164, il numero complessivo. 46,8, la percentuale. Sono i numeri delle donne del Parlamento spagnolo dopo le ultimissime elezioni anticipate, con la conferma a primo ministro del femminista Pedro Sánchez del partito socialista (colui che aveva già scelto l'anno scorso 11 donne ministre su 17 ministeri, tanto per dare un'idea). La Spagna scarta a sinistra le percentuali illuminanti dei paesi europei con maggiore presenza di donne in parlamento e si pone come faro guida verso una nuova intenzione politica. Inclusiva e nel rispetto totale delle competenze, più che nella sottolineatura delle differenze di genere che costringono le donne ancora oggi ai margini della vita politica, a 150 anni dalle conquiste delle paladine della rappresentanza. La Spagna deve questo gigantesco risultato alla legge sulle quote rosa in Parlamento che, pur se molto discussa, ha imposto una regolamentazione precisa per le candidature che devono essere comprese tra un minimo del 40% e un massimo del 60%, per ambo i sessi. Non si può privilegiare (e di conseguenza discriminare) un uomo rispetto a una donna sulla base di una presunzione di genere. Entrata in vigore nel 2007 durante il governo di José Luis Zapatero per recepire le direttive del Consiglio d’Europa sul bilanciamento di presenza femminile e maschile nei governi, viene chiamata la Ley de Igualdad o “Legge del principio di presenza equilibrata” nelle liste elettorali dei vari collegi.

Una misurata interpretazione delle linee guida, le decisioni dei leader di partito in merito alle candidature, un’apertura sempre maggiore alle differenze di genere hanno permesso agli spagnoli di avere al parlamento più paritario d'Europa e della loro storia di monarchia costituzionale, anche se per la prima volta dalla fine della dittatura di Francisco Franco l’estrema destra è entrata in Parlamento, con 24 seggi (il partito Vox ha avuto un’escalation inattesa, anche se decisamente inferiore alle proprie rosee aspettative) e si è registrato anche il crollo del Partido Popular, il centrodestra moderato. A livello di singoli partiti, fa sorridere la curiosità sul piccolo Coalición Canaria che ha fatto il tutto esaurito: due seggi a disposizione, due deputate donne elette. Tra i grandi partiti si distingue Unidas Podemos, che registra quasi il 55% di presenza femminile sui suoi scranni in Parlamento, seguito dal trionfatore PSOE (52%) poi dal PP (51,5%) con percentuali oltre la metà, riporta El Diario. Numericamente parlando, con il governo ancora in formazione, saranno 64 le deputate donne del PSOE in parlamento, la cifra più alta della storia del Paese, scrive El Pais. Il pur perdente PP avrà 34 deputate su 66 scranni a disposizione, più del 50% dei suoi eletti.

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E così che la Spagna è diventata uno dei paesi con il Parlamento a maggiore presenza femminile d’Europa. Non diremo femminista perché non possiamo ancora sapere se effettivamente tutte le donne elette siano femministe (non è così automatico), né diremo femminile o peggio ancora “rosa” per definire quello che è davvero un bellissimo primato. Le parole sono importanti, ci piace usarle bene. Resta il dato di fatto: tre paesi europei hanno più del 40% di donne in Parlamento e sono rispettivamente Finlandia (le recenti elezioni 2019 hanno registrato un totale di 94 deputate su 200, che significa il 47% di deputate come ha calcolato Euronews), la già citata Spagna al secondo posto, e la Svezia sul terzo gradino del podio (con 161 donne su 349 scranni parlamentari, che equivale al 46,1%). Un esempio per quei paesi che, secondo i dati della Banca Mondiale elaborati nel 2018, non brillano certamente per uguaglianza di genere nei luoghi governativi. La tanto lodata Germania di Angela Merkel, che pure è una delle poche donne capo di Governo in Europa (e nel mondo), ha appena il 31% di deputate donne; idem la Gran Bretagna, che pur schierando Theresa May tra le pastoie della Brexit ha appena il 35% di deputate donne nelle sue due Camere parlamentari. Un pelino meglio la presenza di donne in Parlamento in Italia, con percentuali molto inferiori alle quote rosa spagnole ma in grado di staccare i vicini tedeschi con un 36% tra Senato e Camera, che colloca il nostro Paese appena un punto sotto l’avanzatissima Danimarca. Il lavoro per la parità di genere al governo è sicuramente un processo ancora lungo e accidentato, perché non tutti i paesi dell’Unione Europea sono in grado di alzare le quote di donne politiche nei loro parlamenti. Le elezioni in Spagna e il nuovo esecutivo in formazione (nonostante il primo ministro sia sempre un uomo, Pedro Sánchez, con tre opzioni possibili di alleanze o non-alleanze per ottenere la maggioranza e governare) fanno ben sperare in un lento, costante aumento di candidate e donne elette nei vari governi democratici.