Si chiama Marta Sodano. Ha 25 anni, vive in provincia di Bergamo e lavora in come videoterminalista nel magazzino di un’azienda della zona. Ama la natura, fa ricerche sul web in tema di animali totemici - il suo è la volpe, scelta soprattutto per la grande capacità di adattamento. Sull'argomento fidanzati preferisce glissare.

Il 21 marzo, in occasione del World Down Syndrome Day, Marta interverrà a nome di CoorDown alla conferenza Leave no one behind in education, al Palazzo di vetro di New York. E a fianco di altri speaker da tutto il mondo racconterà alla platea dell'Onu quanto sia importante l’esperienza della scuola per le persone con sindrome di Down, con le difficoltà e le conquiste che lo studio comporta. Spiegherà quanto l’istruzione sia stata decisiva per consentirle un accesso al lavoro, un buon inserimento sociale. Perché l’educazione è la chiave per “non lasciare nessuno indietro”. Noi l’abbiamo intervistata qualche giorno prima della partenza.

Pronta? L’idea di parlare di fronte a una platea come quella dell’Onu ti preoccupa? Sono emozionata, certo. Ma mi sento pronta. Avevo già parlato in pubblico al Padiglione Unicredit di Milano. Il mio tema era: “Sindrome di Down, e se cambiassimo prospettiva?”. Già allora avevo raccontato di scuola e di educazione. Mi hanno detto che sono stata brava. Così ora sono abbastanza tranquilla.

I punti principali del tuo discorso? Ancora una volta l’importanza dell’istruzione. E poi ho un messaggio per gli insegnanti: non dovrebbero avere basse aspettative su di noi. Per me non esiste concetto di difficile o facile: tutto può essere spiegato in modo semplice. Loro non dovrebbero porsi dei limiti quando insegnano alle persone con sindrome di Down. A me è capitato di incontrare docenti che non volevano propormi certe materie, certi argomenti: pensavano che nella vita non mi sarebbero serviti. Ma, come dice mia madre, non si può piacere a tutti.

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Marta Sodano, portavoce CoorDown all’Onu

Il lavoro quanto conta per te? Mi interessa quello che faccio, e poi lavorando ho fatto anche amicizie vere: la mia collega (e amica) Sabina, il mio capo e il responsabile del personale mi accompagneranno a New York insieme alla mia famiglia. Un punto importante: il CoorDown dice che non c’è ragione di festeggiare, se non quando tutti avranno la possibilità di andare a scuola, imparare, interagire con gli altri, lavorare. Sono d’accordo.

Che farai dopo lo speech? Con la mia famiglia faremo un giro in città, alla Public Library, al Museo di scienze naturali. E poi un salto allo zoo del Central Park, per vedere gli animali.

La domanda che nessuno ti ha fatto e che vorresti sentirti proporre. C’è n’è una: “Se tu non avessi la sindrome di Down saresti più felice?”. Dai, chiedimelo! Le rispondo che lo faccio solo perché me lo ha chiesto lei, affiancata dalla sua mamma: nell’era del politicamente corretto non è una domanda che un giornalista si sente di fare a cuor leggero. Sentiamo la tua risposta. Che io abbia la sindrome di Down o no per me non c’è differenza. Voglio essere solo me stessa. Mi piaccio come sono.

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REASONS TO CELEBRATE «Quando tutti noi, non solo qualcuno di noi, avremo più opportunità a scuola, nel lavoro, nella vita sociale, solo allora avremo davvero dei motivi per festeggiare. Non lasciate indietro nessuno». CoorDown.