8 marzo 2019: le donne a capo di grandi aziende nel mondo sono solo il 5%. Ma ci stiamo lavorando e un modo per farlo è scambiarsi esperienze e informazioni.

Sabina Belli, amministratore delegato di Pomellato, ha scritto D come Donna, C come Ceo. Dizionario di leadership al femminile (Roi Edizioni). Il libro sostiene la Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate, e racconta 35 anni di carriera nel lusso attraverso parole chiave, aneddoti e consigli a cui ispirarsi: per riflettere e soprattutto per fare. Da “Amazzone” a “Waterproof”, le voci di questo vocabolario per il successo fondono determinazione, ascolto, visione e senso dell’umorismo. Per la Giornata internazionale della donna, abbiamo chiesto a Sabina Belli qualche dritta extra.

Nell’introduzione del libro dice che la qualità in cui si riconosce è il buon senso. Lo si può allenare?
È buffo perché mio padre, che era un trentino alpino devoto al dovere, diceva che il buon senso è il valore delle persone tiepide, senza una convinzione forte. Forse è una visione maschile, io trovo che il buon senso corrisponda all’intuizione, all’intelligenza emotiva, al pensiero laterale. Mi piace l’idea di lasciarsi guidare ogni tanto da un giudizio non formattizzato, non quello del manuale, ma della persona. Sì, lo si può allenare partendo dal presupposto di farsi forza, aver fiducia in se stessi, avere consapevolezza delle proprie capacità. La prima tappa nell’allenamento del buon senso è identificare e credere nei propri superpoteri. Tutti li abbiamo.

#PomellatoForWomen celebra la forza delle donne non solo con collezioni di gioielli uniche, ma con un video che raccoglie i messaggi di empowerment di professioniste e artiste straordinarie. Un ricordo glamour?
Chi mai avrebbe detto che sarei finita in un cameo nello stesso video con Jane Fonda o Anjelica Huston, donne che ho sempre guardato con ammirazione? Fantascienza!

Non è facile vedere le persone volare con le proprie ali, si tende ad andar sotto e sostenerle

Si parla molto di empowerment femminile, come si traduce e come si agisce?
È una delle parole che riescono meglio in inglese, forse perché nella cultura anglosassone non ci sono problemi con la nozione di potere. Da noi è quasi vista come l’attitudine negativa di persone usurpatrici. Letteralmente significa: dare il potere a qualcun altro. Delegare, ma con qualcosa in più: delego e ti do il potere di decidere. È una delle azioni che l’essere umano deve saper fare al meglio, serve in tutte le situazioni. Quando si è genitori, è fondamentale essere capaci di dire ai figli: ti “empowero”, ti do la libertà e gli strumenti per vivere la tua vita. Non è facile vedere le persone volare con le proprie ali, si tende ad andar sotto e sostenerle. Nel mondo professionale l'empowerment è legato alla fiducia: avendo fiducia in me, sapendo quali sono le mie capacità di risolvere problemi, aiutare, lasciar andare, e avendo totale fiducia nell’altra persona, se ho la macchina ti do le chiavi e la guidi tu. Poi però non puoi stare seduto di fianco a premere con il piede su un freno immaginario. Il mio meccanismo di base è circondarmi di persone che hanno competenze molto diverse, con la possibilità di creare legami e scambi trasversali di queste capacità e specialità, avere fiducia, essere generatore di fiducia in se stessi. E integrare nel ragionamento la possibilità, con tutte le tutele e le reti di sicurezza, di un mini incidente: in quel momento si imparerà dove si è sbagliato, cosa ha creato un errore di percorso e come si può crescere e diventare ancora più forti.

Cosa distingue la leadership femminile?
L’empatia è sicuramente una caratteristica. La compassione, lo scambio, la condivisione. Forse deriva dalla tradizione più comunicativa che c’è tra donne. Quel parlare “donnese”, una lingua a parte quasi, un confronto che riguarda non solo il singolo episodio ma tutto quello che c’è intorno. La sorellanza è una dimensione femminile forte: mio figlio te lo affido a occhi chiusi perché sei mia sorella, in senso non solo biologico. Non dico che non esiste negli uomini, ma forse è meno spontaneo, hanno un linguaggio più protetto dalle emozioni. Nell’ambito del lavoro la leadership femminile lascia uno spazio maggiore all’ascolto, alla possibilità di sostenersi mutualmente. Non sempre, certo: esistono situazioni di grande invidia, una forma di conflitto che tocca altre aree della femminilità, come la fiducia in se stesse, la rappresentazione di sé e come la si riversa su un altro tipo di femminilità. Noi donne abbiamo anche la passione di mappare le persone, cercare di leggerle, in termini psicologici e di comportamento. E ci aiuta a interagire. Nel libro ho schizzato caratteri che corrispondono agli archetipi: non è una lettura critica e cinica, mi interessa sottolineare che nell’ambito professionale siamo circondati da diverse tipologie, in qualsiasi ufficio c’è la “Bravona”, la “Mamma Chioccia”. Capirlo consente di relazionarsi e vivere in un modo più empatico.

Come interagiscono emotività e vita professionale?
Non mi trovo a mio agio con chi dice che sul lavoro non si deve entrare nella sfera emotiva degli individui, mi rattristano i meccanismi politically correct che applicano alla valutazione dei collaboratori una neutralità assoluta. Ci rapportiamo con degli individui, non con dei robot. Il lavoro è una microsocietà in cui c’è un’enorme parte di privato e personale. Cerco sempre di capire cosa c’è dietro, mi interessano gli umani e una volta che si legge l’individuo su un piano diverso probabilmente gli si è più utili. Il gruppo Kering sta portando avanti un’iniziativa stupenda. Per illustrare il motto "Empowering Imagination", si punta sul picco dell’immaginazione, che è quella dei bambini. Nel nostro sistema di scambio interno, un Instagram aziendale, ognuno deve postare una foto di se stesso bambino con il sogno che aveva a quell’età. L’infanzia è la parte più bella della vita. Ed è interessante perché riconosci i tratti dei visi delle persone che incroci negli uffici, ma con una spontaneità e un ottimismo che forse non ritrovi così tanto nei visi adulti… Eppure ci sono, e rivivono fuori dagli uffici. Mi piace che ognuno abbia dei talenti, noi da Pomellato abbiamo creato una band rock, momenti per la condivisione di passioni sportive. Il tizio che lavora ai servizi finanziari e a prima vista non ti sembra la persona più aperta, si trasforma ai tuoi occhi quando scopri che è un chitarrista strepitoso. E ti domandi: cosa mi sto perdendo di questa persona? Bisogna ascoltare i messaggi non verbali della gente.

Lei cosa ha postato?
La mia foto di quando avevo 10 anni e due grandi sogni: diventare campionessa olimpica di pattinaggio artistico, perché andavo a pattinaggio e mi piaceva l’idea di cantare l’inno nazionale e spingermi oltre i miei limiti, ed essere la direttrice di un orfanotrofio in Africa. Mettevo le bambole sedute, ed erano i bambini che aiutavo a diventare persone felici, giochi che facevo da sola e che tuttora sono molto impressi nella mia mente.

Nella vita si è soli, tutte le soluzioni, le decisioni e le forze si devono trovare in se stessi

C’è qualcosa della sua vita da bambina che ha capito nella maturità?
Ci tenevo a fare riferimento nel libro alla mia vita come sorella di un bambino Down, una particolarità che mi ha spinto a essere sempre in compensazione, ad aiutarlo, e a portare ai miei genitori risultati che lui raggiungeva in altri modi. Mi ha dato un’enorme spinta a trarre il meglio da ogni situazione, ma anche molta solitudine. Perché per ovvie ragioni ho avuto meno attenzioni dai miei genitori, sono cresciuta con l’idea che la soluzione per me dovevo trovarla da sola. Ho identificato chiaramente il concetto solo da adulta, e lo dico in modo sereno e gioioso: nella vita si è soli, tutte le soluzioni, le decisioni e le forze si devono trovare in se stessi. Quelli che pensano che un altro, un altro figlio, un cane, un trasloco in un’altra parte del mondo possano risolvere una situazione difficile inseguono delle chimere. In realtà la solitudine è un motore, una forza assoluta di sopravvivenza: bisogna diventare il proprio miglior amico, ed essere super contenti di cenare con se stessi. Non dire: "stasera ceno da sola", "vado al cinema da sola", ma "stasera sono con me stessa". E “me stessa” è un’ottima amica!

Cosa si può fare per far crescere quel 5% di donne Ceo?
Bisogna volerlo, non solo poterlo, volerlo! E ci sono tante donne che per dei benefici secondari inconsci non lo vogliono: perché è un sacrificio, una liberazione di se stesse che forse non hanno la capacità di assumere agli occhi degli altri. Sento ancora mie coetanee che si lamentano perché le nuore lavorano e allora come possono tirare su i figli! C’è uno sguardo della società molto pesante, ma bisogna combatterlo. Ci sono centinaia di migliaia di donne che lavorano e hanno lavorato per secoli, in fabbrica, come commesse, nei supermercati, persone che hanno dovuto lavorare. E nessuno si chiede come sono cresciuti i loro figli. Se invece una donna ambisce alla carriera viene giudicata, perché non è un obbligo, è una scelta. Ha preferito fare l’avvocato invece di stare a casa: da dove viene questo ragionamento? E, so che non mi faccio delle amiche, le mamme italiane devono cambiare atteggiamento: quando smetteranno di crescere i figli maschi come gli uomini che dicono di odiare, ci sarà il cambiamento. Bisogna aiutare le ragazze giovani a coinvolgere il partner nella condivisione delle esperienze in modo sano.

I diritti d’autore del libro sono devoluti a Cadmi - Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate. Perché ha scelto questa associazione?
Perché mi sono resa conto dell’immenso privilegio che ho avuto, di nascere in un periodo storico senza guerre, di abitare in paesi europei e americani apertissimi, di incontrare persone che mi hanno instillato senso etico, di avere partner uomini molto rispettosi. Mi sento di condividere questa fortuna con le donne, e ne ho incontrate tante, che sono vittime di violenze domestiche: non solo fisiche, anche umiliazioni psicologiche e verbali, la privazione dell’indipendenza economica e della libertà di scelta. Quando ho realizzato la gravità di questi temi e i numeri impressionanti - toccano 1 donna su 3 - ho iniziato a dare un contributo finanziario e dedicare del tempo personale. Come Pomellato, abbiamo un programma di cui sono onorata: i collaboratori e le collaboratrici prendono delle ore di tempo professionale per andare ad aiutare persone in situazioni precarie. La Casa delle donne è un luogo sicuro, completamente anonimo, non esiste un indirizzo, è un centro di ascolto e sostegno. L’obiettivo della nostra società non dev’essere alleviare la sofferenza delle donne, dobbiamo metterci fine!