Come ogni anno l'organizzatore non governativa Reporters sans frontières scatta la sua istantanea sulla situazione della libertà di stampa nel mondo realizzata sui dati degli ultimi dodici mesi analizzando l'andamento del fenomeno rispetto agli anni precedenti. Già tra le pagine introduttive del Rapporto 2019 si può facilmente cogliere il quadro complessivo dalle affermazioni di sintesi della Ong: "L'odio verso i giornalisti è degenerato in violenza", "l'odio trasmesso in vari Paesi dai leader politici è riuscito a provocare passaggi all'azione più gravi e più frequenti". Una situazione in via di peggioramento, dunque, seguendo il trend generale degli anni precedenti.

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Che trova anche la conferma delle cifre, come quel 24% dei 180 Paesi analizzati che si trova in una situazione “buona” o “piuttosto buona” di ben due punti percentuali inferiori al rapporto 2018. In cima alla classifica, anche quest'anno, svetta la Norvegia, seguita dai “cugini” scandinavi di Finlandia e Svezia. Nel top ten colpisce poi - in positivo - la presenza del Costa Rica, in decima posizione. Tra i Paesi nel quale l'indagine ha registrato un miglioramento generale delle condizioni di lavoro per i giornalisti c'è il Gambia - al 92 esimo posto - le Maldive (98°), l'Etiopia (110°) e la Malesia (123°). In tutti questi casi, la salita in classifica è motivata dai rispettivi cambiamenti nell'assetto politico. L'Italia si schiera al 43esimo posto e rappresenta un luogo in cui per i giornalisti non è agevole lavorare per via della presenza di reti mafiose e di organizzazioni estremiste, senza contare come diversi professionisti hanno dovuto autocensurarsi o comunque scendere a patti e a compromessi con la loro coscienza e con la loro professionalità per evitare pressioni dal mondo politico.

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Peggio di noi, ma non troppo distanti, gli Stati Uniti, che troviamo al 48esimo posto. In forte calo la posizione del Brasile, sceso al 105esimo posto dopo lo svolgimento dell'ultima campagna presidenziale dominata da “discorsi di odio” e dalla disinformazione che, secondo l'ong, “aprirà un periodo buio per la democrazia e per la libertà di stampa”. Fanalino di coda il Turkmenistan preceduto da Corea del Nord ed Eritrea, tre Paesi nei quali i media sono controllati dallo Stato. Situazione non dissimile a quella del Vietnam e della Cina dove la stampa ufficiale controlla il dibattito politico e pubblico e decine di giornalisti sono in carcere. “La situazione è grave - ha dichiarato Christophe Deloire, segretario generale dell'organizzazione - e pertanto c'è bisogno di un risveglio dei modelli democratici, altrimenti quelli di segno opposto continueranno a prosperare e a moltiplicarsi”.