Trovare l’amore e viverlo a settant’anni nonostante le difficoltà dovute all’età, al fisico, alle consuetudini, agli amici e alla famiglia, spesso composta da figli già adulti a cui dover spiegare che c’è una persona nella propria vita destinataria di nuovi spazi e attenzioni. È possibile? Sì, stando agli specialisti o ai diversi film e libri sull’argomento. Uno scrittore come Kent Haruf, andatosene via troppo presto, ce lo ha raccontato e spiegato in Le nostre anime di notte (Our souls at night), un suo libro uscito postumo nel 2017 per NNEditore, da cui poi è stato tratto l’omonimo film di Ritesh Batra con Robert Redford e Jane Fonda. A quell’età, ci viene spiegato attraverso i dialoghi tra i due amanti e le loro azioni, se si decide di vivere un amore, alla base di tutto c’è sempre il coraggio, ma – soprattutto - la cultura, da intendere come un bagaglio di vita, di esperienze e di pensieri costruiti nel corso del tempo. Significa avere un pensiero critico che a vent’anni, non si ha affatto (anche se ci si illude del contrario), assieme a una visione della politica, del sociale e della situazione del Paese in cui si vive che è cambiata più volte. A vent’anni si è radicali, ma anche più malleabili, a 50, 60, 70 e più, invece, si è alla pari e lo scontro è decisamente più difficile, perché si vedono le cose alla stessa maniera. Tutto questo rende forti, l’amore è più ricco e non si tratta solo di un'unione corporale e di attrazione fisica, ma anche di sentirsi parte di un mondo simile.

Lo scopre, senza volerlo, la protagonista di Doppio vetro (Iperborea, trad.ne di Silvia Cosimini) che l’autrice e poetessa islandese Halldóra Thoroddsen ci fa conoscere poco alla volta, pagina dopo pagina, in una quotidianità lenta e ovattata come è la sua nel cuore di Reykjavik. Da quando suo marito Guðjón non c’è più - un uomo che “delegava a lei il compito di occuparsi delle emozioni” e che, come pochi, “era capace di distorcere la realtà di un capello e mandare in confusione chiunque” - il tempo “l’ha logorata” e l’esperienza “l’ha scolpita”. A quell’età, più di settant’anni, è piena di “ferite disinfettate, lasciate o semplicemente coperte”, soprattutto nell’anima. Ha figli che hanno da tempo preso la loro strada e nipoti oramai cresciuti e sempre più lontani; ha amiche e amici (quelli rimasti) che sente spesso a telefono o vede al circolo, ma nonostante questo è nella sua casa che ama stare. Si sente protetta dal doppio vetro di quella finestra da cui è solita affacciarsi di giorno come di notte, che è sempre “profonda e strana”, la stessa da cui contempla quando si siede lì davanti con un bicchiere d’acqua in mano in attesa che qualcosa accada.

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Lì, dentro quell’abitazione, ha tutto ciò che le serve – libri, quadri e mobili – pensa spesso, parla ad alta voce con la radio che è quasi sempre accesa, c’è un gatto a farle compagnia e ogni tanto sonnecchia, perché lei “dorme come un ventaglio”. “È una donna da soglia di casa, è una stella dell’aia – scrive l’autrice che con questo libro, in corso di pubblicazione in dieci Paesi, ha vinto il Premio della letteratura europea e il Premio della letteratura femminile islandese. “Quella donna è una figura poetica”, ci racconta l'autrice Halldóra Thoroddsen quando la incontriamo in un hotel di Torino. “Sta riflettendo sulla sua vita in un momento in cui c’è il presente che scorre in parallelo con il ricordo del suo passato. Il suo è il racconto di una vita. Vuole stare da sola, ma al tempo stesso anche con gli altri, un po’ come facciamo tutti noi”.

In una delle solite giornate in cui pensa che la sua vita si stia avvicinando verso la fine, ecco che arriva per lei un nuovo e inaspettato inizio. È un uomo di settantotto anni che incontra per caso in un caffè, quello dove è solita andare da sola o con le amiche. “Si sente addosso uno sguardo dal tavolo accanto”, scrive la Thoroddsen in questo romanzo delicato e dall’eleganza più vera, “un qualcosa a cui non è più abituata da anni” che arriva da una persona, un noto medico vegetariano, che da quel momento andrà ad “interferire con la sua quiete”, facendole scoprire l’ebbrezza della complicità e del sentirsi desiderati. “Siamo soliti pretendere che le nostre azioni abbiano uno scopo, sentiamo il bisogno di aggrapparci a una trama comprensibile e abbiamo paura di qualsiasi cosa vi possa formare dei nodi”, continua l’autrice. “

Pensiamo erroneamente che le persone anziane siano inutili nella società,

ma non c’è niente di più sbagliato, come non ci piace pensare che possano essere legate a una dimensione sessuale”.

Anche la protagonista di questa storia non è a suo agio con quello che le capita ed è come se si stesse costruendo un nido vicino alla sua tomba. Poi però – continua – qualcosa cambia e le stravolge la vita positivamente. Inizia a vivere quel sentimento che ha conosciuto molto bene in passato, ma lo vive come una sorta di struggimento, perché è combattuta e non è sicura di voler sacrificare la sua vita tranquilla per quello che le capita, non sa se volersi lasciare travolgere da quell’uomo che incontra in cui si rispecchiano le sue passioni e i suoi dubbi”. Lei nel frattempo ci pensa “e prende tempo”. Attorno a lei, c’è il mondo intero - tenuto insieme dal desiderio e da forze di attrazione incontenibili - e c’è ogni particella dell’universo che, carica d’informazioni, cerca il suo corrispondente, l’amore che nutre e che cresce spontaneamente se ci abbandoniamo a lui. Solo così facendo, “può avvolgerci come l’atmosfera e può contribuire a spostare le montagne”.