In una conversazione di qualche giorno fa, una donna mi ha detto che ama il personaggio di James Bond perché è aspirazionale non solo per gli uomini ma anche per lei, che vorrebbe essere James Bond da sempre e io l'ho capita benissimo, essendo cresciuta convinta che un giorno avrei esplorato il mondo con cappellaccio e frusta come Indiana Jones, o lo spazio in un'astronave malandata come Han Solo. Ma poi ho pensato a quanto sia in fondo davvero triste per noi femmine crescere sognando di diventare un archeologo avventuriero o una spia internazionale, per poi sentirsi dire da adulte che dobbiamo sorridere nelle foto, altrimenti sembriamo severe e sbattere la testa contro il soffitto di cristallo delle promozioni mancate a favore del collega maschio, dell'obbligo interiorizzato di essere sempre carine e modeste, senza alzare la voce, accontentandosi e prodigandosi per gli altri. Ce lo vedete, voi, Han Solo, a stirare camicie che non siano le sue? Ecco, non vedo perché allora dovrei farlo io.

Ironia a parte, la cronica mancanza di eroine femmine che non siano in posizioni ancillari rispetto al maschio protagonista o coprotagonista non riguarda solo i film della nostra infanzia ma continua, con piccoli miglioramenti a passo di bradipo, nel cinema contemporaneo e non soltanto in quello d'azione: la commedia soffre infatti da decenni della mancanza di spazio dato alle comiche donne, in un mondo in cui il sessismo e il cameratismo sono mali endemici e difficili da scardinare, generando addirittura casi limite come quello delle molestie sistematiche di Louis C.K. alle proprie colleghe.

Moltissimi comici uomini americani sono passati in maniera molto naturale dalle fucine di talenti dello stand up o da programmi come il Saturday Night Live alle grandi produzioni cinematografiche (Dan Akroyd, Eddie Murphy, Bill Murray, lo stesso Woody Allen), pochissime loro colleghe e contemporanee hanno potuto mai aspirare ad altro che a ruoli di contorno invece, persino in televisione dove fino agli anni '90 oltre a Roseanne Barr e Ellen Degeneres si faticavano a trovare comedian donne che avessero ricevuto abbastanza fiducia per realizzare un proprio show.

Il pregiudizio verso le donne nella commedia è talmente forte che una delle domande più googlate al mondo è “Why aren’t female comedians funny?”, che naturalmente è falso e ridicolo ma indice di una cultura che mette in scena le proprie norme sessiste: avere senso dell'umorismo è sinonimo di fiducia in se stessi e intelligenza, doti che in una donna sono ancora considerate nel migliore dei casi superflue, nel peggiore fastidiose perché le allontanano dal loro ruolo tradizionale che è quello di piacere al maschio. Essere aggressive, bossy, ambiziose, divertenti, anche volgari mette in crisi il maschio tradizionale, lo priva della sensazione di essere al centro del discorso e peggio ancora se la comica donna di cui si parla si concentra su “cose da femmine”, alle quali i maschietti cresciuti dalla nostra società non ritengono di doversi interessare perché si sa, i problemi dei maschi sono i problemi di tutti e quelli delle donne beh, sono problemi da donne.

Aggiungete all'equazione l'età e l'aspetto fisico, che sono una necessità primaria quando ci si trova di fronte alla macchina da presa e che se in un uomo possono però passare in secondo piano di fronte al talento, nel caso di una donna sono considerate una conditio sine qua non per avere ruoli di rilievo (se non vi conformate agli standard estetici al massimo potete essere l'amica brutta o l'amica grassa in un film, non la protagonista o il love interest, anche di un protagonista non certo più bello di voi). Se siete donne avete più di quarant'anni e non siete Jennifer Lopez, quando persino Jennifer Lopez fa fatica a trovare ruoli decenti, nel mondo del cinema per voi ci sono soltanto ruoli da moglie, da madre, da collega di lavoro, se siete tanto fortunate o talentuose da continuare ad averli si intende. Non solo non c'è quasi spazio per le storie d'amore o d'avventura per una donna che ha passato i 40 e non ha l'aspetto di Juliette Binoche, ci sono anche pochissime narrative che ritraggano le donne in autonomia, fuori dalla famiglia e in un contesto che non sia di dramma sociale intimista. Persino Kim Catrall, la Samantha di Sex and the City, fu preoccupata e stupita di aver ottenuto un ruolo così sexy e comico a 42 anni: sono passati vent'anni, certo, ma le cose non sono così tanto cambiate.

Perché se le femmine non sono divertenti a vent'anni, figuriamoci a cinquanta. Il diffuso bias per cui le donne dopo i cinquant'anni diventano invisibili agli occhi di una società in cui le femmine sono utili solo finché suscitano eccitazione nel maschio ha portato a decenni di cinema in cui dopo i quaranta puff, le donne scomparivano dalla scena risucchiate dai muri di casa perché le loro storie non erano interessanti se non risultavano seduttive per lo sguardo del maschio etero. In questo contesto, anche un piccolo film come Wine Country è un'operazione di rottura, che si inserisce pienamente nella complessa strategia di Netflix per sviluppare (grazie alla mole di dati che possiede sui propri utenti) nuovi filoni narrativi per pubblici desiderosi di sentirsi rappresentati. E se ce n'è uno per eccellenza, sono le donne di mezza età. Con pochissimi spazi a loro dedicati nel mainstream e ancor meno se si tratta di commedia, le donne over 50 sono un paradosso del sistema dello spettacolo: grandissime consumatrici di cinema e televisione, scarsissimamente presenti all'interno delle storie che pagano per vedere.

Wine Country parla direttamente a loro, con sincerità, ed è ben consapevole del proprio ruolo di apripista culturale, tanto da finire per essere persino un po' appesantito dal desiderio di rappresentare bene la storia che racconta, quella di un gruppo di donne che si ritrovano a festeggiare il cinquantesimo compleanno di una di loro in una villa in Napa Valley. Una trama esile, come quella di qualsiasi commedia di reunion al maschile: amiche che si ritrovano dopo molto tempo, ognuna col proprio carico di frustrazioni e segreti che esplodono nella vicinanza e nel susseguirsi di avventure e disavventure.

Nonostante i nomi coinvolti – il film è prodotto, diretto e ideato da Amy Poehler, star di Parks and Recreation e Arrested Development oltre che una delle comedian più blasonate d'America e presenza fissa per anni al SNL, che ha sviluppato la storia insieme a Liz Cackowski e Emily Spivey, quest'ultima anche nel cast insieme a Tina Fey, Paula Pell e Maya Rudolph – Wine Country è un piccolo film che non aspira a essere molto altro e neanche a far sbellicare dalle risate. La sua comicità è sottile e a tratti molto malinconica, non ci sono primedonne e lo spazio è equamente diviso tra le protagoniste, ognuna il ritratto di un modo diverso di vivere un momento fondamentale della vita di una donna, quella maturità che oggi ci viene concesso vivere anche al di fuori dei ruoli famigliari e che stiamo cercando di riscrivere per conto nostro. Le sei donne del film si approcciano a varcare il mezzo secolo in sei modi completamente diversi e questo è già di per sé rivoluzionario, perché non esiste nella storia del cinema un film con sei donne di quell'età che siano ognuna portatrice di una storia diversa, dalla donna d'affari alla moglie frustrata, alla lesbica in cerca d'amore, fino alla misantropa e alla professionista in crisi per aver perso il lavoro.

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E Wine Country è palesemente molto più interessato a restituirci un ritratto verosimile e sincero di tutte queste femminilità che a farci sghignazzare, motivo per cui ha ricevuto anche critiche molto feroci (ricordiamocelo, le donne non fanno ridere e come perdere occasione di sottolinearlo anche quando l'intenzione, chiaramente, non era questa?) frutto di un misunderstanding delle ragioni per cui questo film esiste: non per la risata, ma per dire qualcosa che non era stato mai detto.

Il film rifugge ogni tipo di stereotipo persino quando si tratta dell'unico personaggio maschile, il tuttofare Devon interpretato da Jason Schwartzman, che al tempo stesso ricopre il ruolo tradizionalmente riservato alle donne in questo genere di commedie – in ogni reunion movie c'è una ragazza, spesso più giovane, con cui qualcuno dei protagonisti va a letto, in genere non dotata di una personalità autonoma ma funzionale a innescare un cambiamento nella vita dell'uomo – e ne sovverte le regole presentandocelo come marginale ma dotato di un'agenda, saggio, seduttore e sedotto al tempo stesso, mai semplice ingranaggio della crescita delle protagoniste. Questo genere di attenzione alla scrittura dei personaggi, specie se inserito in una coralità in cui non c'è un vero ruolo protagonista, disorienta perché rifugge dai meccanismi comici tradizionali che si appoggiano su stereotipi e semplificazioni per cercare invece la complessità e il realismo della rappresentazione.

Per questo Wine Country potrebbe non divertirvi come vi aspettavate ma se siete donne vi toccherà il cuore, perché ci vedrete voi stesse, la vostra vita e le vostre amiche ritratte come mai prima in una comedy tradizionale. Questo film è per voi e lo dichiara esplicitamente, senza vergognarsi di farlo. Ed è un atto d'amore verso una marea di persone dimenticate da decenni dal cinema e dalla televisione.

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