Non si è mai perso nella foresta ma a certe leggende e regine scandinave ha dedicato la sua ultima collezione di Haute Fourrure per Fendi. Che rimette in discussione i canoni della pellicceria, dell’unicità e dell’artigianato All’apice di quel sogno che lo stesso Bernini aveva immaginato per la sua piazza, c’è l’ultima impresa di Karl Lagerfeld: un mix di arti, pittura, scultura, architettura fuse con tecnologia e artigianato. Ovvero quella sorpresa sculturale acquatica che invade un piccolo slargo romano. Dentro la Fontana di Trevi a Roma sono arrivate come a passeggio sull’acqua (ma c’era una passerella di plexiglas) 46 creature provenienti da ogni parte del mondo che avevano addosso un universo incantato di favole e disegni. Artefice di questo successo è stato Fendi che, dopo aver finanziato il restauro del monumento, ha avuto la possibilità di portare in scena per i 90 anni di fondazione la sua arte più eccelsa: l’“Haute Fourrure”, disegnata ovviamente da Karl Lagerfeld.

Come mai un libro di favole come ispirazione? Mi piaceva.

L’ha fatto per le clienti che sono rimaste bambine nel cuore? Non so se lo siano. Seppure alcune potrebbero leggerle o raccontarle ai loro figli. Oggi è tutto così visuale, sempre meno scritto.

Si è mai perso nella foresta quando viveva in Germania? Ci ho vissuto e avrei continuato a farlo se non fosse stato per il pensiero che, prima o poi, avrei potuto diventare un pastore.

La sua favola preferita? Odiavo Hänsel e Gretel ma adoravo I Nibelunghi perché Crimilde, che aspetta in silenzio la sua vendetta, mi conquista. Come lei posso attendere anni per avere giustizia.

Qualcuno, nella sua lunga carriera ha mai cercato di farle la “pelle”? Forse... Ma è sempre bastato il dialogo per ribaltare la situazione.

Pugno di ferro, guanto di velluto, avrebbe voluto essere Leonardo Di Caprio in The Revenant? Non l’ho visto ma non mi sento così cacciatore. Da Fendi non abbiamo pelli selvagge che arrivano dalla sperduta Alaska o dall’Africa! La pellicceria di questi tempi è un business legale e controllato. E, secondo me, oggi certi animali d’allevamento soffrono meno che in certi macelli.

Come mai allora l’anno scorso ha devoluto un generoso assegno alla Fondazione Brigitte Bardot... Penso abbia fatto molto per evitare certe situazioni crudeli che ci sono ancora nel mondo. E poi io aiuto sempre gli enti per cani e gatti.

Per Picasso il mondo poteva essere coperto di pelliccia... Mi pare l’avesse detto commentando un’opera di Meret Oppenheim Breakfast Fur (scultura surrealista composta da tazza, piattino e cucchiaio in visone, ndr). Mi diverte, basta non presentarmela veramente per colazione.

Resta comunque una provocazione, come le sue innovazioni. Qual è stata la più dirompente da Fendi? Il mio passato è come un César compresso. Mi interessa sapere di aver fatto qualcosa per primo, più che ricordarlo. Sì, ho alleggerito la pesante pelliccia borghese delle mogli di certi commendatori. Poi spero di averla resa più divertente (il logo di Fendi che disegnò Karl nel 1967 sta infatti per Fun Fur, ndr).

Si prende tutto il merito? Io ho le idee ma devo ringraziare gli artigiani che le eseguono. In verità sono loro che lavorano, non io.

Nessuno si è mai lamentato? Non saprei ma amano le sfide e trovano sempre delle soluzioni originali alle mie richieste.

Nelle sale accanto ho visto usare un trapano reinventato, scatole di legno bucate, portagioielli che racchiudono utensili affilati mai visti. Anni fa nessuno avrebbe osato creare una collezione del genere. Invece per l’Haute Fourrure abbiamo una collaborazione dei migliori atelier italiani (non solo Fendi, ndr) e parigini come Lesage e Lemarié.

Si dice che la pelliccia più cara arrivi quasi a un milione di euro. Le pare normale? Perché, viviamo in un mondo normale? Cosa c’è di normale oggi?

Ma secondo lei, li vale? Bisognerebbe chiederlo a chi ha i soldi da spendere. Ci sono gioielli o macchine ben più costose. E comunque non è un pezzo come sembra in passerella. Sono due capi: una mantella e un cappotto di lince e zibellino, intarsiati, colorati e con tantissime ore di lavoro.

Conoscendo la genesi, la fatica e tutti i dettagli, non si emoziona? Come diceva il soprano Elisabeth Schwarzkopf: «Se dovessi commuovermi per ogni emozione che ho causato, il mio cuore avrebbe da tempo cessato di battere».

Però se lei è rimasto da Fendi per 51 anni è anche una questione di cuore, di amore per le sorelle, per Silvia... (silenzio per qualche secondo...) Oh, ma non rendiamo tutto così personale... Karl ma il suo contratto? Dura fino al 2045 ma non ci penso perché credo nella scienza e preferisco il presente. Al massimo posso iniziare a immaginare cosa faremo fra dieci anni per i prossimi 100 anni di Fendi, no?