Prendiamola con ironia. Prendiamola come se le donne nascessero con il destino di Aurora, la Bella addormentata nel bosco. Non perché siano affette da narcolessi, su questo caso mai è tutto il contrario. Il fatto è, invece, che le donne sembrano nascere con un incantesimo che gli pende sulla testa. Questo incantesimo si chiama gender gap, o divario salariale, ed è quella maledizione per cui potrai studiare dieci volte più di un uomo, prendere voti più alti, essere più brava di tutti i tuoi colleghi ma tutto questo non servirà a evitare che il tuo stipendio, a parità di mansioni e di qualifiche, sia più basso di quello di un uomo. Decenni dopo le lotte di Anna Kuliscioff e di tante come lei per garantire la dignità lavorativa delle donne, nel 2019 c’è ancora chi si sente dire dal capo: “gli uomini hanno più spese, devono mantenere le famiglie”.

Torniamo a parlare sul serio, perché seria è la faccenda: molte donne della politica si dedicano a questo problema - anche se sarebbe bello che se ne occupassero pure gli uomini - e sembra incredibile che nonostante questa funzione dovrebbe essere già garantita dall'art. 3 della Costituzione (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) si debbano varare leggi apposite che ribadiscono e puntualizzano la pari dignità sociale ed economica. Il divario salariale, infatti, non è solo una mancanza di rispetto dei diritti delle lavoratrici: è dimostrato che la sua scomparsa è una potente leva di sviluppo economico per le regioni e le nazioni intere. Da noi, su questo fronte c’è Paola Bocci, consigliera regionale della Lombardia molto combattiva, che del gender gap ha fatto una delle sue battaglie. Il 3 maggio Paola Bocci ha presentato un pdl, un progetto di legge sul tema della disparità salariale, primo e unico nel suo genere. “I principi della Costituzione restano i valori di riferimento, ma servono norme puntuali per declinarli e attuarli”, spiega a MarieClaire.it la consigliera Bocci. “Attualmente, per legge, la paga oraria per lavoro di pari valore deve essere uguale per tutti, ma è in corso d’opera, a fine anno o a fine carriera, che il reddito diventa differente. Significa che ci sono ostacoli da rimuovere durante il percorso con azioni precise”.

Cosa prevede esattamente questa proposta di legge dai contorni rivoluzionari, e che si spera venga imitata anche da altre regioni? Ovviamente, le cose in politica sono sempre un po’ più articolate di come sembra, e minacciare semplicemente delle sanzioni alle aziende che svantaggiano le lavoratrici sarebbe una soluzione semplice a un problema complesso. Proviamo a dividere per punti tutte le mosse che prevede, in sintesi, la legge.

# 1
Portare alla luce i dati del fenomeno, attraverso la pubblicizzazione e diffusione del Rapporto biennale redatto dalle imprese con oltre 100 dipendenti.

# 2 Sostegno ai percorsi di orientamento e formazione scolastica delle ragazze e al potenziamento delle loro competenze digitali e tecnologiche, per contrastare gli stereotipi di genere e facilitarne l’inserimento in ambiti lavorativi meglio retribuiti.

# 3 Progetti di sensibilizzazione e adozione delle migliori pratiche in materia.

# 4 Supporto a enti locali e imprese che promuovano la parità retributiva e di genere, attraverso reti di imprese locali e la promozione di servizi di welfare aziendale e di strumenti informativi e formativi sul tema.

# 5
Misure di sostegno al reddito e all’aggiornamento professionale, per periodi temporanei, dedicate a chi utilizza flessibilità lavorativa per motivi di cura e assistenza ai familiari.

Bonus extra: la creazione di un albo di aziende virtuose che rispettino la parità di retribuzione. Un po’ sembra strano, però, che tutto questo prenda vita in Lombardia, la regione più all’avanguardia soprattutto dal punto di vista lavorativo e da cui non ci si aspetta che questi tipi di problemi sopravvivano. “La Lombardia è una delle locomotive d’Europa”, conferma la consigliera Bocci, “ha il maggior numero di donne occupate ma presenta comunque differenze significative di retribuzione. È un tema caldo, le più giovani lo sanno e lo vivono in prima persona. È veramente anacronistico e non accenna a diminuire; anche le aziende ne subiscono i danni, in un clima di inconsapevolezza collettiva. È urgente elaborare azioni efficaci e anche la Regione deve fare la sua parte”.

Una volta, la famosa economista Loretta Napoleoni ha raccontato a MarieClaire.it che i nativi americani sono diventati maschilisti perché stando ai margini della società si sentono svirilizzati. In Italia gli uomini non sono esattamente ai margini della società, e si dice sempre che sottovalutare le donne faccia parte della nostra cultura, il gender gap fa parte delle sottovalutazioni maschiliste. Ma perché questa “cultura” non si riesce a estirpare, anche se a crescere gli uomini sono state sempre, soprattutto le donne e la maggior parte del corpo docente è femminile? “In effetti è un bel problema culturale che viene da lontano”, ammette Paola Bocci “e anche se nelle donne la consapevolezza dei propri diritti sta crescendo, restano sottovalutate perché spesso ingabbiate nella responsabilità e la cura di figli, casa, anziani che non è nemmeno retribuita. Le donne devono avere l’opportunità di entrare nel mercato del lavoro senza gli stereotipi che si trascinano anche negli studi, scegliendo percorsi scientifici, che garantiscono maggiori e migliori possibilità di occupazione e reddito, e una volta entrate nel mondo del lavoro devono riuscire a restarci, senza fardelli. Per questo servono soprattutto norme che incoraggino una maggiore condivisione delle responsabilità genitoriali e di cura con gli uomini, e una diffusione e accessibilità maggiore di servizi per la conciliazione, non solo asili nido, ma anche strutture socio-assistenziali per gli anziani”.

Resta solo da chiedersi se la consigliera Paola Bocci stessa si è mai sentita discriminata o sottovalutata sul lavoro. “No, io non sono mi sentita discriminata né sottovalutata nel lavoro perché donna. Ma in politica ho visto un altro scenario. Non è una scelta facile, è un settore ancora molto maschile, con tempi non particolarmente ‘comodi’ per le donne, e in generale per le persone. Le ‘quote rosa’ a mio avviso sono una condizione necessaria, ma non sufficiente: le donne sono ancora sottorappresentate nei ruoli chiave della politica perché è un ambito dove si è giudicate spesso meno autorevoli degli uomini, dove l’ambizione generale di arrivare in alto è molto forte e alle donne viene chiesto di dimostrare più competenze e capacità di un uomo. C’è un rapporto di doppio scambio: più si diffonderà e radicherà in ogni settore della società italiana una cultura di reale pari opportunità, più ci saranno donne in posizioni chiave anche in politica. E più ci saranno donne che governano a diversi livelli, più ci saranno politiche sociali orientate alla parità e all’uguaglianza, e anche gli uomini ne godranno i benefici”, conclude Paola Bocci. Che passi deve compiere ora questo progetto di legge? Intanto verrà depositato. Poi è necessario che si crei un consenso per discuterlo prima in commissione e poi in aula. E si spera che presto si possa parlare della sua discussione e calendarizzazione. Teniamo tutte le dita incrociate. E parliamone in giro.