Vogliamo sentirci speciali. Ci piace tuffarci nella mischia per sfuggire la routine e ritrovarci umani, anche troppo umani, ma mai sentirci uno dei tanti. Non amiamo la moda che ci omologa e preferiamo costruirci il nostro stile, magari inseguendo il pezzo unico; allo stesso modo stiamo riscoprendo il piacere di scegliere canzoni e artisti che non siano quelli propinati di default dall’algoritmo. Le emozioni sono mie e le gestisco io!, sembra la rivendicazione di noi entusiasti musicali nell’era digitale. E quando si tratta di condividerle con altri, nei concerti e nei festival dell’estate, chiediamo che il modo di vivere l’evento sia unico e irripetibile. Che ci svolti come minimo il weekend, con un po’ più di fortuna anche la visione della vita. Lo confermano, con un approccio più affaristico, i report internazionali sui trend della musica dal vivo: i megafestival da decine di migliaia di persone e cartelloni di big sono in declino, salgono nelle preferenze del pubblico incontri a dimensione d’uomo che offrono attività extra, dalle escursioni al cibo da gourmet, alle location da sogno, alla stretta di mano con il musicista del cuore. Un’esperienza da ricordare.

Quel miracolo nell’estate del 1969: di Woodstock ce n’è uno solo. La portata storica e sentimentale del festival che ha visto 500mila persone dirigersi con ogni mezzo verso il terreno fangoso di una fattoria a Bethel, Stato di New York, per tre giorni di pace e musica, è irripetibile. Era la manifestazione spontanea di un intero popolo che reclamava il diritto di esistere, insieme e liberamente, contro le regole e gli obiettivi del sistema. In questo momento invece gli organizzatori di Woodstock 50, il festival dell’anniversario che dovrebbe tenersi dal 15 al 18 agosto a Watkins Glen, con The Killers, Miley Cyrus, Jay-Z, sono impantanati nei permessi logistici che non arrivano e in battibecchi fantalegali con gli sponsor. Si farà, non si farà? Di certo il pubblico finché non riceverà l’alert di conferma sullo smartphone questa volta non si schioderà dal divano.

Nei festival i rapporti umani sono protagonisti. E la musica è una colla ad altissima precisione


Siamo tempestati di stimoli, andiamo confortati e incuriositi come bambini. Chi sa prenderci meglio vince. Gli inglesi per esempio, che la cultura delle band e dei festival ce l’hanno nel sangue, si stanno inventando formule al passo con i tempi. Come il Bluedot: quattro giorni di kermesse - dal 18 al 21 luglio - nell’area dell’osservatorio astronomico del Cheshire, dove i dj set e le esibizioni di New Order, Kraftwerk, Hot Chip per citare i nomi di punta (e la musicista-poetessa Kate Tempest per segnalare un talento da seguire) si alternano a visite guidate tra le stelle, workshop tecnologici, conversazioni con gli astrofisici ed esperienze immersive in architetture luminose che danno l’illusione del movimento. Attività, per tutta la famiglia, che assecondano il desiderio di librarsi per qualche ora sopra il mondo.
Lo stupore è sempre una carta vincente. Ci sono dei fastidi imprescindibili legati alla condivisione degli spazi: file al bar, file per il bagno, crampi per presidiare una posizione con una visuale decente. E più forte dei messaggi della ragione che esclama “chi me lo fa fare?”, è l’abbaglio dei sensi di fronte alla meraviglia. Immaginate di catapultarvi in uno scenario da serie tv sui vichinghi, un villaggio di pescatori di merluzzo atlantico e allevatori di pecore abituate a pascolare in libertà. Piazzate nella visione, a bordo spiaggia e nei campi da football - sport nazionale - palchi e amplificatori che diffondono nell’aria frizzantina folk scandinavo, dance internazionale, pop sognante. E poi vasche-tinozze in legno all’aperto e saune finlandesi, in cui rilasciare le ultime molecole di stress cittadino. L’hanno reso reale, e lo fanno anche questo luglio dall'11 al 13, gli ideatori del G! Festival, che si tiene gloriosamente a Gøta, nelle Isole Faroe, enclave danese tra la Norvegia e l’Islanda. I tre giorni di party, party, party nel luogo remoto valgono il biglietto aereo, attirano artisti globali come Fatboy Slim e avventori a cui piace incontrarsi con la gente del posto, mischiarsi agli altri in un’atmosfera rilassata, imbattersi nelle stesse facce una, due, tre volte, e, quasi inevitabilmente, fare nuove amicizie.

I rapporti umani sono protagonisti. E la musica è una colla ad altissima precisione. Dal 26 al 30 giugno Salsomaggiore Terme, Parma, riunisce per il Festival Beat un popolo internazionale di amanti del garage, il rock’n’roll energico e fatto in casa nato negli anni 60 e più vivo che mai, un genere e uno stile di vita. I più filologici hanno caschetti scolpiti, basette extralarge, maglie a righe, jeans neri più skinny che si può, immancabili stivaletti alla Beatles, collane d’osso: attraversano le vie del centro, tra i palazzi liberty, sotto lo sguardo divertito degli anziani che pensavano di essere lì per le terme. L’atmosfera e i suoni Sixties rivivono anche nei pool party pomeridiani, nelle esibizioni (lasciatevi contagiare dagli americani Flamin’ Groovies), nei mercatini vintage, nella disco, fino alla colazione delle 4 di notte alla mitica pasticceria Desirée. È come una grande famiglia, in cui chi si riconosce non vede l’ora di ritrovarsi, e tutti gli altri sono benvenuti.

Il richiamo del senso di appartenenza è fortissimo, risuona nelle melodie, si fa elettrico sulle corde di una chitarra e ci arriva diritto nei neuroni specchio. Ehi, io e te abbiamo tanto in comune. Stare fianco a fianco sotto il palco di un festival e poterselo dire guardandosi negli occhi è la connessione che funziona meglio.

Desideriamo che l’evento ci svolti come minimo il week end, ancora meglio la visione della vita


Seguirli su Instagram non ci basta più: i personaggi di cui non ci facciamo sfuggire un istante, da quando compongono una canzone su un tovagliolo alle stories con cui augurano la buonanotte, li sentiamo vicini. Di conseguenza, come spesso accade nelle dinamiche fluide tra virtuale e reale, li vogliamo vicini. Proprio seduti di fianco. L’esperienza musicale del futuro prevede il ritorno a un rapporto il meno mediato possibile, e a capirlo sono i musicisti più attivi sui social. Jared Leto con i Thirty Seconds to Mars da anni porta i devoti in un campeggio canterino sulle montagne di Santa Monica, ma ora annuncia Mars Island: un weekend, dal 9 al 12 agosto, su un’isola privata in Croazia, con lodge vista mare, ritiri yoga, concerti raccolti della band e, scegliendo l’opzione extralusso, apparizioni a cena di Jared e del fratello Shannon (thirtysecondstomars.com). Autocelebrativi, ma oltre all’esperienza sanno far vivere il sogno. E Salmo, il rapper sardo che ha polverizzato le classifiche streaming, sta per inaugurare Open Sea Republic, il suo festival di 36 ore (dal 21 al 23 giugno) sulla nave veloce Genova-Olbia. Con dj set, show, ospiti a sorpresa e chance esponenziali di chiacchierare con gli artisti, nello spazio circoscritto del traghetto. Vedi alla voce: pace, onde e amore.

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courtesy Laurence King Publishing

L’illustrazione di Woodstock è tratta da The World’s Greatest Music Festival Challenge, di Matt Everitt e Jim Stoten (Laurence King). Il libro raccoglie le edizioni storiche dei migliori festival e nasconde tra il pubblico o dietro i cespugli i protagonisti. Riconoscete gli Who e Janis Joplin? Via con la sfida.