai pensato di mollare? No. È come se avessi preso a braccetto questa possibilità di vita e non mi potessi più allontanare, né quando va bene né quando va male. Spesso cito Le piccole virtù di Natalia Ginzburg, dove si parla della vocazione, del privilegio di trovarla e perseguirla. È una fortuna sapere che hai qualcosa verso cui tendere, a prescindere dal risultato.

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Tony Barson//Getty Images
Accanto a Charlotte Gainsbourg, quando hanno presentato il film "Ismael’s Ghosts" all’ultimo festival di Cannes.

Non diventa mai testardaggine? Quello è un incaponimento, come una capra che scalpita perché pensa che un muro sia una porta. La vocazione è una sensazione che calma, che pacifica. La testardaggine è pericolosa, porta all’ottusità, a non rispettare gli altri e se stessi. Mi sembra l’esatto contrario della vocazione.

Hai qualche rammarico? Niente rispetto ai film che non ho fatto. Ma avrei voluto continuare con la ginnastica artistica. Quando guardo gli atleti, nel mio cervello è ancora una possibilità: avrei voluto sfidare i limiti del corpo.

Quando accompagnavi al mercato tuo padre, apicoltore, ti piaceva osservare le persone. Lo fai ancora? Mi fermo a guardare le persone che mangiano, senza che se ne accorgano. E mi piace immaginarmi le loro vite, che non mi appartengono.

Se dovessi girare un film che racconti la contemporaneità, quale soggetto sceglieresti? L’ambiente, per indagare a che punto siamo arrivati. Per esempio, ho passeggiato di recente in Sardegna in un posto immerso nella natura, dove la spiaggia era ricoperta di plastica dopo una mareggiata. Il mare limpido aveva rigettato tutto fuori. Davvero inquietante.

Cosa sei costretta a fare all'inferno? Lavare montagne di piatti.

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Elisabetta A. Villa//Getty Images
Su un red carpet insieme al compagno, il regista Saverio Costanzo, che l’ha diretta in "Hungry Hearts" del 2014, film per il quale Alba ha vinto la Coppa Volpi a Venezia.

La foto di apertura è tratta dal servizio esclusivo di Marie Claire di settembre 2017 scattato da François Rotger. Servizio Laura Seganti. Ha collaborato Nadia Bonalumi. Trucco Nicoletta Pinna per Simone Belli. Capelli Alessandro Rebecchi per Greenapple. Per Alba Rohrwacher: abito in tulle, Dolce & Gabbana.