C’è un piccolo bar nel Massachusetts che si chiama Rebel Rebel, come la canzone di David Bowie. È un bar femminista che serve vino biologico e nonostante la sua connotazione ben definita, è sempre pieno sia di donne che di uomini. In quel bar gli umori sono calati molto da quando, il 15 maggio 2019, è passato ai voti in Alabama lo Human Life Protection Act, meglio noto come Alabama Abortion Ban, la legge che vieta l’aborto in Alabama anche in caso di stupro o di concepimento da incesto. Le star che si sono scagliate contro il provvedimento sono molte, da Milla Jovovich a Lady Gaga, da Courtney Cox a Chris Evans e John Legend. Ma anche le piccole realtà hanno iniziato a muoversi con iniziative di protesta, come il Rebel Rebel bar, appunto, che destina i guadagni della sua vendita di calici di vino bianco alle associazioni che proteggono i diritti riproduttivi delle donne. Al momento, le ragazze del Rebel Rebel hanno raccolto 25mila dollari. Ben vengano le proteste, se smuovono le coscienze. Breve recap: l’Alabama Abortion Ban è un’iniziativa del governo locale Repubblicano, guidato dalla 74enne governatrice Kay Ivey, ma a pochi giorni dalla sua approvazione i primi a dissociarsi, viste l’ondata di impopolarità che ne è seguita sono proprio i vertici del partito.

“Dissociarsi” magari è una parola troppo ottimista. Però anche l’ala destra della politica americana si è resa conto che in Alabama si è esagerato un po’, tanto che persino il presidente Donald Trump, che comunque non è gradito proprio a tutti tutti i repubblicani, ha preso le distanze dal decreto e con un tweet li ha invitati a darsi una calmata con queste iniziative estreme, anche se ha aggiunto “Se siamo folli e non rimaniamo UNITI, tutto ciò che abbiamo ottenuto per difendere la Vita potrà scomparire rapidamente!”. La strategia dei Repubblicani per non scontentare nessuno, fino a quel momento era stata però quella di rendere difficile, quasi impossibile, l'accesso all'aborto, ma mai di vietarlo apertamente. Queste prese di posizioni nette sono destabilizzanti persino per chi le minacciava. E ora sta tornando sulla bocca di tutti il famoso caso Roe v. Wade che risale al 1973 e che ha cambiato completamente la situazione delle interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti.

Il caso Roe v. Wade è una sentenza storica della Corte Suprema che accordò a una donna di nome Norma McCorvey, chiamata al tempo Jane Roe per tutelarne la privacy, il permesso di abortire quando negli Usa era possibile praticarlo solo in quattro stati, tra cui non il Texas dove viveva lei. McCorvey non era in pericolo di vita, ma non voleva il terzo figlio da un marito violento da cui voleva separarsi, e un gruppo di avvocate attiviste colse al volo l’occasione e ne prese la difesa con l’obiettivo di creare un precedente. E così è stato. La Corte Suprema si basò su un’interpretazione inedita del 14esimo emendamento, quello contro la schiavitù. Di fatto, ora l’Alabama è andato contro quella sentenza storica, cancellandola.

Stessa polemica per il provvedimento in Georgia che vieta qualsiasi tipo di interruzione oltre le sei settimane, il momento in cui si comincia a sentire tramite le apparecchiature una parvenza di battito cardiaco (che secondo molti non è un battito vero, ma una reazione periferica di quello materno nelle prime fasi embrionali). Ma le sei settimane, anche fino a otto, è per molte donne, soprattutto le più giovani, il momento in cui si accorgono che non hanno semplicemente saltato il ciclo: sono incinte. È quindi ovvio pensare che si tratti di una legge che impedisce di abortire, ma in modo molto sottile. Come si è arrivati a questo? Secondo alcuni repubblicani che hanno approvato la legge, facendo riferimento a quel trascurabile un per cento di aborti che negli Stati Uniti avvengono anche dopo 24 settimane per gravi motivi, bisogna fare piazza pulita di queste eccezioni per motivi di salute che sarebbero “una scappatoia abbastanza ampia da farci passare un camion" ha sintetizzato Paul Ryan come riporta TheCut.com. E non finisce qui perché Secondo il membro della Camera dei Rappresentanti del Wisconsin Paul Ryan, le donne sfrutterebbero queste eccezioni sanitarie per abortire nel terzo trimestre "per puro divertimento". No comment.

Come finirà questa storia? Mai dare per scontato che il buon senso, alla fine, prevalga. Mentre gli Usa si preparano già alle prossime elezioni presidenziali 2020, la strategia repubblicana, in alcuni casi, coglie ogni occasione per far passare come estremiste le posizioni degli avversari democratici parlando di inclinazione all’infanticidio. Come quando il governatore della Virginia, Ralph Northam, in una recente intervista radiofonica, ha dichiarato che se una donna partorisce un figlio prematuro gravemente malformato sta a lei decidere se rianimarlo e mantenerlo in vita oppure no. Questo spaventa molto i politici americani e sta mettendo in allerta anche i candidati democratici alla presidenza, che non riescono a capire bene come la pensa il popolo e come prevenire un dilagare del divieto finché il Senato sarà a prevalenza repubblicana. E qualcuno di quelli democrats, non è nemmeno del tutto contrario. Ma al netto di tutte le dissertazioni, la soluzione è forse una: le donne devono occuparsi molto di più di politica invece di lasciare che a sedere nei palazzi del potere siano quelle pilotate da uomini? Sì quel tipo di uomini che ridono sentendo dire Barack Obama “yes, I’am a feminist”. Perché è dentro quei palazzi che si decidono i loro, i nostri, destini.